Manlio Rossi Doria. Un professore nella terra dell'osso
Franco Arminio
Io non
sono uno studioso del pensiero di Manlio Rossi-Doria. Chi vuole
approfondire l'argomento può leggere almeno uno dei suoi libri o una
sua biografia scritta da Simone Misiani e pubblicata recentemente
dall'editore Rubettino. S'intitola semplicemente
Manlio Rossi-Doria, sottotitolo Un
riformatore del novecento.
Non ho alcun titolo per scrivere di lui. Posso vantare solo una contiguità toponomastica. Ho scritto un libro intitolato Terracarne. Ho fatto un film intitolato Terramossa. Organizzo una serie di eventi culturali intitolati Terrascritta. Allora il mio è un contributo inattendibile. Non parlerò dello studioso ma della cosa studiata. Parlerò della terra.
Non ho alcun titolo per scrivere di lui. Posso vantare solo una contiguità toponomastica. Ho scritto un libro intitolato Terracarne. Ho fatto un film intitolato Terramossa. Organizzo una serie di eventi culturali intitolati Terrascritta. Allora il mio è un contributo inattendibile. Non parlerò dello studioso ma della cosa studiata. Parlerò della terra.
Il
mezzogiorno nudo. Rossi-Doria ha
studiato e frequentato i luoghi dove vivo. Il suo primo discorso
parlamentare fu tutto centrato su una diagnosi dei problemi dell'Alta
Irpinia, quella che lui chiamava Terra dell'osso e io adesso chiamo
Irpinia d'Oriente.
L'ho visto alcune volte all'osteria di mio padre. Arrivato a tarda sera dopo qualche comizio in zona. Mi piaceva quando arrivava gente che si metteva a parlare di politica. Mi sedevo su una sedia e ascoltavo. Lui veniva coi socialisti della zona. Non mi ricordo una sua frase, non mi ricordo la sua voce. Molti anni dopo, quando ho cominciato le mie scarne letture politiche, ho sentito parlare di terra dell'osso, la famosa formulazione concepita per le nostre zone, contrapposte a quelle costiere definite della polpa. L'ho sentita dire tante volte e mi sono messa a dirla pure io. Forse però andrebbe rimessa in circolazione una sua distinzione pronunciata in un convegno del 1944 tra Mezzogiorno nudo e Mezzogiorno alberato. Una distinzione che a me interessa anche in termini estetici: penso al fatto che il Mezzogiorno nudo somiglia non poco al west che gli americani tanto hanno celebrato nei loro film e che noi poco abbiamo immortalato nei nostri.
Rossi-Doria e Scotellaro. Mi fa sempre impressione leggere che il poeta lucano morì improvvisamente a trent'anni. Morì per un infarto mentre era a Portici, dove lavorava su invito del professore. Io ho pensato tante volte che mi stava venendo un infarto. Rossi-Doria mi ha portato a Scotellaro e dunque alla paura dell'infarto. La poesia, la terra, l'infarto. Questo è il triangolo. Tre lati, tre brani di lettere che il professore scrive al poeta.
L'ho visto alcune volte all'osteria di mio padre. Arrivato a tarda sera dopo qualche comizio in zona. Mi piaceva quando arrivava gente che si metteva a parlare di politica. Mi sedevo su una sedia e ascoltavo. Lui veniva coi socialisti della zona. Non mi ricordo una sua frase, non mi ricordo la sua voce. Molti anni dopo, quando ho cominciato le mie scarne letture politiche, ho sentito parlare di terra dell'osso, la famosa formulazione concepita per le nostre zone, contrapposte a quelle costiere definite della polpa. L'ho sentita dire tante volte e mi sono messa a dirla pure io. Forse però andrebbe rimessa in circolazione una sua distinzione pronunciata in un convegno del 1944 tra Mezzogiorno nudo e Mezzogiorno alberato. Una distinzione che a me interessa anche in termini estetici: penso al fatto che il Mezzogiorno nudo somiglia non poco al west che gli americani tanto hanno celebrato nei loro film e che noi poco abbiamo immortalato nei nostri.
Rossi-Doria e Scotellaro. Mi fa sempre impressione leggere che il poeta lucano morì improvvisamente a trent'anni. Morì per un infarto mentre era a Portici, dove lavorava su invito del professore. Io ho pensato tante volte che mi stava venendo un infarto. Rossi-Doria mi ha portato a Scotellaro e dunque alla paura dell'infarto. La poesia, la terra, l'infarto. Questo è il triangolo. Tre lati, tre brani di lettere che il professore scrive al poeta.
