“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
09 settembre 2017
M. Busalla tenta di decifrare il complesso pensiero di Georges Bataille
Nel labirinto dell’eros
Georges Bataille tra psicanalisi, sociologia e religione.
Nei meandri della mente e dietro simbolismi dai confini labili
Un’opera complessa che spicca per le sue argomentazioni di ricercato spessore psicanalitico e allo stesso tempo piacevole come un romanzo. L’erotismo di Georges Bataille (1897 - 1962) pone al lettore riflessioni e interrogativi per rovistare senza posa tra le pieghe dell’animo. Perché il titolo del libro è solo un punto di partenza, dal quale l’autore spesso si discosta al fine di allargare la ricerca, spesso allontanandosi persino dalla sfera sessuale. Non a caso – in un iter molto articolato – sin dall’inizio l’antropologo e filosofo francese afferma: «Dell’erotismo si può dire che è l’approvazione della vita fin dentro la morte». E così tra la morte stessa e l’eccitazione sessuale tratteggia anche un legame. Ma c’è dell’altro. Non si può affrontare il tema centrale al saggio senza chiamare in causa una sfera privata e intima come la spiritualità. Bataille pone l’erotismo su tre livelli. Oltre all’erotismo dei corpi e dei cuori c’è quello sacro che «si confonde con la ricerca di Dio, e più esattamente con l’amore di Dio». Impossibile non pensare all’estasi dei santi tipica dell’iconografia religiosa.
Da qui al tema della violenza o a quello della nudità il passo è breve. L’uomo e la donna giocano ruoli diversi e la loro parte nell’atto erotico rimanda chiaramente alla simbologia del sacrificio. E subito dopo si torna verso pensieri assai profondi. Il desiderio gioca un ruolo fondamentale in tutto ciò: coinvolge l’interiorità, ma anela a un compimento, a una soddisfazione che sono «al di fuori». Il quadro si completa nel momento in cui subentra il concetto di divieto. Limite certo alla violenza, è allo stesso tempo qualcosa che va trasgredito. Del resto la sessualità viene letta anche come smarrimento, violazione, animalità. Allora la dimensione culturale viene in aiuto e dichiara significati reconditi connessi all’erotismo. Ne è un esempio il lavoro (inteso come occupazione) che qui si rivela come una forma di controllo sociale. Bataille pubblica il suo testo nel 1957 e da questo non si può prescindere. La sua discettazione ha un senso nella misura in cui resta ancorata all’epoca in cui prende forma. Oggi si terrebbe necessariamente conto delle infinite sollecitazioni che informano di sé l’erotismo e soprattutto la sessualità. Ma un panorama sgombro da tali variabili gli permette di soffermarsi su ben altro. Ecco che l’esistenza viene letta come «movimento composto dalla riproduzione e dalla morte». E l’elemento costitutivo dell’umanità è l’angoscia. Con queste ultime parole l’autore ribadisce che si è esposti, spesse volte, al rischio della perdita, possibile nella sfera della passione amorosa.
Sorprendente e rivelatrice la lettura sociologica dell’erotismo. Non è solo la trasgressione a liberarci dai divieti. La povertà – che Bataille definisce “miseria estrema” – è un altro fattore scatenante, fa cadere qualsiasi freno inibitore. Si legittima la prostituzione e si sgretola una certezza: l’erotismo non è soltanto lo slancio verso un’unione superiore, alta, che trascende la carnalità, ma è anche male e decadenza sociale. Bifronte come Giano, lo smarrimento può essere misticismo, oppure semplice debolezza.
Non c’è metodologia scientifica che tenga. Dopo pagine di attenta introspezione le domande che sorgono sono ancora molte, pur se supportate da granitiche certezze. L’erotismo «lascia nella solitudine… è definito dal segreto… è, in noi, l’elemento problematico… l’esperienza erotica è forse prossima alla santità». Bataille conclude la sua opera affermando che l’erotismo è il problema dei problemi, il problema universale. Perché la spinta oltre il limite è il senso suo più vero.
Manuela Busalla
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