19 gennaio 2017

Ancora sulla "santa" inquisizione



Dedichiamo questo pezzo a quanti si ostinano a chiudere gli occhi sul fatto incontrovertibile che lo stalinismo applicò contro i suoi oppositori interni lo stesso metodo utilizzato per secoli dal Santo Uffizio contro tutti gli eretici o presunti tali.  fv

L'Inquisizione in Italia. Quel tribunale custode del potere temporale

 Vincenzo Lavenia

«Se volete somigliare a Gesù Cristo, siate martiri e non carnefici». Lo scriveva Voltaire nel Trattato sulla tolleranza, bollando i roghi della giustizia ecclesiastica. Lo ripete Andrea Del Col nel ponderoso volume L'Inquisizione in Italia dal XII al XXI secolo (Mondadori). La sua coscienza di cristiano è turbata dai mille anni di coercizione religiosa promossa da Roma, ma il lettore non dovrà aspettarsi cedimenti al facile moralismo che domina le indagini storiche degli ultimi anni. Chi di recente ha tentato di assolvere l'Inquisizione vinto da nostalgie reazionarie non ha mai messo piede in archivio, ricorda l'autore; chi ancora ne dipinge le procedure a tinte «neogotiche», ignorando i risultati di molte ricerche rigorose, ricicla stereotipi della propaganda di quei protestanti che in età moderna non furono più teneri dei cattolici quando si trattò di annientare i «nemici».
Del Col ha la capacità di esporre i fatti in modo chiaro anche a chi nulla sa dei dibattiti che impegnano gli storici di professione (virtù rara); e ha il coraggio di raccontarne per la prima volta tutta la lunga vicenda dalla lotta anticatara alla condanna della Teologia della liberazione. Poiché Roma ospita il papato parlare di Inquisizione nel nostro paese significa interrogarsi sulla «mancata Riforma» in Italia: una questione che ha alle spalle una lunga (e stanca) tradizione. E tuttavia il libro non assume né la prospettiva giacobina di De Sanctis né quella, più sfumata, di Croce (e di Gramsci). Più che di eretici l'autore parla di giudici, per dirci che l'Inquisizione non costituì un incidente di percorso nella storia della Chiesa. Fondato sul diritto canonico e radicato in una teologia che giustifica la coercizione religiosa, il Sant'Uffizio condizionò la struttura dogmatica e lo scontro di potere interno alla gerarchia. Che dopo due secoli un papa provenga di nuovo da una carriera interna alla Congregazione per la Dottrina della Fede (il nome che il Sant'Uffizio ha assunto dopo il Vaticano II) rivela che quella storia non è affatto conclusa. Né si può dire, con la domanda di perdono pronunciata da Giovanni Paolo II, che l'errore è stato dei singoli e non dell'intera istituzione, se di errore si deve parlare in sede storica.
Il Giubileo del 2000, ricorda Del Col, ha permesso agli studiosi di accedere a fonti sino ad allora inaccessibili, ma la riflessione sull'Inquisizione deve molto alla caduta del franchismo in Spagna e alle ricerche di storici della cultura popolare (Carlo Ginzburg), a interpreti del peso dell'egemonia cattolica in Italia (Adriano Prosperi), a chi ha posto in rilievo quanto abbia contato l'apparato penale dell'Inquisizione nella nascita del reato d'opinione (Elena Brambilla) e a chi ha ricostruito le vicende dei processi e della censura (Massimo Firpo, Gigliola Fragnito) o l'assenza di cacce alle streghe nell'Italia moderna (Giovanni Romeo).
Del Col sistema decenni di ricerche; ricorda che la lotta antiereticale fu condotta con il consenso degli Stati, della rete ecclesiastica ordinaria e di larghi settori della popolazione; rileva ancora una volta che i roghi di streghe in età moderna furono pochi se li si paragona a quelli d'Oltralpe, anche se fu l'Inquisizione a creare il paradigma demonologico. E tiene conto di nuove domande: che peso ebbe l'Inquisizione nel formare la disciplina quotidiana del cristiano; se incise di più l'espurgazione o la condanna dei libri, e quanta efficacia ebbe la censura; se si passò il confine che separa antigiudaismo e antisemitismo; come quell'istituzione maschile contrastò i carismi femminili; come mise sotto controllo il culto dei santi e come arginò gli scandali sessuali in confessionale (facendo però sapiente uso del perdono sacramentale per indurre pentiti e fedeli alla delazione e abbreviare così le cause con procedure sommarie).
Infine, Del Col fa un passo in avanti, e si mette a contare. Può apparire oziosa la numerologia delle vittime, ma sapere che i roghi sono stati poco più di mille in trecento anni, in una percentuale piuttosto bassa sul totale dei processi, e concentrata durante l'emergenza ereticale del Cinquecento, mette davanti a dati di fatto prima che alle interpretazioni. Fa riflettere che le Inquisizioni spagnola e portoghese abbiano ammazzato di più; che abbiano ammazzato di più (e con minore rispetto delle regole del tempo) i tribunali riformati e quelli statali, che dai giudici papali impararono.
D'altra parte, Del Col non intende sostituire la leggenda nera con un mito opposto. La misura dell'attività giudiziaria prova che il tribunale fu pervasivo, che seppe uniformare. Né, si legge, la sua attività calò nel Settecento, come si sostiene in base alla burocratizzazione del Sant'Uffizio e all'inefficace contrasto opposto a giansenisti, illuministi e massoni. La sindrome da assedio di cui si nutrì per secoli alimentò in età contemporanea la condanna del marxismo, dell'evoluzionismo, del liberalismo e dell'emancipazione ebraica. E sapere che Angelo Roncalli (più tardi Giovanni XXIII) finì nella rete di delatori negli anni dell'ossessione antimodernista, certo non consola.


“il manifesto” 19 gennaio 2007

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