Ricominciare
cento volte
“A ben guardare nella disperazione dei nostri contadini - che io ho veduto anche di recente in Calabria - non so se è maggiore la rabbia per chi ha pittato la luna o per chi ha sbarrato i portoni. Anche io sono come te: ho profonda fiducia d'un lavoro serio, animato dalla ribellione al conformismo del tempo. Ma, sai, una ribellione fredda; senza fumi, alimentata da un lavoro cocciuto e paziente che alla fine ce la deve fare a riuscire. È in questo senso che ho impostato tutta la mia vita. Dalla politica per ora mi sono ritirato e faccio la politica del mestiere: è uno sforzo lento e lungo.
Il fatto è, caro Rocco, che a vincere e cambiare questa dannata condizione umana dei contadini che ha millenni dietro di sé, occorre molto più che lo sforzo di pochi anni o pochi miliardi. E quando si chiude una fase e tutto tende a ritornare come prima, bisogna avere il coraggio di ricominciare anche dieci, anche cento volte.
È ben vero che il lavoro non si può e non si deve fare al di fuori dei contadini ma coi contadini. E la vera maledizione di quella miserabile nostra riforma è che l'abbiamo voluta fare senza i contadini. Ma il lavoro non è principalmente di sovvertimento, ma di costruzione, di educazione, di selezione, di differenziazione, di creare individui e varietà, di individuare problemi e trovare ciascuno la sua diversa soluzione, di unir gli uomini, ma di lasciarli anche vivere ciascuno a suo modo. Solo l'intelligenza, la cultura, la libertà, la critica, oltre alla solidarietà e al rispetto del legame civile possono risolvere questi problemi”.
Quando lo sentivo nominare non sapevo che l'autore della terra dell'osso era romano. Non sapevo neppure che Pasquale Saraceno era della Valtellina e Danilo Dolci era triestino. Sapevo solo la cosa che sapevano tutti, che Carlo Levi era di Torino. E Carlo Levi nell'Orologio, così ritrae Rossi-Doria: «Stava a cavallo con un piede sulla politica pura e l'altro sulla pura tecnica, ma questa stessa incertezza gli chiariva le idee, gli impediva di fossilizzarsi in una abitudine mentale, lo conservava vivo e appassionato».
“A ben guardare nella disperazione dei nostri contadini - che io ho veduto anche di recente in Calabria - non so se è maggiore la rabbia per chi ha pittato la luna o per chi ha sbarrato i portoni. Anche io sono come te: ho profonda fiducia d'un lavoro serio, animato dalla ribellione al conformismo del tempo. Ma, sai, una ribellione fredda; senza fumi, alimentata da un lavoro cocciuto e paziente che alla fine ce la deve fare a riuscire. È in questo senso che ho impostato tutta la mia vita. Dalla politica per ora mi sono ritirato e faccio la politica del mestiere: è uno sforzo lento e lungo.
Il fatto è, caro Rocco, che a vincere e cambiare questa dannata condizione umana dei contadini che ha millenni dietro di sé, occorre molto più che lo sforzo di pochi anni o pochi miliardi. E quando si chiude una fase e tutto tende a ritornare come prima, bisogna avere il coraggio di ricominciare anche dieci, anche cento volte.
È ben vero che il lavoro non si può e non si deve fare al di fuori dei contadini ma coi contadini. E la vera maledizione di quella miserabile nostra riforma è che l'abbiamo voluta fare senza i contadini. Ma il lavoro non è principalmente di sovvertimento, ma di costruzione, di educazione, di selezione, di differenziazione, di creare individui e varietà, di individuare problemi e trovare ciascuno la sua diversa soluzione, di unir gli uomini, ma di lasciarli anche vivere ciascuno a suo modo. Solo l'intelligenza, la cultura, la libertà, la critica, oltre alla solidarietà e al rispetto del legame civile possono risolvere questi problemi”.
Quando lo sentivo nominare non sapevo che l'autore della terra dell'osso era romano. Non sapevo neppure che Pasquale Saraceno era della Valtellina e Danilo Dolci era triestino. Sapevo solo la cosa che sapevano tutti, che Carlo Levi era di Torino. E Carlo Levi nell'Orologio, così ritrae Rossi-Doria: «Stava a cavallo con un piede sulla politica pura e l'altro sulla pura tecnica, ma questa stessa incertezza gli chiariva le idee, gli impediva di fossilizzarsi in una abitudine mentale, lo conservava vivo e appassionato».
