Sembra proprio che sia questo l'unico Dio a cui credono gli uomini d'oggi! E gli americani l'hanno capito per primi scrivendo sulla loro carta moneta: IN GOD WE TRUST! (fv)
La natura del denaro. Su “Pagare o non pagare” di
Walter Siti
In un piccolo quanto denso libro
pubblicato dalle edizioni Dehoniane di Bologna qualche anno fa, due filosofi,
Peter Sloterdijk e Thomas Macho, si interrogavano sulle radici religiose del
nostro rapporto attuale con il denaro, incalzati dalle intriganti domande di
Manfred Osten. Il dio visibile, questo il titolo del libro, mostrava
come i soldi figurassero nella nostra contemporaneità come quanto di più vicino
ad una divinità tangibile per l’uomo, tangibile perché proprio da lui
costruita: le radici religiose del nostro rapporto con il denaro invece sono
tali perché il suo utilizzo o il suo possesso sono legati ad un’idea di miglioramento
che modifica chi lo maneggia.
Nella nostra epoca finanziaria, il
denaro ha conseguito una vittoria definitiva su tutto il resto, con le banche
che nelle loro forme e nelle sensazioni che suscitano ricordano sempre più
templi o chiese dove celebrare questa insolita religione del capitalismo che ha
pervaso ogni campo della vita.
Esce adesso in libreria un pamphlet
di Walter Siti per l’editore Nottetempo che si intitola Pagare o non pagare
ed è un testo che per la sua densità si affianca alla conversazione di
Sloterdijk e Macho e costituisce un approdo fondamentale per chi avverte
l’urgenza di una riflessione su questo argomento, sempre più decisivo delle
nostre esistenze. Il libro esce all’interno della nuova collana dell’editore
Nottetempo “Trovare le Parole” (all’interno della già esistente serie
gransassi) e soddisfa davvero la sua natura perché il ragionamento di Siti,
limpido nel suo linguaggio e nei suoi meccanismi, permette davvero al lettore
di tirar fuori da una questione quotidiana punti di vista inediti. «Che fare,
se si continua a desiderare il massimo quando a disposizione non c’è che il
minimo?» si chiede Siti e sta qui uno dei nodi cruciali della questione da lui
sviscerata. Non è un tema nuovo per l’autore che almeno dai tempi di Scuola
di nudo e ancora di più di La magnifica merce o Resistere non
serve a niente, insiste ed analizza i movimenti del mercato e del denaro in
una chiave sociologica che attraverso la letteratura mette in luce soprattutto
le ombre e le inquietudini legate a questo mondo, vero e proprio protagonista
delle sue storie. La storia di Tommaso, protagonista di Resistere non serve
a niente, con il suo ondeggiare in quella zona grigia tra finanza e
criminalità e con i ritratti, vividi, di banchieri, broker, politici e malavitosi
si muoveva tutta attorno al denaro, una vera e propria rappresentazione del Dio
visibile di cui discutono Sloterdijk e Macho.
In Pagare o non pagare Walter
Siti sembra voler andare ancora più in profondità indagando fuori dalla
finzione romanzesca le diverse forme che il denaro (ma non solo questo, anche
la concezione di ricchezza o di povertà, di disponibilità economica o di
indigenza), assume nelle nostre vite quotidiane, passando dai diversi aspetti
che la dominano, come la tecnologia e il lavoro. En passant Siti scrive
che questo suo testo desolato, malinconico e preoccupato è forse il frutto di
una mente anziana, che inizia a tingere con colori oscuri tutto ciò che si
trova davanti; purtroppo però il suo ragionamento è assai aderente alla realtà
che ci troviamo davanti ogni giorno, una realtà che Siti, con la sua
sensibilità di romanziere, mostra in maniera limpida ed inquietante,
illuminando le macerie che via via si ammucchiano.
