Domenico
Passantino
è un giovane filologo classico “scoperto” negli anni in cui abbiamo
dato vita alla rivista nuova
busambra. Si
deve al suo amore per la filologia la scoperta di un prezioso incunabolo del XV secolo conservato, sotto
mentite spoglie, nella Biblioteca dei Cappuccini di Ciminna, annessa oggi alla
Biblioteca Comunale del paese.
Dall’anno
scorso, pur avendo un suo personale blog https://domenicopassantino83.wordpress.com/ , collabora con noi inviandoci,
periodicamente, alcuni suoi acuti e gustosi pezzi. Oggi ne pubblichiamo due che
ci sembrano particolarmente lucidi ed attuali:
Paese globale e
paesano cellulare
Mi nasce
spontanea una riflessione “liquida” da riferisi alla società liquida (per
usare le parole di Bauman o di Eco): in questa umanità/disumanità(le due parole
originariamente antitetiche si compenetrano l’una nell’altra e sono complementari,
destinate a diventare sinonimi, così come tutti i contrari che in modo molto liquido
scorrono l’uno nell’altro); in questa società/asocietà, che è meglio
chiamare sistema, tutto il mondo è paese non è più solo un detto popolare, è
anzi una verità (d’altra parte vox populi vox dei), tanto è vero che si parla
di villaggio globale, di una rete di rapporti commerciali, ma anche di
conoscenze a distanza, che è mondiale e dove anzi la distanza si è
progressivamente accorciata fino a scomparire: basta pensare ai social
network, che alla lettera sono proprio connessione collettiva all’interno
di un medesimo reticolato inventato (quindi virtuale) che, in una sorta di
neo-idealismo platonico, crea un reticolato di connessioni reali.
Il mezzo che
consente di collegarsi, di connettersi e di creare nessi e
rapporti umani è il cellulare.
Cellulare è una parola che trae la sua
etimologia da cella, una parola latina che vuol dire stanzetta (si
pensi alle celle di una prigione o di un monastero: posti chiusi e segregati!),
una stanza al pian terreno, chiusa, dove venivano conservati i prodotti
agricoli, una cantina (che si chiama infatti cellarium in latino); cella
è in rapporto con il greco antico kalìa che vuol dire capanna/casetta.
D’altra parte anche nelle lingue anglosassoni (e per prestito anche da noi)
la hall indica l’atrio, l’ingresso, una stanza dove
si sosta, in locali come alberghi e case in genere.
Paradosso:
il villaggio è globale, tutto il mondo è un paese, ma ciascun paesano è contemporaneamente
chiuso, tramite un cellulare, nella sua cella e connesso, sempre
tramite il cellulare, alla rete globale, il che equivale a dire che ci
conosciamo tutti e non conosciamo nessuno, che siamo in relazioni con tutti in
tutti i momenti e sempre soli; che condividiamo tutto e nessuna idea o
ideologia o valore universale; un riflusso postmoderno che si apre ad un
neorealismo ipermoderno, dove ciò che è reale, come i rapporti tra gli uomini,
è voluto, pensato e creato da ciò che prima è virtuale,
artificiale: che sia uno dei primi passi timidi (ma non tanto!) verso una
subordinazione dell’uomo e dell’umano alla macchina e al virtuale, come in un
racconto distopico di George Orwell.
*****
Dall’ideologia all’idiozia:
flussi e riflussi.
Leggo
stamattina sul blog di un amico: “triste il paese che ha bisogno di grilli
parlanti come moralizzatori”.
Oltre che
bello è intelligente l’accostamento tra il grillo parlante della favola e il
“grillismo” imperante nel panorama politico e barista italiano.
Sì, perché
principalmente l’atteggiamento del grillino è quello del politicante da bar, il
quale è sentitamente deluso dai partiti di destra e di sinistra, come pure
degli uomini e tenta di creare un’alternativa allo status quo esistente.
La
questione, tuttavia, si pone ad uno stadio più a monte e più antico in ordine
di connessioni di causa ed effetto: si è delusi dai partiti, abbiamo
detto.
Quali
partiti?
La parola
partito, participio passato del verbo partire, nel senso di dividere, ha quindi
come significato “diviso”, cioè ha preso la sua parte, si è distanziato
IDEOLOGICAMENTE dagli altri partiti. Però è noto a tutti che non si sente più
parlare di partito da almeno un ventennio.
Di uomini
sì, se è vero che i manifesti elettorali sembrano immagini da profilo di
Facebook.
E allora?
Allora ne
consegue che non c’è più una netta separazione ideologica.
Anzi, non
c’è più nemmeno una separazione.
Un po’ come
il gioco del calcio è quindi questa politica, dove non ci sono più
partiti, ma squadre, ognuna identica alle altre, ognuna col solo obbiettivo di
fare gol e governare.
L’ideologia
e la separazione sono condannate alla damnatio
memoriae.
In nome di
che cosa poi?
Perché
questa persecuzione delle ideologie?
Mi si
potrebbe rispondere: “per evitare che esse degenerino ancora, come spesso è successo
nella storia, in fanatismo e portino a stragi, catastrofi, guerre e
distruzioni”.
A mio
avviso, la motivazione è un tantino più sottile e la espongo, seppure sarò
tacciato di essere l’ennesimo chiacchierone da bar: l’ideologia, correlata e
conseguente alla consapevolezza di sé inserito nel contesto società che mi
circonda, farebbe risaltare in maniera netta e nitida quello che succede
davvero nelle alte sfere del potere economico, nei movimenti di capitale.
Questa
coscienza della vera reale situazione sarebbe generata, e creerebbe a sua volta
dei dubbi sull’agire del singolo, non pilotato né indirizzato più verso scelte
di mercato, verso l’imitazione e la ripetizione meccanica ed ossessiva di
comportamenti e valori borghesi o pseudo-tali.
Traballerebbe
l’establishment, i vari massoni, i potenti.
La cultura,
quella dell’incompetente, quella dello studio a tavolino senza nessuna
remunerazione o ricompensa istantanea, è la sola chiave in grado di far tremare
questo colosso.
Infatti è
per questo che si parla di competenze, nella scuola: una scuola che non conduce
alla cognizione di se stessi e del mondo circostante, una scuola che pretende,
per dirla con una metafora che sa di coprolalia, di insegnare ad ignorare il
fatto che siamo merde dentro un gabinetto, creando l’illusione di insegnare,
tramite la competenze, a nuotare nel cesso.
Il riflusso,
sic stantibus rebus, dentro la casa e
nel bar è figlio ed è genitore e fa perpetuare questo moto perpetuo del mondo.
Domenico
Passantino
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