Il
mitraismo, culto per molti versi affine al cristianesimo, affascina
ancora l'uomo moderno. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli
studi e le pubblicazioni. Proponiamo oggi la prima parte di una
ricerca di Guido Araldo sui rapporti fra mitraismo, cristianesimo e
massoneria incentrata soprattutto sull'analisi dei simboli.
Guido Araldo
Hiram o
Mithra-Pitagora?
Il
culto del dio Mithra è antichissimo e vantò una diffusione enorme
nell’Impero Romano: fu sconfitto dal cristianesimo poiché si
trattava di un rito esoterico, fortemente iniziatico, dallo scarso
proselitismo, peraltro escluso alle donne; mentre la “buona
novella” cristiana era e resta un culto essoterico, aperto a tutti,
dall’esasperato proselitismo.
Ma quante affinità tra
mitraismo e cristianesimo! Il dio Mithra nasce il 25 dicembre, da una
vergine e, dopo la morte, risorge in tre giorni… Un culto
antichissimo di origine indo-iranica, già noto nel XV secolo A.
Cristo, citato in un trattato tra Hittiti e Mitanni: popoli dominanti
nel Medio Oriente. Anche il mitraismo si articolava in una trinità
divina, similmente a Iside, Osiride e Horus in Egitto; alle elleniche
Themis, Tyche e Ananke, alle divinità capitoline di Giove, Giunone e
Minerva, e al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo nel
cristianesimo. Mithra, divinità solare, era associato ad Ahura
Mazda, sublime demiurgo del mondo, e a Indra, signore del fulmine,
della pioggia, della fertilità e della magia.
Proprio l’identificazione
nel sole giustifica la presenza di Mithra nei più antichi trattati
di pace: dal cielo il dio vigila e controlla, imponendo agli uomini
onestà e lealtà. Una divinità dispensatrice di giustizia, garante
d’armonia tanto tra gli esseri umani quanto nel divenire cosmico,
corrispondente al panta rei di Eraclito. L’origine semantica della
parola Mithra deriva dall’iranico (m)ithr = giustizia, giuramento.
In antichissime sculture il dio porge la mano a re e principi.
Nell’impero romano, a
partire da Marco Aurelio, sta accanto all’imperatore nel ruolo di
tutore dell’ordine nel grande impero e dell’armonia universale.
Il suo culto s’affacciò su orizzonti mediterranei con l’epopea
di Alessandro il Macedone, che sotto il segno di Zeus - Amon –
Mithra costituì il primo impero universale esteso dalle rive del
Nilo e del Danubio a quelle dell’Indo e all’Oxos, l’attuale Amu
Darya. Indubbia testimonianza di questa stagione è il nome Mitridate
(dono di Mithra), assunto nei secoli dai re del Ponto.
Allorché Ipparco di
Nicea nel II secolo A. C. scoprì la precessione degli equinozi,
Mithra fu identificato nel motore di tanta cosmica armonia. Sussisto
illuminanti collegamenti con il progressivo retrocedere apparente
delle costellazioni in cielo, in una cadenza approssimativa di circa
2.200 anni. Ai tempi remoti dei Sumeri e degli Egizi il sole
incrociava la costellazione del Toro all’equinozio di primavera;
successivamente, al tempo dei Fenici, il sole incrociava la
costellazione dell’Ariete; quindi la costellazione dei Pesci
all’inizio dell’impero romano. Ora, presto, toccherà
all’Acquario…
Non a caso, al toro o bue
sono collegate le civiltà più antiche, inclusa palesemente quella
minoica; in Egitto il bue sacro Api simboleggiava il Nilo, massimo
bene, con il disco del sole tra le corna. A quei tempi al toro
corrispondeva l’equinozio della primavera, al leone il solstizio
d’estate (la Sfinge?), allo scorpione, in altre culture l’aquila,
l’equinozio di autunno, e all’acquario, identificato
successivamente nell’angelo, il solstizio d’inverno. Fin
dall’antichità più remota sono questi i pilastri del cielo, le
porte del tempo astronomico: il toro o bue, il leone, lo scorpione o
aquila, l’acquario o angelo. I simboli degli evangelisti!