Al
Palio del grano
“In questo momento a me una sola cosa importa: capir dentro a questo oscuro processo che vedo in atto nelle campagne. Per questo sono preso da una vera frenesia di girare, di vedere, di prender contatto con la terra. E non vedo l'ora di tornare giù nel Mezzogiorno, di girare paese per paese”. Con questo frammento da una lettera all'irpino Guido Dorso posso associare Rossi-Doria alla paesologia. Io gli somiglio nel mio girare paese per paese, purtroppo non ho la sua stessa veemenza nello studiare.
Consiglio di amministrazione dello Svimez, consigliere della Cassa di Mezzogiorno, senatore nel Partito Socialista italiano: la prova, rara, che si può rimanere onesti e occupare poltrone importanti.
Il centro di specializzazione ricerche economico-agrarie di Portici da solo valeva la nomina a ministro dell'agricoltura, che non è mai arrivata.
Ho pensato a Rossi Doria passando nei giorni scorsi a Caselle in Pittari, nel Cilento, dove sono andato a vedere il Palio del grano. Il palio si è svolto di domenica, preceduto da una settimana di alfabetizzazione rurale. Io sono arrivato il venerdì. Ho parlato in un piccolo anfiteatro fatto con le balle di fieno. Quando si arriva in un'esperienza che è già cominciata a volte si fatica a trovare il senso di quello che sta accadendo. È comunque stato bello vedere i computer appoggiati per terra. Sentire parlare ragazzi venuti da tutta Italia, da paesi e città, mi ha fatto pensare alla mia vecchia formula di coniugare il computer e il pero selvatico. Non so se in mezzo a loro c'è un altro Rossi-Doria. Magari qualcuno è venuto semplicemente per inquietudine o per trovare compagnie sessuali. Niente di male. Anzi, molto bene, se si considera quello che è accaduto la domenica. Io non ci credevo, pensavo che il palio del grano fosse una delle tante cose un po' finte che si fanno nelle estati paesane. E invece mi sono trovato dentro una festa contadina semplice e possente, un piccolo miracolo rurale. Volendo essere cattivi si può dire che i falciatori del grano divisi per paesi facevano pensare a una versione alla buona di giochi senza frontiere. E poi che senso ha mettere le persone a falciare il grano quando è una pratica che qui non farà mai più nessuno? E proprio qui la faccenda è curiosa: non ho sentito in alcun momento della giornata il soffio della paesanologia. Vedere un vecchio modo di mietere senza che si producesse un'aria nostalgica. L'aria non era quella di una sagra, l'aria era quella di una nuova alleanza tra i contadini (che ci sono ancora) e i ragazzi delle città e dei paesi, che cominciano a guardare alla campagna perché sentono che il modello capitalistico non promette più nulla di buono.
Rossi-Doria ha lavorato contromano, per tutti gli ultimi trent'anni della sua vita si è occupato di un mondo in fuga da se stesso, ha profuso ogni suo sforzo per frenare la rottamazione del mondo contadino. Adesso non è più così. A Caselle in Pittari, dentro il Cilento, io ho visto qualcosa di importante. Alla fine i giovani organizzatori hanno assegnato un piccolo pezzo di terra a ognuno dei ragazzi che ha partecipato al corso. So bene che tutte le persone, molte centinaia, che mangiavano strette strette sull'aia, in un meraviglioso affresco corale, adesso stanno nelle loro case, magari consegnate alla tristezza dell'autismo di massa, ma qualcosa è accaduto.
Quello che ho capito è che le persone quando stanno in una cerimonia che ha senso danno il meglio di loro stesse: l'ardore dei mietitori era commovente. Forse il disincanto e il cinismo di cui tanto parliamo sono solo un filo di polvere, sotto c'è ancora qualcosa che luccica. Bisogna aggiornare l'agenda del nostro nichilismo: forse siamo meglio di quello che pensiamo, alla fine siamo più vicini a Rossi-Doria che a Craxi. Sarebbe il caso che i terreni demaniali fossero affidati ai giovani, sarebbe il caso di aprire una grande stagione di ritorno alla terra.
“In questo momento a me una sola cosa importa: capir dentro a questo oscuro processo che vedo in atto nelle campagne. Per questo sono preso da una vera frenesia di girare, di vedere, di prender contatto con la terra. E non vedo l'ora di tornare giù nel Mezzogiorno, di girare paese per paese”. Con questo frammento da una lettera all'irpino Guido Dorso posso associare Rossi-Doria alla paesologia. Io gli somiglio nel mio girare paese per paese, purtroppo non ho la sua stessa veemenza nello studiare.
