30 gennaio 2017

SIMBOLI E RITI DEL CULTO DI MITRA 1 e 2


Il mitraismo, culto per molti versi affine al cristianesimo, affascina ancora l'uomo moderno. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi e le pubblicazioni. Proponiamo oggi la prima parte di una ricerca di Guido Araldo sui rapporti fra mitraismo, cristianesimo e massoneria incentrata soprattutto sull'analisi dei simboli.

Guido Araldo

Hiram o Mithra-Pitagora?
Il culto del dio Mithra è antichissimo e vantò una diffusione enorme nell’Impero Romano: fu sconfitto dal cristianesimo poiché si trattava di un rito esoterico, fortemente iniziatico, dallo scarso proselitismo, peraltro escluso alle donne; mentre la “buona novella” cristiana era e resta un culto essoterico, aperto a tutti, dall’esasperato proselitismo.

Ma quante affinità tra mitraismo e cristianesimo! Il dio Mithra nasce il 25 dicembre, da una vergine e, dopo la morte, risorge in tre giorni… Un culto antichissimo di origine indo-iranica, già noto nel XV secolo A. Cristo, citato in un trattato tra Hittiti e Mitanni: popoli dominanti nel Medio Oriente. Anche il mitraismo si articolava in una trinità divina, similmente a Iside, Osiride e Horus in Egitto; alle elleniche Themis, Tyche e Ananke, alle divinità capitoline di Giove, Giunone e Minerva, e al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo nel cristianesimo. Mithra, divinità solare, era associato ad Ahura Mazda, sublime demiurgo del mondo, e a Indra, signore del fulmine, della pioggia, della fertilità e della magia.

Proprio l’identificazione nel sole giustifica la presenza di Mithra nei più antichi trattati di pace: dal cielo il dio vigila e controlla, imponendo agli uomini onestà e lealtà. Una divinità dispensatrice di giustizia, garante d’armonia tanto tra gli esseri umani quanto nel divenire cosmico, corrispondente al panta rei di Eraclito. L’origine semantica della parola Mithra deriva dall’iranico (m)ithr = giustizia, giuramento. In antichissime sculture il dio porge la mano a re e principi.

Nell’impero romano, a partire da Marco Aurelio, sta accanto all’imperatore nel ruolo di tutore dell’ordine nel grande impero e dell’armonia universale. Il suo culto s’affacciò su orizzonti mediterranei con l’epopea di Alessandro il Macedone, che sotto il segno di Zeus - Amon – Mithra costituì il primo impero universale esteso dalle rive del Nilo e del Danubio a quelle dell’Indo e all’Oxos, l’attuale Amu Darya. Indubbia testimonianza di questa stagione è il nome Mitridate (dono di Mithra), assunto nei secoli dai re del Ponto.
Allorché Ipparco di Nicea nel II secolo A. C. scoprì la precessione degli equinozi, Mithra fu identificato nel motore di tanta cosmica armonia. Sussisto illuminanti collegamenti con il progressivo retrocedere apparente delle costellazioni in cielo, in una cadenza approssimativa di circa 2.200 anni. Ai tempi remoti dei Sumeri e degli Egizi il sole incrociava la costellazione del Toro all’equinozio di primavera; successivamente, al tempo dei Fenici, il sole incrociava la costellazione dell’Ariete; quindi la costellazione dei Pesci all’inizio dell’impero romano. Ora, presto, toccherà all’Acquario…

Non a caso, al toro o bue sono collegate le civiltà più antiche, inclusa palesemente quella minoica; in Egitto il bue sacro Api simboleggiava il Nilo, massimo bene, con il disco del sole tra le corna. A quei tempi al toro corrispondeva l’equinozio della primavera, al leone il solstizio d’estate (la Sfinge?), allo scorpione, in altre culture l’aquila, l’equinozio di autunno, e all’acquario, identificato successivamente nell’angelo, il solstizio d’inverno. Fin dall’antichità più remota sono questi i pilastri del cielo, le porte del tempo astronomico: il toro o bue, il leone, lo scorpione o aquila, l’acquario o angelo. I simboli degli evangelisti!

Duemila duecento anni dopo alla costellazione del toro subentrò quella dell’ariete, ed ecco l’ariete alato di Babilonia, il grande Amon dell’Alto Egitto, Baal tra Fenici e Cartaginesi al tempo della loro grande espansione nel Mediterraneo, fin oltre le colonne d’Ercole.

