Un paese vuoto con un poeta dentro
Franco Arminio
SAN MAURO FORTE (Matera)
Arrivo a Ferrandina verso
mezzogiorno. Vado in una salumeria dall'arredo antico. Scaffali di metallo coi
legumi dentro, mobilio verniciato di bianco. Con dieci euro esco con una busta
piena. La piazza del paese mi dà un senso di pace. Avverto una clemenza
definitiva, non ho rancore per nessuno. E Ferrandina mi aiuta, è una dolce
mattina di febbraio. Sento che in questa zona dell'Italia c'è ancora qualcosa,
non so bene cosa sia, ma la sento. E la sensazione è ancora più intensa quando
prendo la strada per San Mauro Forte. Vado a trovare il poeta Alfonso Guida.
La prima visione è una montagna con
dei ruderi in cima che sembrano una corona. Mi fermo a fotografare. Nessuno me
ne aveva parlato, mai tra le immagini della Lucania avevo visto questa montagna
merlata. Andrò a vederla da vicino, ma non oggi, ora devo andare da Alfonso.
Intanto il paesaggio diventa commovente. Non ci sono case, non ci sono insegne.
Il grano appena nato luccica. Vedo pezzi di terreno che sembrano piccole zattere
nel mare dei calanchi. Non ho fretta di arrivare. Ovviamente non passa nessuna
macchina. Mi sembra di aver trovato il cuore solenne della Lucania.
Quando arrivo al paese mi sento
insolitamente agile e forte. Tutto in un certo senso è come ovunque, case chiuse,
due ragazzi davanti al bar, quattro vecchi nel punto della piazza dove si può
avvistare qualcuno. Eppure avverto un di più. Ci sono palazzi molto belli, il
paese è ben piantato, la sua pacata desolazione mi arriva dentro come un dono.
Arrivo a casa di Alfonso. La madre mi bacia come se ci conoscessimo da anni.
Dopo qualche minuto chiedo ad Alfonso di leggere. In verità, preso da un filo
della mia vecchia ansia, faccio un po' fatica a seguire i suoi versi.
Li riprendo adesso che sono a casa e
posso tranquillamente sfogliare i suoi libri. Oggi è domenica, è il giorno
delle elezioni. Nevica da sud. Il lato della testa che mi duole è sempre lo
stesso. Prima ho lungamente abbracciato la mia sposa. La tristezza di pulire
sotto il divano e trovare tante cose spinte là sotto dal gatto: una noce, una
penna, un euro.
Sfoglio a caso uno dei libri che mi
ha dato Alfonso. Leggere le sue poesie è come mettere le mani in un armadio ad
occhi chiusi: puoi prendere una camicia, il bavero di una giacca, un bottone.
Prima di andarlo a trovare non avevo i suoi libri, ma mi mandava le poesie col
telefonino, le poesie che scrive ogni giorno, a oltranza. La bellezza per me è
tutta nel guizzo imprevisto e improvviso, come se il grande verso fosse
sfuggito di mano, qualcosa che arriva a rompere l'ordito, la lingua che
s'impunta, che prende una strada sconosciuta.
Quando viene la tristezza ora
queste/ fiabe potrai raccontartele. I morti/ lo fanno se è inverno, specie se
giunge/ l'inverno e il fuoco costruisce cento isole/ di neve. Sulle tue spalle
c'è un paese che dorme.
Ecco comparire più avanti un
semplice bacio che il figlio getta contro le ossa del topo. Alfonso scrive solo
in endecasillabi. Ma qui d'ora in poi voglio tradirlo. Citerò i suoi versi
senza indicare gli accapo (come mi arrivano via sms); citerò frammenti, scapole
volanti, tibie spezzate della sua poesia.
A casa sua mentre lo filmavo la
madre si lamentava del fatto che lui le fa leggere in continuazione le poesie e
lei non sempre le capisce. Si lamentava anche del fatto che non fa niente in
casa e non vede l'ora che vada a vivere da solo.
Intanto non mi piace questo dolore
alla testa, sempre lo stesso, come se la mia angoscia fosse gelosa del fatto
che vorrei occuparmi di quella di Alfonso. Ieri sera mentre ero nel letto ho
sentito nel buio che entrava dal balcone un raggio nero, più cattivo degli
altri, la spiga, la spina di un grano notturno.
A volte si solleva dall'ombra il
dubbio che la morte esista. Finisce così
una sua poesia. E io penso che la poesia non va scrutata con la ragione, ma
assaggiata coi sensi, presa a morsi, a brandelli. Morderla più che leggerla,
per vedere se dentro c'è sangue o segatura. Trovo impossibili e fallimentari
gli esercizi critici intorno ai suoi versi. Alfonso lo puoi pescare a caso: Quando
sono giunto ho visto le vigne matematiche del sud... Ci si sporca indossando
l'aria consunta... S'incupisce la vecchia zuccheriera di ottone... Una serie di
ansie bellicose... Vergogna in fondo alla stanchezza... Il desiderio di
spogliare i morti...