Consiglio di amministrazione dello Svimez, consigliere della Cassa di Mezzogiorno, senatore nel Partito Socialista italiano: la prova, rara, che si può rimanere onesti e occupare poltrone importanti.
Il centro di specializzazione ricerche economico-agrarie di Portici da solo valeva la nomina a ministro dell'agricoltura, che non è mai arrivata.
Ho pensato a Rossi Doria passando nei giorni scorsi a Caselle in Pittari, nel Cilento, dove sono andato a vedere il Palio del grano. Il palio si è svolto di domenica, preceduto da una settimana di alfabetizzazione rurale. Io sono arrivato il venerdì. Ho parlato in un piccolo anfiteatro fatto con le balle di fieno. Quando si arriva in un'esperienza che è già cominciata a volte si fatica a trovare il senso di quello che sta accadendo. È comunque stato bello vedere i computer appoggiati per terra. Sentire parlare ragazzi venuti da tutta Italia, da paesi e città, mi ha fatto pensare alla mia vecchia formula di coniugare il computer e il pero selvatico. Non so se in mezzo a loro c'è un altro Rossi-Doria. Magari qualcuno è venuto semplicemente per inquietudine o per trovare compagnie sessuali. Niente di male. Anzi, molto bene, se si considera quello che è accaduto la domenica. Io non ci credevo, pensavo che il palio del grano fosse una delle tante cose un po' finte che si fanno nelle estati paesane. E invece mi sono trovato dentro una festa contadina semplice e possente, un piccolo miracolo rurale. Volendo essere cattivi si può dire che i falciatori del grano divisi per paesi facevano pensare a una versione alla buona di giochi senza frontiere. E poi che senso ha mettere le persone a falciare il grano quando è una pratica che qui non farà mai più nessuno? E proprio qui la faccenda è curiosa: non ho sentito in alcun momento della giornata il soffio della paesanologia. Vedere un vecchio modo di mietere senza che si producesse un'aria nostalgica. L'aria non era quella di una sagra, l'aria era quella di una nuova alleanza tra i contadini (che ci sono ancora) e i ragazzi delle città e dei paesi, che cominciano a guardare alla campagna perché sentono che il modello capitalistico non promette più nulla di buono.
Rossi-Doria ha lavorato contromano, per tutti gli ultimi trent'anni della sua vita si è occupato di un mondo in fuga da se stesso, ha profuso ogni suo sforzo per frenare la rottamazione del mondo contadino. Adesso non è più così. A Caselle in Pittari, dentro il Cilento, io ho visto qualcosa di importante. Alla fine i giovani organizzatori hanno assegnato un piccolo pezzo di terra a ognuno dei ragazzi che ha partecipato al corso. So bene che tutte le persone, molte centinaia, che mangiavano strette strette sull'aia, in un meraviglioso affresco corale, adesso stanno nelle loro case, magari consegnate alla tristezza dell'autismo di massa, ma qualcosa è accaduto.
Quello che ho capito è che le persone quando stanno in una cerimonia che ha senso danno il meglio di loro stesse: l'ardore dei mietitori era commovente. Forse il disincanto e il cinismo di cui tanto parliamo sono solo un filo di polvere, sotto c'è ancora qualcosa che luccica. Bisogna aggiornare l'agenda del nostro nichilismo: forse siamo meglio di quello che pensiamo, alla fine siamo più vicini a Rossi-Doria che a Craxi. Sarebbe il caso che i terreni demaniali fossero affidati ai giovani, sarebbe il caso di aprire una grande stagione di ritorno alla terra.
Dopo
il terremotoNon sapevo che aveva
subito prima l'arresto e poi il confino, a San Fele, non lontano dal
mio paese. In galera divideva il tempo equamente tra studio ed
esercizio fisico.
Rossi-Doria o Baudrillard? Non ho dubbi, scelgo il primo: cambiare la realtà, stando ben dentro nella realtà, identificare il centro della politica nei territori, immagino politiche diverse per diversi territori, importanza dello studio per pianificare interventi, esaltazione della democrazia vissuta in forma comunitaria.
A me colpisce la sua passione per il lavoro, la sua lontananza da un sud accidioso e amorale che si sceglie classi dirigenti altrettanto accidiose e amorali: “Ho l'impressione che a lavorare veramente, oggi, in questa Italia liberata, non ci sia che la gente del mercato nero, le puttane e i contadini, oltre ai preti ed alla gente che ha da salvare le sue vecchie posizioni guadagnate negli anni addietro”.