Il cristianesimo andò progressivamente affermandosi all’inizio dell’era dei Pesci e, non a caso, il pesce divenne fin dalle origini il simbolo iconografico di Cristo: l’unto del Signore. La parola greca ΙΧΘΥΣ, pesce, assurse ad acronimo delle iniziali “Gesù Cristo, figlio di Dio, salvatore”. I primi discepoli furono identificati in pescatori…

Presso i Greci Mithra fu abbinato all’eroe Perseo, dai calzari alati, che recise il capo alla terribile Medusa. Fu logico e naturale il suo ingresso a Roma accanto alla dea Cibele, dopo che “la conica pietra nera” salvò la città sulle rive del Tevere nei giorni drammatici della seconda guerra punica, quando Annibale era alle porte. La prima, profonda rivoluzione religiosa nelle strade di Roma, con il progressivo declino degli dèi etruschi – latini, estesa poi a tutto il suo impero.

Con l’espandersi dell’impero romano i “misteri” esoterici e iniziatici di Mithra non ebbero confini: gli ufficiali romani lo elessero loro protettore e intere legioni ne diffusero il culto su tutti gli orizzonti che raggiunsero. A questo culto fu riservato un ruolo importante nel delicato passaggio dalla repubblica all’impero, che comportò la divinizzazione del princeps: rappresentante pacificatore di Mithra in Terra, giustificandone la priorità su senatori e cittadini romani.

Gl’imperatori del II e III secolo intravidero nel suo culto lo strumento per garantire la fedeltà di militari, funzionari e magistrati. Tale processo giunse all’apice, allorché l’imperatore Aureliano identificò il dio Mithra nel Sol Invictus, rendendolo la principale divinità del pantheon romano e istituì la grande festa del sol invictus dies natalis: il Natale, il 25 dicembre. Pochi anni dopo, nell’anno 308, quando i tetrarchi Diocleziano, Galerio e Massimiano s’incontrarono a Cornuntum, intesero elevare una grande ara in onore al Sol Invictus – Mithra, garante dell’eterna armonia dell’Impero Romano.

Ma per il Sol Invictus - Mithra il tempo volgeva al termine: arrivò Costantino e fu più forte la fede cristiana della madre Elena della simbologia mitraica di suo padre Costanzo Cloro; accadde così che l’astro del dio solare giunto dalla Persa cominciò a declinare, ad eccezione della breve parentesi dell’imperatore Giuliano. In seguito, con Teodosio e soprattutto con sant’Ambrogio, tutto sembrò irrimediabilmente perduto. Ma fu così?

Il culto mitraico aveva un fondamento misterico, con insondabili connessioni con la filosofia iniziatica pitagorica, come traspare nella misteriosa basilica sotterranea di Porta Maggiore a Roma: scavata nella terra per restare nascosta.

Oltre al toro cosmico, sacrificato da Mithra, altri animali ne accompagnavano il culto: il cane, il serpente e lo scorpione, nell’estremità opposta nello zodiaco rispetto al toro; ora costellazioni celesti, come Perseo e Andromeda che, in realtà, è la galassia più prossima alla Via Lattea. Più ancora, dalla coda del toro affiorava una spiga di grano: il pane e il sangue esattamente come nei riti eleusini e nel rito dell’eucarestia cristiana. Simbologie profonde, rinnovate nei secoli.

Mithra nasce da una pietra o da un uovo, simboleggiante la sua centralità nella volta celeste. I templi mitraici, solitamente ipogei, presentavano la volta stellata del cielo e i segni dello zodiaco lungo le pareti laterali, a simboleggiare l’intero universo e il suo divenire. Gli adepti sedevano su panche, sovente in pietra, addossate alle pareti, e tra queste panche non erano rare colonne o lesene. L’ara al centro del tempio... Quale similitudine con altri templi moderni!
I riti misterici si concludevano con un’agape fraterna, similmente ai simposi pitagorici. Ai gradi inferiori era chiesto di cucinare e servire a tavola. L’ingresso al mitreo era costituito da una scalinata di sette gradini, con una nicchia laterale nella quale era riposta la statua di Cibele, divinità ctonia per eccellenza: Mater Tellus per i Romani, simbolo di sapienza gnostica, complementare a Minerva. Solitamente la pavimentazione era a mosaico con tessere bianche e nere, ammiccante a mitologie fortemente emblematiche, simili a quelle nella misteriosa basilica sotterranea di Porta Maggiore: Medea che offre la bevanda magica al drago, custode del vello d’oro, o il suicidio della poetessa Saffo che si getta in mare da un’alta rupe nell’isola di Leucade. Nell’abside a Oriente era raffigurato il giovane dio nell’atto di sgozzare il toro alla presenza del Sole e della Luna che, tuttavia, sembrano distogliere lo sguardo, in sintonia con l’ostilità di Zoroastro per i cruenti sacrifici animali.