Il primo movimento da cui parte
l’autore è un passato oramai remoto, quello di chi ha conosciuto il «piacere di
pagare», che si trasformava in ciò che definiva il carattere di una persona:
«una sensazione di trionfo, o almeno di soddisfazione profonda, le prime volte
che potevo procurarmi, pagando con soldi guadagnati da me, qualche piccolo
lusso». Fino a qualche decennio fa, secondo Siti, pagare funzionava come
un’azione identitaria, un’ostentazione pacifica della possibilità di spendere
soldi guadagnati. Dentro questo meccanismo tutto dunque, più o meno, veniva messo
in vendita: si comprava a rate, firmando cambiali o creando dei mutui molto
lunghi. Oggi invece il pagare, e soprattutto l’essere pagati, è diventato
qualcosa di più aleatorio, lontanissimo dalla concretezza della busta con lo
stipendio che Siti andava, per «vanagloria», a ritirare ogni mese, aborrendo un
accredito troppo astratto sul conto corrente.
L’aspetto più interessante del libro
di Siti è la ricostruzione del quadro generale in cui accade tutto questo, idea
sorretta dalla lucida consapevolezza di un ribaltamento rispetto al primo
movimento del libro: nella tempesta economica contemporanea, ognuno di noi cede
gratis la propria anima di consumatore. I fattori di questa modifica sono
numerosi e molto bene illustrati da Siti nel suo libro, ma in linea di massima
sono tutti più o meno legati alla finanza che ha cominciato ad essere
incontrollabile, provocando da una parte le illusioni di ricchezza, che
continuamente rimbombano nei personaggi televisivi e digitali che se ne fanno
portavoce, e dall’altra la sensazione opposta di aver perso tutto, di non saper
più controllare il proprio denaro. La gratuità dunque diviene una ghiotta
possibilità ma poggia su uno strato di illusione: per chi non ha conosciuto il
processo del lavoro-guadagno-consumo, («La dignità che è indispensabile per
un uomo in formazione si cerca altrove che nel lavoro; la catena socialmente
consapevole che cinquant’anni fa appariva infrangibile, lavorare-essere
pagati-pagare-comprare, è evaporata in una nebbia di delusioni e speranze in cui
sembra che il denaro abbia perso la propria funzione di perno, in quanto
collegato al lavoro»), ed oggi in effetti si può lavorare senza essere pagati
ad esempio, la gratuità ed i prezzi low cost sono un dato di fatto, una
normalità. Si perde però di vista un altro aspetto fondamentale, che nulla è
gratuito, nulla costa meno del suo prezzo e dunque ci sarà sempre un’altra
persona, magari dall’altra parte del mondo, che sta pagando il nostro servizio
sottocosto.
Il cambio di paradigma è però
indubbio: l’impossibile certezza di entrate genera un’altrettanta incertezza
circa le uscite e allora per quale motivo scegliere di pagare quando è
possibile farne a meno? Questo vuol dire anche innescare un processo che vede
l’evaporazione del denaro che non è più necessario se posso avere musica e film
gratis oppure noleggiare a pochi euro un divano in una meta che ho raggiunto
con un volo assai economico. Ma questo va a danneggiare quel godimento che
nasceva nello spendere e nell’ostentare. Si trattava, anche in quel caso, di un
inganno, come recita un aureo libro di Silvano Petrosino edito da Jaca Book,
dove l’autore costruisce un itinerario, che muove da Kafka a Simmel a Lacan,
che costituisce un ulteriore importante tassello circa la questione analizzata
da Siti: «Non si riesce a comprendere nulla della natura del denaro e delle
mirabolanti capovolte che l’uomo compie attorno ad esso – scrive appunto
Petrosino in Soggettività e denaro – se non si passa dal modo d’essere
di un soggetto che desidera ciò di cui non ha bisogno e che manca di ciò
rispetto a cui non ha mai un sapere chiaro e distinto».
Un libro, questo di Siti, che dietro
la linearità nasconde un aspetto inquietante che già è visibile nel rapporto
delle generazioni più giovani con il denaro, un atteggiamento quasi obbligato,
che non permette grossi campi d’azione e che gli occhi di un romanziere acuto
forse meglio di altri carpiscono e rappresentano; un corollario al lavoro di un
narratore che indaga con successo i cambiamenti sociali sui tempi lunghi, partendo
dalla propria esperienza per capire cosa realmente si modifica.
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