Nonostante le condizioni di salute precarie, nel 1980 si reca in Irpinia e Basilicata per elaborare un piano per la ricostruzione dei paesi colpiti dal terremoto. Non lo ascoltarono. I democristiani che comandavano a Roma comandavano anche nelle zone terremotate, non potevano lasciarsi sfuggire l'occasione di usare la catastrofe per rimpinguare le loro tasche e il loro consenso.
Lui parlava di politica del mestiere. Quelli che contestano i mestieranti della politica dovrebbero studiare il lavoro di un uomo come lui, il suo pragmatismo senza furbizie: “Continuo a lavorare nel Mezzogiorno, convinto come sono che l'unica cosa che conta è lavorare sodo attorno ai problemi concreti, riuscendo a realizzare di mano in mano quel poco che si può, cercando di accumulare esperienze e capacità effettive, per quando dovesse servire”.
Rossi-Doria o Baudrillard? Non ho dubbi, scelgo il primo: cambiare la realtà, stando ben dentro nella realtà, identificare il centro della politica nei territori, immagino politiche diverse per diversi territori, importanza dello studio per pianificare interventi, esaltazione della democrazia vissuta in forma comunitaria.
A me colpisce la sua passione per il lavoro, la sua lontananza da un sud accidioso e amorale che si sceglie classi dirigenti altrettanto accidiose e amorali: “Ho l'impressione che a lavorare veramente, oggi, in questa Italia liberata, non ci sia che la gente del mercato nero, le puttane e i contadini, oltre ai preti ed alla gente che ha da salvare le sue vecchie posizioni guadagnate negli anni addietro”.
Nonostante le condizioni di salute precarie, nel 1980 si reca in Irpinia e Basilicata per elaborare un piano per la ricostruzione dei paesi colpiti dal terremoto. Non lo ascoltarono. I democristiani che comandavano a Roma comandavano anche nelle zone terremotate, non potevano lasciarsi sfuggire l'occasione di usare la catastrofe per rimpinguare le loro tasche e il loro consenso.
Lui parlava di politica del mestiere. Quelli che contestano i mestieranti della politica dovrebbero studiare il lavoro di un uomo come lui, il suo pragmatismo senza furbizie: “Continuo a lavorare nel Mezzogiorno, convinto come sono che l'unica cosa che conta è lavorare sodo attorno ai problemi concreti, riuscendo a realizzare di mano in mano quel poco che si può, cercando di accumulare esperienze e capacità effettive, per quando dovesse servire”.
Campagne
spopolateVoleva coniugare lo sviluppo
economico con la coesione sociale, la salvaguardia delle risorse
naturali con l'intensificazione produttivistica,
l'infrastrutturazione con la difesa degli equilibri del territorio: e
invece abbiamo avuto le acciaierie killer e lo spopolamento delle
campagne. Non si può dire che non si è battuto per le sue idee e
come spesso accade nella vita le idee migliori germogliano quando chi
le ha prodotte non c'è più. Rossi-Doria è uno degli intellettuali
del nostro futuro, altri li avvisteremo presto tra i ragazzi che
mettono l'agricoltura al centro della loro vita e di quella del
pianeta.
«I governi hanno fallito nel loro ruolo, la terra è l'unica salvezza, e va messa in mano a chi la coltiva. Invito i giovani a occupare la terra così come stanno occupando le piazze». Questo invito di Vandana Shiva è un seme gettato nel solco lungamente arato da Rossi-Doria. Forse oggi le sue analisi da economista agrario del novecento possono sembrare troppo condizionate dal tarlo dello sviluppo, ma i politici italiani, compresi i tecnici, molto avrebbero da imparare se trovassero il tempo di chinarsi nel suo solco.
«I governi hanno fallito nel loro ruolo, la terra è l'unica salvezza, e va messa in mano a chi la coltiva. Invito i giovani a occupare la terra così come stanno occupando le piazze». Questo invito di Vandana Shiva è un seme gettato nel solco lungamente arato da Rossi-Doria. Forse oggi le sue analisi da economista agrario del novecento possono sembrare troppo condizionate dal tarlo dello sviluppo, ma i politici italiani, compresi i tecnici, molto avrebbero da imparare se trovassero il tempo di chinarsi nel suo solco.
“il
manifesto”, 31 luglio 2012
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