Franco Astengo - Il Partito Democratico come la Democrazia Cristiana? Un abbozzo di analisi sul sistema politico italiano
La frantumazione del
centrodestra, ormai in atto da tempo, si è completata nei giorni
scorsi con la formazione del nuovo soggetto politico composto dagli
esponenti “ministeriali” dell’ex- PDL che, per diversi motivi,
hanno rifiutato di confluire nella rigenerata Forza Italia.
Un atto politico di
grande importanza per l’intero sistema, scarsamente valutato finora
dagli analisti più importanti: per certi versi provvede oggi,
partendo però da un altro cono di visuale, Ernesto Galli della
Loggia dalle colonne del “Corriere della Sera”.
Galli della Loggia,
infatti, fa partire il suo ragionamento dal PD e dall’assunzione da
parte di questo partito, all’interno di una dinamica di
riallineamento del sistema che nel suo articolo definisce di
“frammentazione parlamentarista”, di un ruolo “cardine”
simile a quello assunto per lungo tempo dalla DC (non a caso il
titolo del fondo recita” nell’occhiello: la metamorfosi e i
rischi del PD; e il titolo vero e proprio “Democristiani loro
malgrado”).
Il punto effettivo di
saldatura tra l’analisi portata avanti da Galli della Loggia e la
realtà della riarticolazione avvenuta sul fronte del centrodestra
risiede nell’ormai accertato superamento dello schema bipolare, sul
quale era stata impostata, almeno per un ventennio, la vita politica
italiana: schema bipolare che aveva anche raggiunto, in alcune
occasioni, una sua legittimità e una sua reale rispondenza con le
effettive correnti di raccolta di consenso nel Paese (pensiamo
all’esito delle elezioni del 2001 e a quello delle elezioni del
2008).
Il tutto, in ogni caso,
si verificava “in discesa”: in un quadro, cioè, di perdita
progressiva di rapporto tra la società e la politica, esplicitatasi
nel progressivo calo di partecipazione sia elettorale sia alle
iniziative in genere, nello svuotamento della realtà dei partiti
incapaci di rapportarsi davvero alla società e rimasti in vita
soltanto attraverso il mantenimento di un fortissimo potere di nomina
(reso incondizionato dalla legge elettorale del 2005) e di spesa
(alimentato dalla crescita esponenziale delle cifre del finanziamento
pubblico).
Partiti trasformatisi,
via, via, in partiti “elettorali – personali” sul modello
originario della prima Forza Italia: unico a sfuggire a questa
logica, appunto il Partito Democratico, frutto dell’assemblaggio di
Margherita e DS, composto di gruppi di potere in perenne lotta tra di
loro.
Partito Democratico
che ha cercato di realizzare un minimo di punto di assestamento
interno attraverso le cosiddette “primarie”, utilizzate dapprima
per suffragare una leadership già strutturata a tavolino, e adesso –
in varie forme e diversi livelli – buone per canalizzare, in una
qualche misura, quell’individualismo competitivo che rappresenta il
modello di azione politica ormai comune a tutte le anime del partito.
Nel frattempo
l’accentuarsi dell’isolamento nella roccaforte di una mal intesa
“autonomia del politico” e l’evidente inestirpabilità della
“questione morale” collegata ad un trasversale “via libera”
all’esercizio indiscriminato della ferocia capitalistica nella
gestione della crisi che ha avuto come logica conseguenza, un
peggioramento complessivo nelle condizioni di vita per la maggioranza
dei cittadini, rappresentavano i fenomeni sulla base dei quali si è
aperta la strada a espressioni di forma organizzata di quella
che è stata definita “antipolitica”.
“Antipolitica”
espressasi subito attraverso le pulsioni razziste interpretate dalla
Lega Nord, e successivamente da quell’ibrido di non facile esame
rappresentato dal Movimento 5 Stelle.
La sinistra appare ormai
del tutto scomparsa, se non in quella forma subalterna oggi
rappresentata da SEL (soggetto peraltro in grave crisi d’identità
per l’impossibilità evidente di proseguire in un processo
d’identificazione del soggetto politico in un leader).
Una scomparsa di cui
porta grande responsabilità il vero e proprio pasticcio compiuto da
Rifondazione Comunista nel tentare di mettere assieme
personalizzazione, movimentismo, governabilità, sottogoverno locale.
Il quadro politico
italiano appare così in via di sistemazione, traguardando – forse
– la possibilità di mettere un punto fermo alla lunghissima fase
di transizione seguita, fin dagli anni’90 del XX secolo, a tre
avvenimenti rivelatisi del tutto decisivi al fine della
trasformazione del sistema: trattato di Maastricht (e l’influsso
dell’Europa dei banchieri è fin troppo evidente al riguardo del
nostro sistema politico e dell’omologazione culturale che lo
percorre in forma trasversale), caduta del muro di Berlino,
“Tangentopoli”.
Il tema della legge
elettorale appare posto ormai in forma del tutto conseguente al tipo
di assestamento fuori dal bipolarismo che fin qui si è cercato di
descrivere: è possibile, infatti, che la Corte Costituzionale alla
fine dichiari illegittima soltanto la parte della legge riguardante
il premio di maggioranza.
In questo caso la
soluzione potrebbe essere quella di un aggiustamento della legge
vigente ponendo, a questo proposito, una soglia da raggiungere per
ottenere il premio di maggioranza molto alta, tipo il 40%,
impossibile da ottenere anche da coalizioni particolarmente
estese.
L’effetto
proporzionalistico di questo tipo di soluzione risulterebbe così
immediato, così come altrettanto immediata risulterebbe la necessità
di disporre di un partito – cardine, come fu, a suo tempo, la DC:
un partito la cui principale attività (come scrive della Loggia)
dovrebbe essere quella, al centro come in periferia, la spartizione
dei posti e delle risorse.
Questo partito non potrà
essere altri che il PD posto al centro di un sistema che vedrebbe ai
lati (come nel ’48) una “piccola destra” (il Nuovo Centro
Destra) una “piccola sinistra” (SEL) e ciò che rimane del centro
in posizione defilata. Uno schema molto simile a quello dell’antico
“centrismo”.
All’opposizione
resterebbero così Forza Italia, il cui ceto politico potrebbe però
essere sempre più attratto da quel meccanismo di spartizione dei
posti e delle risorse cui si è fatto cenno, e l’indecifrabile –
per ora – Movimento 5 Stelle, oscillante nei contenuti e nei
comportamenti.
E’ evidente, fin tropo
evidente a prescindere dal meccanismo elettorale e della necessità
di una presenza istituzionale, l’esistenza di un vero e proprio
vuoto a sinistra.
Un vuoto che riguarda la
necessità di un soggetto che risulti essere, prima di tutto,
rappresentativo delle grandi contraddizioni sociali emerse con forza
dalla crisi, ma egualmente rappresentativo di una concezione della
politica ben diversa da quella dominante d’impostazione
presidenzialista e di esaltazione della governabilità in luogo del
ruolo centrale del Parlamento e capace di muoversi all’interno di
un quadro generale di trasformazione radicale del sistema, di
“rottura” con l’esistente.
Dopo le sconfitte subite
nel corso di questi anni appare difficile, quasi impossibile,
avanzare a sinistra, nel variegato, frantumato, quasi dissolto, mondo
della sinistra d’opposizione e di alternativa lanciare una proposta
adeguata alle esigenze della fase e indicata dalla prospettiva:
eppure è necessario farlo, con coraggio, usando (scusando la
banalità della citazione) davvero l’ottimismo della volontà e il
pessimismo dell’intelligenza.
Franco Astengo
Franco Astengo
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