Marzo (Marte) in un salterio medievale inglese
Secondo molte
tradizioni l'anno iniziava a marzo. Guido Araldo ci guida nella
scoperta di come gli antichi romani vivessero questo mese molto
importante nell'economia complessiva dell'anno.
Guido Araldo
Il primo mese
dell’anno negli antichi almanacchi.
Il suo nome deriva da
Marte che, in origine, era il dio protettore dei campi, moderatore
della pioggia, della fertilità e anche protettore degli architetti;
soltanto in epoca ellenistica prese a identificarsi con il greco
Ares, signore della guerra. Anche il dio germanico Týr, da cui
tuesday (martedì) in inglese, dio peraltro della giustizia, sembra
presentare una simile evoluzione nella cultura germanica. Anticamente
i Romani avevano come divinità della guerra la dea “Bellona” (da
bellum: guerra). Poco è noto di questa divinità antichissima. Il
suo tempio era situato fuori Roma, poiché “Bellona macchiò gli
Dei Penati con un fiume di sangue e rinnovò scene di battaglia”
(Publio Ovidio Nasone, Le Metamorfosi V,155). All’interno delle
mura di Roma doveva regnare la pace. Bellona era probabilmente la
moglie del dio agreste Marte, poiché nel suo mese iniziavano
solitamente le campagne belliche, dopo la lunga stasi invernale.
Nel minaccioso tempio di
Bellona i senatori romani erano soliti accogliere gli ambasciatori
stranieri, prima d’introdurli in città, e di fronte al suo tempio
si celebravano i riti che preludevano l’inizio di una campagna
militare: riti di purificazione, con la consacrazione delle armi che
sarebbero state usate in battaglia. Resta il dubbio se questo tempio
venisse chiuso come tutti gli altri a Roma durante le guerre, quando
restava aperto soltanto quello del Dio Giano.
Un collegamento
antichissimo di Marte con la guerra, e non soltanto con
l’agricoltura, è ravvisabile nel Campo Marzio romano, dove nel
mese consacrato a questo dio si tenevano spettacolari corse di
cavalli e si concentravano le truppe prima d’intraprendere
spedizioni militari.
La tradizione più
consolidata voleva che Marte fosse figlio di Mater Tellus e gli era
consacrato il fiore candido del biancospino, che allude alla fine
dell’inverno e alla natura che si rigenera. Non a caso, Marte era
il dio della primavera, periodo nel quale si tenevano le principali
celebrazioni a lui dedicate. Sostanzialmente questo dio rappresentava
la forza della natura che si desta nel mese a lui consacrato, incluse
le virtù migliori della gioventù maschile, che all’epoca era
frequentemente impegnata in corse di cavalli o in attività belliche.
Roma. Basilica dei quattro Santi incoronati. Ciclo dei mesi. Marzo
Si può ben dire che
Marte avesse una duplice valenza: proteggere i campi dalle calamità
stagionali, (come chiaramente espresso da Catone nel libro “De
Agri”), a cominciare dalle terribili gelate tardive peggiori della
grandine, e tutelare il popolo romano, preoccupandosi della sua
sicurezza. Non a caso i Quiriti (i Romani) si definivano “figli di
Marte”.
Si vis pacem, para
bellum: se vuoi la pace, prepara la guerra. Un’esortazione che i
Romani antichi non hanno mai dimenticato in tutta la loro storia,
fino a quando il cristianesimo non divenne la religione di Stato e il
dio Marte degenerò a demone pagano. Allora non era più importante
difendere i confini della patria, ma preoccuparsi esclusivamente del
destino della propria anima.
A questo dio erano
dedicate le feste note come Equirria, che si svolgevano nella prima
metà del mese, antecedenti l’equinozio: se da un lato erano
impregnate di ritualità agresti, dall’altro provvedevano al
raggruppamento delle truppe, alla benedizione delle armi, ai riti
della loro purificazione con l’esaltazione dell’imminente impegno
bellico.
A Roma, il ruolo di
custodi dell’antichissimo culto di Marte, soprattutto inteso come
dio dell’aratura primaverile e delle semine, spettava ai sacerdoti
Salii, in numero di 24: 12 Palatini e altrettanti Quirinali. La
distinzione tra Palatini e Quirinali derivava dal fatto che i primi,
più antichi, accoglievano tra le loro fila il fior fiore
dell’aristocrazia romana, mentre i Quirinali erano pur sempre
patrizi, ma discendenti da famiglie meno prestigiose.
I Salii indossavano
tuniche rosse ed era loro richiesta una rigorosa castità,
esattamente come le Vestali custodi del fuoco sacro: un impegno che
durava un anno. Pare che non fosse possibile esercitare le più alte
cariche dello stato, principalmente al consolato, senza aver prestato
in gioventù “il servizio sacerdotale in onore di Marte”.
I Romani facevano
risalire l’istituzione di questo collegio sacerdotale al mitico re
Numa Pompilio e i Salii, soprattutto, erano i custodi degli Ancilia:
dodici scudi sacri, di cui uno si riteneva fosse caduto direttamente
dal cielo. Il compito dei Salii consisteva nel portare questi scudi
in solenni processioni per le vie di Roma durante le feriae marti (i
giorni festivi di marzo) e cantare il Carmen Salziare, il cui testo è
rimasto sconosciuto. Queste processioni coinvolgevano tutto il popolo
romano e si tenevano all’equinozio di primavera, con riti
spettacolari che ne intercalavano il percorso.
Una prima processione, il
19 marzo, riguardava il prelievo degli scudi dal tempio in cui erano
custoditi. Una successiva processione, la principale, il 23 marzo,
riguardava la purificazione delle trombe dei Salii e degli scudi. Il
giorno dopo, il 24 marzo, gli scudi erano solennemente riportati nel
tempio che li avrebbe custoditi per il resto dell’anno. Non è noto
cosa accadesse esattamente durante queste solenni processioni
concomitanti con l’equinozio di primavera. Festeggiamenti che
s’intersecavano con quelli in onore della dea Cibele, anch’essa
protettrice del popolo romano.
L’intrinseca simbologia
dei 12 scudi, soprattutto riferita allo scudo precipitato dal cielo
(una presenza aliena?), non è mai stata svelata: non è chiaro se
avessero una valenza esclusivamente militare, oppure se rivestissero
un’importanza agricola, di protezione contro le calamità naturali.
Non a caso erano dodici come i mesi dell'anno e le costellazioni. Il
nome di Salii deriverebbe dal verbo salio, ovvero saltellare, poiché
durante le solenni processioni questi giovani sacerdoti eseguivano
una danza che doveva richiedere notevoli doti atletiche. Il
saltellamento presenta simbologie recondite: allude alla prosperità
campestre, ai virgulti e ai semi che salgono in alto. E più si salta
in alto, più i semi e i virgulti crescono prosperosi. Ecco perché i
sacerdoti Salui era tutti giovani, prestanti e vigorosi: più
saltavano in alto e più le sementi e i virgulti sarebbero cresciuti
vigorosi, forieri di una bella e proficua stagione di raccolti.
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