Un tempo era l'inverno
(con le prime gelate o qualche fiocco di neve insieme all'arrivo in
città degli zampognari) a segnare l'approssimarsi del Natale. Oggi
questo ruolo di annunciazione lo svolge meno poeticamente la cassetta
della posta ogni mattina intasata dai depliant natalizi dei centri
commerciali.
Mondo outlet i
nuovi santuari della comunità
Tempio dello shopping,
paradiso del consumo todo modo. L' outlet è la terra promessa
dello sconto. La vetrina del lusso democratico, dell' esclusività
che non esclude. Una medina del tempo libero nel senso più
autentico del termine, quello di città oasi, di rifugio di
mercanti, di location suggestiva. Queste cittadelle consacrate
alle divinità del mercato sono la nuova Mecca del desiderio dove
i pellegrini del look compiono il loro cammino rituale per
ottenere la grazia di un guardaroba griffato senza doversi
svenare. È la versione consumistica dell' indulgenza. E a
concederla sono i capricciosi numi della domanda e dell' offerta.
Gli outlet che stanno
cambiando la geografia dello stivale, dalle Alpi alle Madonie,
sono in realtà dei set multifunzione che mescolano passato e
presente, realtà e fiction, turismo e affari, socialità e
divertimento. Più glamour dei normali ipermercati, questi
santuari del superfluo che diventa indispensabile sono l' ultima
generazione dei parchi a tema. Figli pentiti dei non-luoghi, hanno
trasformato il vuoto dei padri in un pieno straripante. E sono
diventati iperluoghi. Zippati di attrazioni, di occasioni, di
sollecitazioni, di tentazioni. E di relazioni.
Come suggerisce la
parola stessa. Che ha una serie di significati che vanno molto al
di là del centro commerciale. Perché in inglese outlet, prima di
indicare in senso figurato uno spaccio, è una canaletta
elettrica, ovvero uno snodo fatto di collegamenti e di passaggi,
di uscite e di entrate, un luogo di contatti e di connessioni, un
alternatore di correnti, un trasformatore di energia. Basta
riflettere su questo significato perché l' analogia con l' antica
agorà si accenda come una lampadina.
Erano proprio la
concentrazione e l' interconnessione spaziale tra flussi
economici, sociali e religiosi a fare del centro della polis un
iperluogo. Dove si poteva trovare di tutto, dal tempio al mercato,
dai rapporti umani ai contatti politici. Ma anche trascorrere il
tempo libero, andare a teatro, godersi lo spettacolo dei
prestigiatori e dei ciarlatani, ascoltare i citaredi di strada,
interrogare gli oracoli. Una forma sociale che si rifletteva in
una forma spaziale e viceversa. L' agorà era l' outlet della
democrazia nascente. Mentre gli outlet sono le agorà della
democrazia mutante. E riflettono nella loro struttura paradossale,
nella loro architettura iperreale, nella loro urbanistica da Luna
park, le metamorfosi della cittadinanza globale.
E del resto la stessa
parola spaccio ha in sé l' idea della connessione, dell' in ma
anche dell' out, mittente e insieme destinatario, in quanto deriva
da dispaccio, nel senso di spedizione. Come dire che comprare non
è solo portar via qualcosa. E che nella merce si nasconde sempre
una relazione incarnata. Anche nel più anonimo degli acquisti c'
è un rapporto con l' altro, perfino quando quest' altro non è
che l' ombra del nostro desiderio, il Narciso che è in noi. Non a
caso nelle lingue indoeuropee i verbi dare e ricevere, che
sembrerebbero opposti, hanno la stessa radice do. Lo provano
espressioni apparentemente contraddittorie come dare un
ricevimento. In altri termini, dare è sempre anche prendere,
ovvero un rapporto a due. O più.
