[…] Mi professai non solo onorato ma
lieto, come infatti ero. Superate ormai le questioni di nomi e di
protocollo, si parlò della Sicilia. Lui erano venti anni che non ci
metteva piede e l’ultima volta che era stato laggiù (cosi diceva,
al modo piemontese) vi era rimasto soltanto cinque giorni, a
Siracusa, per discutere con Paolo Orsi alcune quistioni circa
l'alternarsi dei semi-cori nelle rappresentazioni classiche. “Ricordo
che mi hanno voluto portare in macchina da Catania a Siracusa; ho
accettato solo quando ho appreso che ad Augusta la strada passa
lontano dal mare, mentre la ferrovia è sul litorale. Raccontami
della nostra isola; è una bella terra benché popolata da somari.
Gli Dei vi hanno soggiornato, forse negli Agosti inesauribili vi
soggiornano ancora. Non parlarmi però di quei quattro templi
recentissimi che avete, tanto non ne capisci niente, ne sono sicuro."
Cosi parlammo della Sicilia eterna, di
quella delle cose di natura; del profumo di rosmarino sui Nebrodi,
del gusto del miele di Melilli, dell’ondeggiare delle messi in una
giornata ventosa di maggio come si vede da Enna, delle solitudini
intorno a Siracusa, delle raffiche di profumo riversate, si dice, su
Palermo dagli agrumeti durante certi tramonti di Giugno. Parlammo
dell’incanto di certe notti estive in vista del golfo di
Castellammare, quando le stelle si specchiano nel mare che dorme e lo
spirito di chi è coricato riverso fra i lentischi si perde nel
vortice del cielo mentre il corpo, teso e all’erta, teme
l’avvicinarsi dei demoni.
Dopo un assenza quasi totale di
cinquanta anni il Senatore conservava un ricordo singolarmente
preciso di alcuni fatti minimi. "Il mare: il mare di Sicilia è
il più colorito, il più romantico di quanti ne abbia visti; sarà
la sola cosa che non riuscirete a guastare, fuori delle città,
s’intende. Nelle trattorie a mare si servono ancora i ‘rizzi’
spinosi spaccati a metà?" Lo rassicurai aggiungendo però che
pochi li mangiano adesso, per timore del tifo. "Eppure sono la
più bella cosa che avete laggiù, quelle cartilagini sanguigne, quei
simulacri di organi femminili, profumati di sale e di alghe. Che tifo
e tifo! Saranno pericolosi come tutti i doni del mare che dà la
morte insieme all’immortalità. A Siracusa li ho perentoriamente
richiesti a Orsi. Che sapore, che aspetto divino! Il più bel ricordo
dei miei ultimi cinquanta anni!"
Ero confuso ed affascinato; un uomo
simile che si abbandonasse a metafore quasi oscene, che esibiva una
golosità infantile per le, dopo tutto mediocri, delizie dei ricci di
mare! [...]
Da Lighea
in I racconti, Feltrinelli
1961
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