29 marzo 2018

IL DENARO OGGI TRA P. SLOTERDIJK E W. SITI


Sembra proprio che sia questo l'unico Dio a cui credono gli uomini d'oggi! E gli americani l'hanno capito per primi scrivendo sulla loro carta moneta: IN GOD WE TRUST! (fv)



La natura del denaro. Su “Pagare o non pagare” di Walter Siti

In un piccolo quanto denso libro pubblicato dalle edizioni Dehoniane di Bologna qualche anno fa, due filosofi, Peter Sloterdijk e Thomas Macho, si interrogavano sulle radici religiose del nostro rapporto attuale con il denaro, incalzati dalle intriganti domande di Manfred Osten. Il dio visibile, questo il titolo del libro, mostrava come i soldi figurassero nella nostra contemporaneità come quanto di più vicino ad una divinità tangibile per l’uomo, tangibile perché proprio da lui costruita: le radici religiose del nostro rapporto con il denaro invece sono tali perché il suo utilizzo o il suo possesso sono legati ad un’idea di miglioramento che modifica chi lo maneggia.
Nella nostra epoca finanziaria, il denaro ha conseguito una vittoria definitiva su tutto il resto, con le banche che nelle loro forme e nelle sensazioni che suscitano ricordano sempre più templi o chiese dove celebrare questa insolita religione del capitalismo che ha pervaso ogni campo della vita.
Esce adesso in libreria un pamphlet di Walter Siti per l’editore Nottetempo che si intitola Pagare o non pagare ed è un testo che per la sua densità si affianca alla conversazione di Sloterdijk e Macho e costituisce un approdo fondamentale per chi avverte l’urgenza di una riflessione su questo argomento, sempre più decisivo delle nostre esistenze. Il libro esce all’interno della nuova collana dell’editore Nottetempo “Trovare le Parole” (all’interno della già esistente serie gransassi) e soddisfa davvero la sua natura perché il ragionamento di Siti, limpido nel suo linguaggio e nei suoi meccanismi, permette davvero al lettore di tirar fuori da una questione quotidiana punti di vista inediti. «Che fare, se si continua a desiderare il massimo quando a disposizione non c’è che il minimo?» si chiede Siti e sta qui uno dei nodi cruciali della questione da lui sviscerata. Non è un tema nuovo per l’autore che almeno dai tempi di Scuola di nudo e ancora di più di La magnifica merce o Resistere non serve a niente, insiste ed analizza i movimenti del mercato e del denaro in una chiave sociologica che attraverso la letteratura mette in luce soprattutto le ombre e le inquietudini legate a questo mondo, vero e proprio protagonista delle sue storie. La storia di Tommaso, protagonista di Resistere non serve a niente, con il suo ondeggiare in quella zona grigia tra finanza e criminalità e con i ritratti, vividi, di banchieri, broker, politici e malavitosi si muoveva tutta attorno al denaro, una vera e propria rappresentazione del Dio visibile di cui discutono Sloterdijk e Macho.
In Pagare o non pagare Walter Siti sembra voler andare ancora più in profondità indagando fuori dalla finzione romanzesca le diverse forme che il denaro (ma non solo questo, anche la concezione di ricchezza o di povertà, di disponibilità economica o di indigenza), assume nelle nostre vite quotidiane, passando dai diversi aspetti che la dominano, come la tecnologia e il lavoro. En passant Siti scrive che questo suo testo desolato, malinconico e preoccupato è forse il frutto di una mente anziana, che inizia a tingere con colori oscuri tutto ciò che si trova davanti; purtroppo però il suo ragionamento è assai aderente alla realtà che ci troviamo davanti ogni giorno, una realtà che Siti, con la sua sensibilità di romanziere, mostra in maniera limpida ed inquietante, illuminando le macerie che via via si ammucchiano.