Questo valore arcano
della merce, di ogni merce, che è la traccia dell' altro, la sua
ammirazione, la sua invidia, il timore del suo sguardo che ci
giudica, insomma la reciprocità del vedere e dell' esser visti,
celebra negli outlet le sue liturgie. Come fa da sempre ogni rito
che si costruisce spazi sacri a sua immagine e somiglianza, i
templi più adatti a custodire lo scintillio dei suoi idoli. Ecco
perché in questi sancta sanctorum dell' opulenza la fantasmagoria
delle merci, per dirla con Walter Benjamin, si manifesta oggi in
una sorta di ipertrofia della riproducibilità tecnica, in una
clonazione miniaturizzata del mondo, in una mimesi generalizzata
che è di fatto una presa di possesso dell' intera realtà.
Ridotta a mercato o meglio trasformata in un immenso ipermercato
sceneggiato.
Borghi rinascimentali,
paesini appenninici, città d' arte, siti archeologici, villaggi
che sembrano fatti con il Lego. E addirittura cittadine stile
rinascimento veneziano con piazze, portici e barchesse, come
quelle delle ville palladiane del Brenta. Ogni particolare
replicato alla perfezione per offrire ai clienti un incentivo
ludico ai loro acquisti. Così l' economia diventa forma mentis e
allarga sempre più i confini della merce ma in compenso restringe
sempre più quelli del mondo. Fino a farli coincidere.
Ingigantimento e
miniaturizzazione, lo dice Lévi Strauss, sono i procedimenti del
mito e del rituale che costruiscono modelli ridotti della realtà
e con pezzi di realtà, facendone una scena illusionistica, un
come se, un bricolage da pop art. Non diverso da quello che fa l'
arte contemporanea che non a caso è spesso indistinguibile dalla
merce. Ecco perché queste acropoli dello sconto non sono
semplicemente luoghi di transito di una folla solitaria di
consumatori "shopaholici". Sono tutto il contrario dei
non-luoghi, ammesso che i non luoghi siano mai veramente esistiti
e non siano invece la svista di uno sguardo sociologico volto più
al passato che al presente. No, gli outlet, che ci piaccia o no,
sono più che luoghi. Siti ad alta densità simbolica che ci
costringono a rimettere in questione le nostre categorie spaziali.
I confini fra dentro e fuori e soprattutto tra centri e periferie.
Sono i poli della topografia dello spazio sociale che accompagna
la mutazione antropologica del nostro tempo.
Nuovi trasformatori di
relazioni economiche, ma anche generatori di correnti
antropologiche. Queste risparmiopoli suntuarie sono figlie del low
cost ma non solo. In realtà riflettono un cambio di scena della
modernità, sono un sintomo di quella tendenza alla
delocalizzazione, delle imprese, delle persone e anche dei luoghi,
che attraversa economia e società. E soffia sul pianeta come un
vento nomade, come l' alito irresistibile di un Eolo dei mercati
alla ricerca di terre promesse. In realtà gli outlet sono l'
effetto di una delocalizzazione della storia, che si trasferisce
fuori porta dove i costi sono più bassi. E avvia un turn over
epocale destinato a fare delle periferie di oggi i centri di
domani.
Non a caso queste
disney world del fasto attraggono milioni di visitatori. C' è chi
ci va per una gita domenicale. Chi per accompagnare i bambini -
tra un acquisto e l' altro - a passeggiare nelle strade della Roma
imperiale, tra fori e suburra, tra cashmere e porchetta. Ma c' è
anche chi va all' outlet per passare una giornata diversa, per
incontrarsi con gli amici, per riempire il vuoto del tempo libero.
Mille ragioni individuali per quello che è diventato un rito di
massa che sta riscrivendo usi e consumi del paese, ma anche le sue
mappe. Trasformando spazi residuali, luoghi di transito, no men' s
land, come gli svincoli autostradali, le adiacenze degli
aeroporti, le aree industriali dismesse in altrettante Bengodi
della griffe. Nate da un disegno a tavolino. Dove funzioni e
passioni, desideri e sogni sono già immaginati nel progetto. L'
outlet è la città del sole dell' umanità interinale. L' utopia
realizzata a pochi chilometri da casa.
(Da: La Repubblica del 4
ottobre 2010)
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