Lo stesso Mithra volge sempre il capo nella direzione opposta alla testa del toro, quasi inorridito da quell’atto necessario. Emblematici, nell’affresco, Cautes e Cautopates, portatori di luce, “diaconi” in altri rituali, quasi uno sdoppiamento di Prometeo – Lucifero: il primo con la fiaccola rivolta verso l’alto, a indicare le conoscenze palesi; l’altro con la fiaccola abbassata, alla ricerca delle verità nascoste. Simboli, anche, dell’alternarsi dei solstizi, con il cammino celeste del sole che eternamente avanza e arretra. Sette scalini per accedere allo scanno del maestro – sacerdote, la cui maestosità era simboleggiata dalla stella fiammeggiante del pentalfa pitagorico collocata tra la luna e il sole.

Lo stesso pentalfa che in tempi moderni sarà simbolo usato e abusato, tanto dalla Marina Militare Americana, essenza della potenza talassocratica degli Stati Uniti, quanto dall’Armata Rossa sovietica; stemma della Repubblica Italiana e simbolo delle Brigate Rosse che lo desunsero dai Tupamaros rivoluzionari uruguayani, risalente per la verità ai patrioti massoni, tra cui lo stesso Garibaldi, che resero possibile l’indipendenza dell’Uruguay.
 II parte




La narrazione della leggenda di Mithra, dalle profonde implicazioni cosmologiche e teologiche, s’intersecò in Occidente con l’armonia cosmica dei numeri di Pitagora e alla sua musica arcana: un connubio finora raramente esplorato, ma estremamente interessante. Si trattò di un salto di qualità e di una metamorfosi del culto.

Labili tracce indicano sette gradi iniziatici, corrispondenti peraltro ai giorni della settimana in un periodo in cui nell’impero romano erano in uso le pridie e le idi; per cui la suddivisione dell’anno in settimane, di sette giorni ciascuna, era sconosciuta. Fu proprio l’imperatore Aureliano, seguace del culto di Mithra a proporre la rivoluzione del calendario introducendo una nuova ripartizione dei mesi, in settimane, il 25 dicembre 274, durante una memorabile cerimonia. E i giorni della settimana corrispondevano ai gradi iniziatici dei riti mitraici, collegati ai sette “pianeti” all’epoca noti.

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Il primo grado era quello di Cautopates, quasi il Bagatto dei Tarocchi, che inizia il percorso con la fiaccola rivolta verso il basso, ad indagare “le cose arcane” sotto il benefico influsso della luna. Ed ecco il lunedì.

Seguiva il miles, il soldato di Marte-Dioniso; dio delle gemme e dei germogli, della rinascita e della potenza della natura, che induce il seme a germogliare rigenerando il mondo, la gemma a sbocciare, abbellendolo; il membro maschile a inturgidirsi, rinnovando l’umanità. Ed ecco il martedì.

Terzo grado era il corax: il nero corvo, corrispondente al cielo di Mercurio, già allora simbolo della prima metamorfosi alchemica, l’opera al nero: la nigredo. Ed ecco il mercoledì.

Seguiva il leone corrispondente al pianeta Giove, signore delle folgori e quarto pianeta: il leone simbolo della forza, meglio ancora della fortitudo, la prima virtù. Ed ecco il giovedì.

Quinto grado il nymphus: candido sposo di Venere, intriso di bellezza, seconda virtù, speculare al cielo della dea. Il candore è quello bianco dell’albedo: l’opera al bianco, seconda metamorfosi alchemica. Ed ecco il venerdì.