Il primo movimento da cui parte l’autore è un passato oramai remoto, quello di chi ha conosciuto il «piacere di pagare», che si trasformava in ciò che definiva il carattere di una persona: «una sensazione di trionfo, o almeno di soddisfazione profonda, le prime volte che potevo procurarmi, pagando con soldi guadagnati da me, qualche piccolo lusso». Fino a qualche decennio fa, secondo Siti, pagare funzionava come un’azione identitaria, un’ostentazione pacifica della possibilità di spendere soldi guadagnati. Dentro questo meccanismo tutto dunque, più o meno, veniva messo in vendita: si comprava a rate, firmando cambiali o creando dei mutui molto lunghi. Oggi invece il pagare, e soprattutto l’essere pagati, è diventato qualcosa di più aleatorio, lontanissimo dalla concretezza della busta con lo stipendio che Siti andava, per «vanagloria», a ritirare ogni mese, aborrendo un accredito troppo astratto sul conto corrente.
L’aspetto più interessante del libro di Siti è la ricostruzione del quadro generale in cui accade tutto questo, idea sorretta dalla lucida consapevolezza di un ribaltamento rispetto al primo movimento del libro: nella tempesta economica contemporanea, ognuno di noi cede gratis la propria anima di consumatore. I fattori di questa modifica sono numerosi e molto bene illustrati da Siti nel suo libro, ma in linea di massima sono tutti più o meno legati alla finanza che ha cominciato ad essere incontrollabile, provocando da una parte le illusioni di ricchezza, che continuamente rimbombano nei personaggi televisivi e digitali che se ne fanno portavoce, e dall’altra la sensazione opposta di aver perso tutto, di non saper più controllare il proprio denaro. La gratuità dunque diviene una ghiotta possibilità ma poggia su uno strato di illusione: per chi non ha conosciuto il processo del lavoro-guadagno-consumo, («La dignità che è indispensabile per un uomo in formazione si cerca altrove che nel lavoro; la catena socialmente consapevole che cinquant’anni fa appariva infrangibile, lavorare-essere pagati-pagare-comprare, è evaporata in una nebbia di delusioni e speranze in cui sembra che il denaro abbia perso la propria funzione di perno, in quanto collegato al lavoro»), ed oggi in effetti si può lavorare senza essere pagati ad esempio, la gratuità ed i prezzi low cost sono un dato di fatto, una normalità. Si perde però di vista un altro aspetto fondamentale, che nulla è gratuito, nulla costa meno del suo prezzo e dunque ci sarà sempre un’altra persona, magari dall’altra parte del mondo, che sta pagando il nostro servizio sottocosto.
Il cambio di paradigma è però indubbio: l’impossibile certezza di entrate genera un’altrettanta incertezza circa le uscite e allora per quale motivo scegliere di pagare quando è possibile farne a meno? Questo vuol dire anche innescare un processo che vede l’evaporazione del denaro che non è più necessario se posso avere musica e film gratis oppure noleggiare a pochi euro un divano in una meta che ho raggiunto con un volo assai economico. Ma questo va a danneggiare quel godimento che nasceva nello spendere e nell’ostentare. Si trattava, anche in quel caso, di un inganno, come recita un aureo libro di Silvano Petrosino edito da Jaca Book, dove l’autore costruisce un itinerario, che muove da Kafka a Simmel a Lacan, che costituisce un ulteriore importante tassello circa la questione analizzata da Siti: «Non si riesce a comprendere nulla della natura del denaro e delle mirabolanti capovolte che l’uomo compie attorno ad esso – scrive appunto Petrosino in Soggettività e denaro – se non si passa dal modo d’essere di un soggetto che desidera ciò di cui non ha bisogno e che manca di ciò rispetto a cui non ha mai un sapere chiaro e distinto».
Un libro, questo di Siti, che dietro la linearità nasconde un aspetto inquietante che già è visibile nel rapporto delle generazioni più giovani con il denaro, un atteggiamento quasi obbligato, che non permette grossi campi d’azione e che gli occhi di un romanziere acuto forse meglio di altri carpiscono e rappresentano; un corollario al lavoro di un narratore che indaga con successo i cambiamenti sociali sui tempi lunghi, partendo dalla propria esperienza per capire cosa realmente si modifica. 




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