24 marzo 2018

Ecco cosa è stato il "mondo libero"!


Nel 1947 Giulio Andreotti è nominato (su input Vaticano) sottosegretario allo spettacolo. Inizia il decennio nero del cinema italiano. Non si salverà nessuno: neppure Totò e Humphrey Bogart. La Resistenza sparisce dagli schermi cinematografici.

Giorgio Amico

Gli anni grigi della censura (1951- 1960)
Introdotta in epoca fascista con la creazione di una Direzione generale per la cinematografia, la censura prevedeva forme di controllo sulla circolazione dei film tramite la concessione di appositi nulla osta. Nel dopoguerra normativa e apparati erano rimasti immutati: presso la Presidenza del Consiglio continuava a funzionare un Ufficio Centrale per la Cinematografia. Dal 1947 sottosegretario allo spettacolo sarà il giovane Giulio Andreotti, nominato a soli 28 anni da De Gasperi su consiglio di monsignor Montini (il futuro Paolo VI) allora esponente importante della Curia romana. Andreotti (a cui dalla fine del 1953 succederà un ancora più rigido Oscar Luigi Scalfaro, allora esponente della destra DC) si accanisce a tagliare tutto quello che può sembrare una minaccia anche minima alla pace sociale e alla morale cattolica.
Sotto i colpi di forbice di Andreotti (e Scalfaro) finiscono tutti i film che trattano argomenti scomodi, come l'esistenza in Italia di un partito comunista di cui non si doveva assolutamente parlare. Così si taglia ne La Spiaggia (bellissimo film di Lattuada girato nel 1954 a Spotorno), la figura del sindaco comunista. E poco importa se il film non ha intenti politici. E' rimasta celebre la scena di Totò e Carolina, in cui Totò poliziotto alla guida di una jeep finita fuori strada viene soccorso da una camionetta carica di militanti comunisti che cantano Bandiera rossa e naturalmente il canto è cancellato e ai giovani si fa cantare una canzone patriottica “Di qua di là dal Piave”.
Per tutto il decennio la Resistenza sarà la grande rimossa dal cinema italiano, dedito ormai a sfornare a getto continuo prodotti di pura evasione: i melodrammi strappalacrime di Raffaello Mattarazzo, una sorta di “neorealismo popolare” (riscoperto e riabilitato proprio a Savona in una rassegna del 1976 da Tatti Sanguinetti e da un giovanissimo Carlo Freccero), i film comici ricalcati sul varietà e l'avanspettacolo con Totò, Rascel, Macario, le commedie tipo “Pane, amore e fantasia” di Luigi Comencini (1953) o “Poveri ma belli” (1956) e a partire dal 1958 una lunga serie di film storico-mitologici, i cosiddetti “peplum”, destinati ad essere soppiantati negli anni '60 dal filone degli spaghetti western. Tutti film a basso costo che incassano moltissimo rispetto al capitale investito.
In attesa della televisione che sta per arrivare il cinema resta la forma di svago preferita dagli italiani e il numero delle sale cresce costantemente passando dalle 6500 del 1948 alle quasi 10.000 del 1954 un terzo delle quali gestite dalle parrocchie. Anche la Chiesa attraverso il Centro Cattolico Cinematografico (CCC) passa al vaglio i film. Sulla porta delle chiese soprattutto nelle città sono elencati i titoli dei film in programmazione con a fianco un voto (per tutti, adulti, adulti con riserva, escluso) che indicava cosa si potesse vedere e cosa no. L'attività del CCC condiziona pesantemente i produttori: potendo influenzare sensibilmente la riuscita economica di un film, il giudizio della Chiesa rappresenta una forma tacita, ma efficace di censura preventiva.
Persino le Forze Armate hanno titolo nella valutazione di cosa gli italiani possono vedere. Nel 1954 il film “Senso” di Luchino Visconti ambientato nel 1866 viene amputato di una scena in cui i patrioti criticano il comportamento dell’esercito. Il titolo stesso, che doveva essere “Custoza”, viene cambiato perchè non si può neppure quasi un secolo dopo mettere in risalto una pagina poco gloriosa della storia d'Italia.
Anche “Casablanca” (1942), un film ancora oggi di culto, non passa indenne al vaglio dei censori: il protagonista, gestore disincantato di un night, ha un passato di militante rivoluzionario che lo ha condotto in Etiopia a appoggiare la resistenza contro gli invasori fascisti. Ma questo non si può dire e nella versione italiana tutto si trasforma in un innocuo “aiuto ai cinesi”.
Stando così le cose non è strano che per quasi un decennio la Resistenza scompaia dagli schermi. Un lungo silenzio interrotto solo nel 1955 dal film di un esordiente “Gli sbandati” di Francesco Maselli. Presentato a Venezia, il film racconta la vita di un un gruppo di giovani altoborghesi sfollati nella campagna milanese nei mesi immediatamente successivi all'8 settembre. Il tempo trascorre tra discussioni includenti sul che fare (andare in montagna o cercare di espatriare in Svizzera?). Solo uno, innamoratosi di una giovane operaia, deciderà di raggiungere i partigiani, ma la storia terminerà tragicamente con l'arrivo dei tedeschi informati da un delatore.
Il film, sostanzialmente una storia d'amore, non piacque alla sinistra che lo trovò eccessivamente intimistico, ma esprime perfettamente come una nuova generazione di cineasti, non proveniente per motivi anagrafici dalla militanza partigiana o comunque antifascista come la generazione precedente, si avvicinasse alla Resistenza senza più gli entusiasmi o le speranze degli anni '40, ma animata dalla voglia di capire. Il tempo delle decisioni si dilata, la Resistenza di Maselli è una Resistenza problematica, osservata più che partecipata.
(Giorgio Amico, Da "Roma città aperta" a "Il partigiano Johnny". La Resistenza nella filmografia italiana 3) 

Nessun commento:

Posta un commento