Duemila duecento anni
dopo alla costellazione del toro subentrò quella dell’ariete, ed
ecco l’ariete alato di Babilonia, il grande Amon dell’Alto
Egitto, Baal tra Fenici e Cartaginesi al tempo della loro grande
espansione nel Mediterraneo, fin oltre le colonne d’Ercole.
Il cristianesimo andò
progressivamente affermandosi all’inizio dell’era dei Pesci e,
non a caso, il pesce divenne fin dalle origini il simbolo
iconografico di Cristo: l’unto del Signore. La parola greca ΙΧΘΥΣ,
pesce, assurse ad acronimo delle iniziali “Gesù Cristo,
figlio di Dio, salvatore”. I primi discepoli furono identificati in
pescatori…
Presso i Greci Mithra fu
abbinato all’eroe Perseo, dai calzari alati, che recise il capo
alla terribile Medusa. Fu logico e naturale il suo ingresso a Roma
accanto alla dea Cibele, dopo che “la conica pietra nera” salvò
la città sulle rive del Tevere nei giorni drammatici della seconda
guerra punica, quando Annibale era alle porte. La prima, profonda
rivoluzione religiosa nelle strade di Roma, con il progressivo
declino degli dèi etruschi – latini, estesa poi a tutto il suo
impero.
Con l’espandersi
dell’impero romano i “misteri” esoterici e iniziatici di Mithra
non ebbero confini: gli ufficiali romani lo elessero loro protettore
e intere legioni ne diffusero il culto su tutti gli orizzonti che
raggiunsero. A questo culto fu riservato un ruolo importante nel
delicato passaggio dalla repubblica all’impero, che comportò la
divinizzazione del princeps: rappresentante pacificatore di Mithra in
Terra, giustificandone la priorità su senatori e cittadini romani.
Gl’imperatori del II e
III secolo intravidero nel suo culto lo strumento per garantire la
fedeltà di militari, funzionari e magistrati. Tale processo giunse
all’apice, allorché l’imperatore Aureliano identificò il dio
Mithra nel Sol Invictus, rendendolo la principale divinità del
pantheon romano e istituì la grande festa del sol invictus dies
natalis: il Natale, il 25 dicembre. Pochi anni dopo, nell’anno 308,
quando i tetrarchi Diocleziano, Galerio e Massimiano s’incontrarono
a Cornuntum, intesero elevare una grande ara in onore al Sol Invictus
– Mithra, garante dell’eterna armonia dell’Impero Romano.
Ma per il Sol Invictus -
Mithra il tempo volgeva al termine: arrivò Costantino e fu più
forte la fede cristiana della madre Elena della simbologia mitraica
di suo padre Costanzo Cloro; accadde così che l’astro del dio
solare giunto dalla Persa cominciò a declinare, ad eccezione della
breve parentesi dell’imperatore Giuliano. In seguito, con Teodosio
e soprattutto con sant’Ambrogio, tutto sembrò irrimediabilmente
perduto. Ma fu così?
Il culto mitraico aveva
un fondamento misterico, con insondabili connessioni con la filosofia
iniziatica pitagorica, come traspare nella misteriosa basilica
sotterranea di Porta Maggiore a Roma: scavata nella terra per restare
nascosta.
Oltre al toro cosmico,
sacrificato da Mithra, altri animali ne accompagnavano il culto: il
cane, il serpente e lo scorpione, nell’estremità opposta nello
zodiaco rispetto al toro; ora costellazioni celesti, come Perseo e
Andromeda che, in realtà, è la galassia più prossima alla Via
Lattea. Più ancora, dalla coda del toro affiorava una spiga di
grano: il pane e il sangue esattamente come nei riti eleusini e nel
rito dell’eucarestia cristiana. Simbologie profonde, rinnovate nei
secoli.
