Vent'anni fa a Partinico ha chiuso per sempre i suoi bellissimi occhi Danilo Dolci (1924-1997). Dopo aver fatto parlare di sè il mondo intero, un velo di silenzio e di solitudine ha accompagnato gli ultimi anni della sua vita. Solo di recente si è tornato a parlare
e a scrivere sulla sua opera. Lo ha fatto persino l’Università di
Palermo che, a parte qualche isolata eccezione, lo ha sempre ignorato e
snobbato.
Ho avuto
l’opportunità di collaborare con Danilo Dolci, al Centro di Formazione di
Trappeto, per due anni dal 1975 al 1977.
Non c è spazio, in un
breve saggio, per raccontare questa indimenticabile esperienza di vita e di
lavoro; né di tratteggiare, in modo compiuto, la complessa opera dell’anomalo
sociologo triestino.
Vorrei
soltanto provare a riflettere, in modo problematico, su alcuni dei punti nodali
di essa, soffermandomi particolarmente sugli anni 1952-1972, convinto come sono
che è stato questo il periodo più creativo della sua presenza in Sicilia..
Il titolo pasoliniano
dato a questo lavoro prende spunto da una
polemica affermazione del nostro stesso Autore: “Molti dicevano di
noi…che studiavamo analizzando dalla base, con disprezzo: Sono degli empirici!”. ( 1 )
Ma con esso
voglio sopratutto indicare due dei tratti distintivi di Danilo Dolci:
- la sua costante attenzione ai dati empirici, ai fatti concreti come la fame, l’acqua, il lavoro.
- la sua profonda vocazione eretica, il suo essere stato sempre fuori da tutte le chiese e da tutte le scuole di pensiero dogmatico, consapevole del fatto che in ogni ricerca-azione nessuno può presumere di avere certezze assolute.
CONTINUA Francesco Virga
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