Uno così andrebbe liberato dal
dovere di fare il maestro elementare. Anche se spesso ricorre al congedo per
malattia è comunque assurdo che il mondo non riesca a pagare in nessun modo le
sue parole. Anzi, le paga lui, interamente. La follia buona è senza mercato.
Girano nel mondo follie scadenti, basti pensare alla campagna elettorale,
follie ampiamente rimborsate.
Alfonso abita con la madre e la
sorella in una casa popolare alla periferia di San Mauro. Dice che è nato da
una suora e da uno zingaro.
Dopo il pranzo domenicale ritrovo
Alfonso e il suo oceano illuminato con le scimmie nere. Continuo a leggere,
quasi in tutte le poesie c'è una misteriosa equazione, un piccolo tumulto
verbale, un'insurrezione alla logica: L'assedio è verso la nuca, conosci la
neve, le sue forbici ricamano robuste finestre. E ancora: Chiedo invece
una fine. Non sia dato un limite preciso al sangue, all'estate.
Lui non scrive al computer. Tutto a
mano, prima la brutta copia e poi la bella. I versi, i farmaci, l'inverno, la
schiena dolente. Ora la parola emaciata non designa chi abita dentro la
parola. Ormai quasi non cammina, e comunque non ha con chi uscire. E nel sangue
uno snodarsi di spine e più oltre anche i lacci del sangue. Continuo a
leggere, so che ogni tanto nelle sue parole troverò una crepa. Leggere poesie o
scriverle è cercare un precipizio, uno squarcio, un tremore. Alfonso aveva
sette anni quando ci fu il terremoto nella mia terra non lontana dalla sua.
Leggo Irpinia, un suo lungo poema. Fuori, si corre ai ripari e salvi sono
solo i morti, solo i morti parlano lingue di salvezza, un ateismo di frontiera.
Prendo un altro libro, Il dono dell'occhio, anche questo, come Irpinia,
stampato da un piccolo editore che si chiama Poiesis. Continuo il mio viaggio
senza meta tra i versi. L'alba non vuole io mi congeda dal suo fosso, nel buio.
Ma Dio s'impara in silenzio.
Intanto sono andato a votare, non
avevo mai votato con tanta tristezza. Oggi Alfonso è un riparo, vagare tra i
suoi versi mi pare un modo per sfuggire alla miseria di questa giornata. Adesso
sento la mia testa come un frutto pesante e marcio appeso a un ramo secco e
storto.
Cerco altri versi sul telefonino:
Abbiamo custodito le case nel ventre. Ora la terra si è chiusa. Unzione degli
inferi. Ecco cosa trovo in mezzo a una poesia: Severe le ossa. Severe le
capacità fiabesche del sangue. Ci si insinua nella morte come per nascondere le
orme nella neve.
La neve ha il colore tranquillo
dello sperma ed è retrograda. Mi raggiunge in un'altra questo non dormo più nel
mio corpo. Vado avanti a cercare ciò che mi aveva colpito nella lettura
frettolosa sullo schermo. Dio esiste a brandelli - lentamente - è la carcassa
di un cane morto sull'asfalto per troppa luce.
Intanto è arrivato il buio. Ho paura
che arrivi il nero cattivo di ieri sera. Non so, è come se fossi sguarnito,
come se la stanchezza avesse bruciato ogni resistenza. In un verso perfino
Alfonso mi appare consolatorio, ma subito la poesia riprende l'interminabile
clausura di chi la scrive: Tutto, prima o poi, viene schiuso. Anche i muri
si aprono. Velati da una notte interminabile. Che ogni cosa copre.
Nell'oscurità, dove mi si uccide, sto in cima alla mia sete.
Alfonso è ingrassato da vent'anni di
psicofarmaci. I tratti belli del suo viso sono annegati nel grasso. La sua voce
oggi è lieta, può leggere, è arrivato un orecchio. Mi ero ridotto a mangiare il
pulviscolo che esce dai tappeti quando li sbatti sul muro al mattino. Secondo i
medici sarebbe psicotico. E allora la sua poesia è l'incrocio di paesaggio e
follia. Alfonso Guida sembra un Paul Celan, con gli psicofarmaci al posto del
lager. E poi c'è il Sud che ha perso la civiltà contadina e ha trovato una
piccola borghesia meschina e rattrappita. La fortuna e la bellezza della
Lucania è nel fatto che ci sono poche persone e dunque non si avverte
l'intossicazione che si portano dietro oggi le persone. San Mauro Forte è
bellissimo nonostante le palazzine anni settanta, nonostante l'incuria che ha
lasciato il posto ai pasticci della ricostruzione post terremoto. La bellezza è
nel fatto che il paese è immerso in un paesaggio silenzioso e selvatico. La
natura che canta Alfonso non è molto diversa da quella che poteva contemplare
un poeta dell'Ottocento.
Voglio tornare di maggio a San
Mauro, in un giorno di sole. Ci voglio tornare molte volte. Voglio portare i
miei figli e la mia sposa e tante altre persone. Non è cosa comune un paese
vuoto con un poeta dentro.
FRANCO ARMINIO in “il manifesto”, 26 marzo 2013
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