Mithra nasce da una
pietra o da un uovo, simboleggiante la sua centralità nella volta
celeste. I templi mitraici, solitamente ipogei, presentavano la volta
stellata del cielo e i segni dello zodiaco lungo le pareti laterali,
a simboleggiare l’intero universo e il suo divenire. Gli adepti
sedevano su panche, sovente in pietra, addossate alle pareti, e tra
queste panche non erano rare colonne o lesene. L’ara al centro del
tempio... Quale similitudine con altri templi moderni!
I riti misterici si
concludevano con un’agape fraterna, similmente ai simposi
pitagorici. Ai gradi inferiori era chiesto di cucinare e servire a
tavola. L’ingresso al mitreo era costituito da una scalinata di
sette gradini, con una nicchia laterale nella quale era riposta la
statua di Cibele, divinità ctonia per eccellenza: Mater Tellus per i
Romani, simbolo di sapienza gnostica, complementare a Minerva.
Solitamente la pavimentazione era a mosaico con tessere bianche e
nere, ammiccante a mitologie fortemente emblematiche, simili a quelle
nella misteriosa basilica sotterranea di Porta Maggiore: Medea che
offre la bevanda magica al drago, custode del vello d’oro, o il
suicidio della poetessa Saffo che si getta in mare da un’alta rupe
nell’isola di Leucade. Nell’abside a Oriente era raffigurato il
giovane dio nell’atto di sgozzare il toro alla presenza del Sole e
della Luna che, tuttavia, sembrano distogliere lo sguardo, in
sintonia con l’ostilità di Zoroastro per i cruenti sacrifici
animali.
Lo stesso Mithra volge
sempre il capo nella direzione opposta alla testa del toro, quasi
inorridito da quell’atto necessario. Emblematici, nell’affresco,
Cautes e Cautopates, portatori di luce, “diaconi” in altri
rituali, quasi uno sdoppiamento di Prometeo – Lucifero: il primo
con la fiaccola rivolta verso l’alto, a indicare le conoscenze
palesi; l’altro con la fiaccola abbassata, alla ricerca delle
verità nascoste. Simboli, anche, dell’alternarsi dei solstizi, con
il cammino celeste del sole che eternamente avanza e arretra. Sette
scalini per accedere allo scanno del maestro – sacerdote, la cui
maestosità era simboleggiata dalla stella fiammeggiante del pentalfa
pitagorico collocata tra la luna e il sole.
Lo stesso pentalfa che in
tempi moderni sarà simbolo usato e abusato, tanto dalla Marina
Militare Americana, essenza della potenza talassocratica degli Stati
Uniti, quanto dall’Armata Rossa sovietica; stemma della Repubblica
Italiana e simbolo delle Brigate Rosse che lo desunsero dai Tupamaros
rivoluzionari uruguayani, risalente per la verità ai patrioti
massoni, tra cui lo stesso Garibaldi, che resero possibile
l’indipendenza dell’Uruguay.
II parte
La
narrazione della leggenda di Mithra, dalle profonde implicazioni cosmologiche e
teologiche, s’intersecò in Occidente con l’armonia cosmica dei numeri di
Pitagora e alla sua musica arcana: un connubio finora raramente esplorato, ma
estremamente interessante. Si trattò di un salto di qualità e di una
metamorfosi del culto.
Labili
tracce indicano sette gradi iniziatici, corrispondenti peraltro ai giorni della
settimana in un periodo in cui nell’impero romano erano in uso le pridie e le
idi; per cui la suddivisione dell’anno in settimane, di sette giorni ciascuna,
era sconosciuta. Fu proprio l’imperatore Aureliano, seguace del culto di Mithra
a proporre la rivoluzione del calendario introducendo una nuova ripartizione
dei mesi, in settimane, il 25 dicembre 274, durante una memorabile cerimonia. E
i giorni della settimana corrispondevano ai gradi iniziatici dei riti mitraici,
collegati ai sette “pianeti” all’epoca noti.
Il primo
grado era quello di Cautopates, quasi il Bagatto dei Tarocchi, che inizia il
percorso con la fiaccola rivolta verso il basso, ad indagare “le cose arcane”
sotto il benefico influsso della luna. Ed ecco il lunedì.
