Cathy O'Neil
Posto
qui l'estratto dal libro di Cathy O’Neil,
Armi di distruzione matematica (Giunti 2017), pubblicato qualche mese fa da “pagina 99”. Opera di una matematica
prima "pura", poi prestata all'economia, mi pare un libro di grande
interesse.
Nel tempo dei Big Data
La matematica come arma di distruzione.
Cathy O’Neil
Da bambina, avevo l’abitudine di
osservare dal finestrino le auto che si muovevano nel traffico e di studiarne i
numeri di targa scomponendoli in numeri primi. Si chiama fattorizzazione, ed
era il mio passatempo investigativo preferito. All’università mi iscrissi a
Matematica, per poi conseguire un dottorato di ricerca con una tesi sulla
teoria algebrica dei numeri. Ottenni poi una cattedra al Barnard College, il
cui dipartimento di Matematica è affiliato alla Columbia University.
Tutto parte dalla finanza
E poi il grande cambiamento: lasciai
il posto all’università per andare a lavorare come quant, ossia come
analista quantitativa, presso D.E.Shaw, un hedge fund di primaria importanza.
Nel lasciare il mondo accademico per la finanza, portavo la matematica
dall’astrazione della teoria alla concretezza della pratica.
Le operazioni che svolgevamo sui
numeri si traducevano nel rimescolamento di migliaia di miliardi di dollari da
un conto all’altro. All’inizio ero elettrizzata e stupita dal fatto di lavorare
in questo nuovo laboratorio che era l’economia globale, ma nell’autunno del
2008, quando mi trovavo lì da poco più di un anno, tutto precipitò.
Il tracollo chiarì senza ombra di dubbio
come la matematica in cui un tempo mi rifugiavo fosse non solo legata a triplo
filo con i problemi del mondo, ma in parte li alimentasse. Inoltre, grazie agli
straordinari poteri che io tanto amavo, la matematica sposata alla tecnologia
riusciva a moltiplicare il caos e le sventure.
Se avessimo avuto le idee chiare, a
quel punto avremmo fatto tutti un passo indietro per capire in che modo
avessimo fatto cattivo uso della matematica e come avremmo potuto evitare una
simile catastrofe in futuro.
Il punto di svolta
E invece, sull’onda della crisi, le
nuove tecniche matematiche erano più trendy che mai, pronte a
ramificarsi in ambiti sempre più vasti e a elaborare ininterrottamente petabyte
di dati, gran parte dei quali raccolti setacciando i social media o i siti di
e-commerce. Dati focalizzati sempre più non già sui movimenti dei mercati
finanziari globali ma sugli esseri umani, cioè noi. I matematici e gli esperti
di statistica si erano messi a studiare i nostri desideri, i nostri
spostamenti, il nostro potere d’acquisto, a formulare previsioni sulla nostra
affidabilità e a calcolare il nostro potenziale in veste di studenti,
lavoratori, amanti, criminali. Era l’economia dei Big Data, e prometteva enormi
guadagni. Con un programma e un computer, si potevano analizzare migliaia di
curriculum o richieste di finanziamento in un paio di secondi e organizzarli in
elenchi ordinati, con i candidati più promettenti in cima alla lista. Questo
modo di operare non solo faceva risparmiare tempo, ma si diceva anche che fosse
equo e obiettivo. Niente più individui pieni di pregiudizi a leggere carte e
documenti, solo macchine impegnate a elaborare freddi numeri.
Numeri e pregiudizi
Attorno al 2010, la matematica era
diventata una componente preponderante nelle questioni umane come mai prima di
allora, e l’opinione pubblica ne era in massima parte felice. Ma sentivo che i
guai erano dietro l’angolo. Le applicazioni matematiche che facevano girare
l’economia dei dati si basavano su scelte di esseri umani fallibili i quali
senza dubbio, in molti casi, erano animati dalle migliori intenzioni.
Ciò nonostante, molti di questi
modelli avevano codificato il pregiudizio umano, l’incomprensione e l’errore
sistematico nei software che controllano ogni giorno di più le nostre vite.
Come fossero divinità, questi modelli matematici erano misteriosi e i loro
meccanismi invisibili a tutti, tranne che ai sommi sacerdoti della materia:
matematici e informatici.
I loro giudizi – anche se sbagliati
o pericolosi – erano incontestabili e senza appello. E se da una parte
penalizzavano i poveri e gli oppressi della nostra società, dall’altra
aiutavano i ricchi ad arricchirsi sempre di più. Ho trovato un nome per questo
genere di modelli negativi: li chiamo “armi di distruzione matematica”, o adm
[...].
Contro i poveri
I datori di lavoro, per esempio,
ricorrono sempre più spesso al cosiddetto credit scoring, ossia le
valutazioni di affidabilità creditizia, per giudicare potenziali candidati. Chi
paga regolarmente le bollette – questa è l’idea di fondo – arriverà
presumibilmente puntuale al lavoro e sarà incline a seguire le regole. In
realtà, ci sono moltissimi individui responsabili e ottimi lavoratori che hanno
la sventura di veder diminuire la loro affidabilità creditizia.
Ma l’idea che la difficoltà di
accedere al credito sia correlata a un cattivo rendimento sul lavoro fa sì che
le persone con un’affidabilità creditizia bassa abbiano minori probabilità di
trovare lavoro. La mancanza di lavoro le spinge verso la povertà, rendendole
ancora meno affidabili da un punto di vista creditizio e mettendole in una
posizione sempre più svantaggiata sotto il profilo occupazionale. È una spirale
discendente. E gli imprenditori non sapranno mai quante persone valide e
meritevoli si sono lasciati sfuggire per aver focalizzato tutta l’attenzione
sull’affidabilità creditizia dei candidati. Nelle adm, molti assunti dannosi
vengono mimetizzati dietro il velo della matematica, con il risultato che
nessuno li verifica né li mette in discussione. Questo evidenzia un’altra
caratteristica comune delle adm, e cioè la tendenza a penalizzare i poveri. Ciò
avviene, in parte, perché sono progettate per valutare gli individui in grandi
numeri. Nascono per una gestione all’ingrosso, e costano poco. Fa parte del
loro fascino. I ricchi, per contro, vengono spesso considerati nella loro
individualità. Un prestigioso studio legale sarà di certo più propenso di una
catena di fast food o di un distretto scolastico a corto di finanziamenti a
prendere in esame candidati raccomandati da qualcuno e a organizzare colloqui
individuali. I privilegiati, come vedremo spesso, vengono tendenzialmente
valutati da persone in carne e ossa, le masse dalle macchine.
«Che ci vuoi fare?»
Le armi di distruzione matematica
non ascoltano, non si piegano. Sono sorde non soltanto al fascino, alle minacce
e alle lusinghe, ma anche alla logica, persino quando ci sono buone ragioni per
dubitare dei dati che alimentano le loro conclusioni. Certo, qualora risulti
evidente che dei sistemi automatizzati sbagliano in maniera sistematica e
imbarazzante, i programmatori tornano sui loro passi e ritoccano gli algoritmi.
Ma nella maggior parte dei casi, i programmi emettono sentenze inflessibili, e
gli esseri umani che le applicano non possono far altro che stringersi nelle
spalle, quasi a dire: “Che ci vuoi fare?”.
Pagina 99, 8 dicembre 2017
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