Seguiva il
miles, il soldato di Marte-Dioniso; dio delle gemme e dei germogli, della rinascita
e della potenza della natura, che induce il seme a germogliare rigenerando il
mondo, la gemma a sbocciare, abbellendolo; il membro maschile a inturgidirsi,
rinnovando l’umanità. Ed ecco il martedì.
Terzo grado
era il corax: il nero corvo, corrispondente al cielo di Mercurio, già allora
simbolo della prima metamorfosi alchemica, l’opera al nero: la nigredo. Ed ecco
il mercoledì.
Seguiva il
leone corrispondente al pianeta Giove, signore delle folgori e quarto pianeta:
il leone simbolo della forza, meglio ancora della fortitudo, la prima virtù. Ed
ecco il giovedì.
Quinto grado
il nymphus: candido sposo di Venere, intriso di bellezza, seconda virtù,
speculare al cielo della dea. Il candore è quello bianco dell’albedo: l’opera
al bianco, seconda metamorfosi alchemica. Ed ecco il venerdì.
Seguiva il
cielo di Saturno, il padre dell’umanità, il signore dell’età dell’oro; alludeva
al completamento dell’opera alchemica, il piombo o mirra finalmente trasformati
in oro: l’opera al rosso, l’ultima metamorfosi, la rubedo, l’adepto simile ad
araba fenice che rinasce rigenerato dalle proprie ceneri. Saturno era anche il
dio della conoscenza e pertanto allegoria della terza virtù: la sapienza. Ecco
il giorno di Saturno, trasformato nel sabato ebraico dai cristiani; ma nella
lingua inglese è rimasto il senso originario: Saturday, ovvero giorno di
Saturno. All’epoca in cui il giorno di Saturno divenne il sabato, le legioni
romane già avevano lasciato la Britannia.
Settimo e
ultimo grado l’heliodromus, il corriere del sole, corrispondente al settimo
cielo, settimo pianeta: la fiaccola ben alta verso il cielo ad illuminare la
strada. Cautopates è diventato Cautes!I due fratelli che s’incontrano sotto i
raggi del solo nella XVIIII carta cedei Tarocchi. Il percorso iniziatico è
finito, si è giunti all’empireo, esattamente il viaggio in paradiso di Dante.
Il settimo giorno della settimana era la festa del “dies solis”, finché un
decreto dell’imperatore Teodosio, su ispirazione di sant’Ambrogio, lo trasformò
nel “dies dominicus”: giorno del Signore. Come Dio si era riposato nel settimo
giorno della Genesi, così ogni abitante dell’impero si sarebbe riposato,
rispettando e onorando quel giorno sacro.
Fu
inizialmente un giorno di riposo per le liti giuridiche, per gli affari, per la
riscossione dei debiti; ben presto esteso a tutte le attività umane. Anche in
questo caso l’editto non fu recepito nella grande isola della Britannia, dove
l’ultimo giorno della settimana restò il giorno del sole: Sunday mentre in
tutto l’Impero Romano i padri della Chiesa si adoperarono con estrema celerità
a cancellare qualsiasi riferimento mitraico nelle feste cristiane. Malgrado
tanto zelo e fervore, nelle grotte Vaticane, proprio sotto la basilica di San
Pietro, è ancora visibile un bellissimo mosaico raffigurante Cristo nelle
sembianze del “Deus Solis”, databile all’incirca all’anno 250.
Cosa
portavano i “re magi” giunti dall’Oriente, dove si alza il sole e dove il canto
degli uccelli è più melodioso, quando si recarono in rispettosa visita a Gesù
bambino nella grotta? La mirra: allegoria della nigredo; l’incenso, ovvero
l’albedo, e l’oro, la rubedo. Maghi alchemici mitraici?
La traccia
più importante è costituita dal misterioso “papiro magico” di Parigi, che
descrive la tauroctonia mitraica, accompagnata da inni religiosi-magici.
Mitreo di
Santa Prisca
Tre
divinità, altamente simboliche, accompagnavano i misteri mitraici – pitagorici:
Afrodite, Marte – Dioniso custode della forza arcana che induce il seme a
germogliare, la gemma a sbocciare, il membro maschile a inturgidirsi, e Cibele
– Minerva, nota presso i cristiani come pistis Sophia. Divinità non andate
perdute, anche se Ercole ha sostituito Marte – Dioniso. E poi il berretto
frigio indossato da Mithra, inaspettato simbolo della Rivoluzione Francese
allorché le logge parigine cercarono di cavalcare l’impeto popolare…
Mithra si
manifestava in cielo in due occasioni, ai solstizi: il 25 dicembre e il 24
giugno, quando il sole inverte palesemente il suo cammino. La Chiesa vi
sovrappose i due Giovanni: san Giovanni Evangelista, scivolato al 27 dicembre per
lasciar posto al dies Natalis e a santo Stefano, e san Giovanni Battista. I
“fuochi” notturni che un tempo accompagnavano queste due date: il “gioco delle
scintille “le feye” in piemontese, da non confondere con le “smuye”, nella
notte di Natale, e i falò di san Giovanni al solstizio d’estate (“la luna e i
falò” di Cesare Pavese). Momenti di purificazione e divinazione, quando la
rugiada si fa magica e le fate volano in cielo, come l’etrusca Strenia, da cui
"strenna", trasformate successivamente in streghe. “Fuochi
benaugurali” in sintonia con ben più antiche “feste del fuoco” zoroastriane.
Il mitraismo
pitagorico perseguiva il perfezionamento individuale lungo un sentiero di
simboliche prove. E’ noto, ad esempio, che l’aspirante al terzo grado, quello consono
a Marte - Dioniso, veniva introdotto nel tempio nudo, con un cappuccio in testa
e una corda al collo, simboleggianti rispettivamente la cecità del profano e i
vizi umani che lo rendono schiavo. In ginocchio, davanti all’ara, gli veniva
offerta una corona sulla punta di una lancia: nell’accettarla esclamava “il dio
Mithra è la mia corona!” Allora era indotto a bere un misterioso intruglio
inebriante a base di miele, dolciastro, che alludeva alla dolcezza interiore
arrecata dallo svelamento dei misteri di Mithra e Pitagora. Nel grado del
leone, associato a Giove, si teneva un banchetto rituale a base di focacce, il
pane, e vino: alludeva all’ultima cena del dio con i suoi compagni, prima della
sua ascesa sul carro celeste del sole.
Iniziazione
massonica
Gli iniziati
s’identificavano tra loro con particolari strette di mano. Proprio da queste
strette di mano ebbe origine il saluto più comune, tuttora in uso. Più
importante e altamente simbolica la catena “psichica”, oggi nota come catena
d’unione, in grado di convergere forze telluriche e celesti in coloro che la
praticano.
Il mitraismo
pitagorico ambiva dischiudere l’orizzonte del “mondo oltre il mondo”. Oggi
restano molti segni esteriori, tipici di quel rito misterico: la recita di
preghiere simili a un mantra, come nel caso del santo rosario; le mani giunte,
la genuflessione, la pubblica confessione delle proprie colpe, con relativa
penitenza; l’unzione, tipica del settimo e ultimo grado, trasformata in cresima
dal cristianesimo; l’esposizione dell’ostia, allusione al disco solare; il
sacerdozio maschile trattandosi di un culto solare, il concetto di Paradiso:
parola che in persiano significa giardino, la speranza di rinascita, l’uso
dell’incenso e dell’aspersorio, i lumi accesi davanti all’ara, il copricapo dei
vescovi che ancora oggi, non a caso, continua a chiamarsi mitra; la stola,
l’architettura delle basiliche desunta dai grandi mitrei più che dai tribunali.
Dopo tredici
secoli di buio, a parte fugaci squarci di luce, come nelle chiese di Rosslyn in
Scozia e di Saliceto sulle Langhe più alte, nell’emblematico giorno di san
Giovanni d’estate, il 24 giugno del 1717, tre logge londinesi e una di
Westminster si riunirono nella taverna dell’Oca e della Graticola e da
quell’incontro ebbe origine la Gran Loggia d’Inghilterra e una storia nuova per
l’umanità. Non fu un inizio facile! Ben presto gli “Antichi” si contrapposero
ai “Moderni”, con l’intento di preservare i caratteri originali di ordinamenti
antichi contaminati dalle nuove costituzioni di Anderson e dei duchi di
Wharton. Ci fu gran fermento nelle logge speculative di “liberi muratori,
scalpellini e carpentieri” risalenti ai primi anni del secolo precedente,
operative in Scozia e in Inghilterra, se non nelle nuove colonie del Nord
America che avrebbero generato gli Stati Uniti.
Non erano
gradite le nuove “costituzioni di Anderson”. A loro parere lassù, attorno al
Vallo di Adriano, non c’erano soltanto le legioni, ma i “collegia artificum et
fabrorum” che fornivano il necessario supporto tecnico, il cui sincretismo
religioso non era andato perduto. Sant’Albano, l’evangelizzatore della
Britannia, ebbe a lamentarsi di come il culto mitraico fosse radicato nella
grande isola dei Britanni e riscontrò difficoltà nel debellarlo; soprattutto
nel suo centro di massimo radicamento: la città di Eburacum, l’attuale York,
dov’erano morti due imperatori romani dediti ai misteri mitraici: Settimio
Severo e Costanzo Cloro.
Nel lento
fluire dei secoli, i “collegia artificum et fabrorum” si rivelarono preziosi
nella costruzione di castelli e, soprattutto, di cattedrali e monasteri. Per
questo motivo furono apprezzati e tollerati, nonostante i loro segreti
corporativi. Si trattava di corporazioni itineranti, con approdi sicuri nei
monasteri. Poi, lentamente, sembrarono scomparire nelle tenebre dell’alto
medioevo, ma così non fu: ricomparvero dopo un sonno lungo quattro secoli,
nell’epoca romanica e gotica; ai tempi della rinascita dell’Europa. La loro
presenza fu particolarmente significativa nell’Italia Settentrionale, nella
Francia normanna e in Inghilterra; per nuovamente scomparire dopo la caduta
dell’Ordine dei Templari.
Gli
“Antichi” si opposero risolutamente alla modernità illuministica delle
costituzioni di Anderson, finché non fu riconosciuto il filone esoterico avulso
dalla soffocante tradizione cristiano-giudaica. Come evidenziato da ricercatori
e studiosi, la misteriosa formula V.I.T.R.I.O.L. deriverebbe da culti mitraici
– pitagorici e l’enigmatico acronimo alchemico “Visita Interiora Terrae
Rectificando Invenies Occultam Lapidem” ne sarebbe la sintesi: soltanto
scendendo negli ipogei mitrei, correggendo il proprio comportamento, si potrà
rinvenire la pietra nascosta.
Altrettanto
enigmatica la triangolazione tra pitagorismo, mitraismo e orfismo, dove il
rigoroso studio della matematica, della musica, della geometria,
dell’astronomia e della filosofia si amalgama a riti misterici antichissimi. Un
afflato culturale insolito ma importantissimo: autentica anticipazione della
cultura moderna.
Giamblico,
nella “Vita di Pitagora”, ricorda: “Di fronte ad estranei, i profani come sono
da loro chiamati, i pitagorici parlano attraverso simboli, a volte usando frasi
banali, dal significato recondito”.
L'originalità
della scuola pitagorica consisteva nell’eccezionale presenza di una comunità
scientifica, inedita nell’antichità: un’aggregazione di filosofi che, per un
breve periodo, riuscì a governare aristocraticamente grandi città della Magna
Grecia.
Per i
pitagorici il peccato era una sintesi di brutalità e ignoranza. Soltanto
liberandosi dal peso di “questo piombo” ci avvicinava all’oro dell’intelligenza
divina: il pneuma o soffio che alita nell’universo, rendendolo armonioso.
L’amore per la conoscenza: la filosofia φιλεῖν (fileîn) amare e σοφία (sofìa),
sapienza, costituisce la vera libertà. Ancora una volta l’esortazione
dell’Ulisse dantesco: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir
virtute e canoscenza”.
2. Fine
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