Seguiva il cielo di Saturno, il padre dell’umanità, il signore dell’età dell’oro; alludeva al completamento dell’opera alchemica, il piombo o mirra finalmente trasformati in oro: l’opera al rosso, l’ultima metamorfosi, la rubedo, l’adepto simile ad araba fenice che rinasce rigenerato dalle proprie ceneri. Saturno era anche il dio della conoscenza e pertanto allegoria della terza virtù: la sapienza. Ecco il giorno di Saturno, trasformato nel sabato ebraico dai cristiani; ma nella lingua inglese è rimasto il senso originario: Saturday, ovvero giorno di Saturno. All’epoca in cui il giorno di Saturno divenne il sabato, le legioni romane già avevano lasciato la Britannia.

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Settimo e ultimo grado l’heliodromus, il corriere del sole, corrispondente al settimo cielo, settimo pianeta: la fiaccola ben alta verso il cielo ad illuminare la strada. Cautopates è diventato Cautes!I due fratelli che s’incontrano sotto i raggi del solo nella XVIIII carta cedei Tarocchi. Il percorso iniziatico è finito, si è giunti all’empireo, esattamente il viaggio in paradiso di Dante. Il settimo giorno della settimana era la festa del “dies solis”, finché un decreto dell’imperatore Teodosio, su ispirazione di sant’Ambrogio, lo trasformò nel “dies dominicus”: giorno del Signore. Come Dio si era riposato nel settimo giorno della Genesi, così ogni abitante dell’impero si sarebbe riposato, rispettando e onorando quel giorno sacro.

Fu inizialmente un giorno di riposo per le liti giuridiche, per gli affari, per la riscossione dei debiti; ben presto esteso a tutte le attività umane. Anche in questo caso l’editto non fu recepito nella grande isola della Britannia, dove l’ultimo giorno della settimana restò il giorno del sole: Sunday mentre in tutto l’Impero Romano i padri della Chiesa si adoperarono con estrema celerità a cancellare qualsiasi riferimento mitraico nelle feste cristiane. Malgrado tanto zelo e fervore, nelle grotte Vaticane, proprio sotto la basilica di San Pietro, è ancora visibile un bellissimo mosaico raffigurante Cristo nelle sembianze del “Deus Solis”, databile all’incirca all’anno 250.

Cosa portavano i “re magi” giunti dall’Oriente, dove si alza il sole e dove il canto degli uccelli è più melodioso, quando si recarono in rispettosa visita a Gesù bambino nella grotta? La mirra: allegoria della nigredo; l’incenso, ovvero l’albedo, e l’oro, la rubedo. Maghi alchemici mitraici?

La traccia più importante è costituita dal misterioso “papiro magico” di Parigi, che descrive la tauroctonia mitraica, accompagnata da inni religiosi-magici.

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    Mitreo di Santa Prisca

Tre divinità, altamente simboliche, accompagnavano i misteri mitraici – pitagorici: Afrodite, Marte – Dioniso custode della forza arcana che induce il seme a germogliare, la gemma a sbocciare, il membro maschile a inturgidirsi, e Cibele – Minerva, nota presso i cristiani come pistis Sophia. Divinità non andate perdute, anche se Ercole ha sostituito Marte – Dioniso. E poi il berretto frigio indossato da Mithra, inaspettato simbolo della Rivoluzione Francese allorché le logge parigine cercarono di cavalcare l’impeto popolare…

Mithra si manifestava in cielo in due occasioni, ai solstizi: il 25 dicembre e il 24 giugno, quando il sole inverte palesemente il suo cammino. La Chiesa vi sovrappose i due Giovanni: san Giovanni Evangelista, scivolato al 27 dicembre per lasciar posto al dies Natalis e a santo Stefano, e san Giovanni Battista. I “fuochi” notturni che un tempo accompagnavano queste due date: il “gioco delle scintille “le feye” in piemontese, da non confondere con le “smuye”, nella notte di Natale, e i falò di san Giovanni al solstizio d’estate (“la luna e i falò” di Cesare Pavese). Momenti di purificazione e divinazione, quando la rugiada si fa magica e le fate volano in cielo, come l’etrusca Strenia, da cui "strenna", trasformate successivamente in streghe. “Fuochi benaugurali” in sintonia con ben più antiche “feste del fuoco” zoroastriane.

Il mitraismo pitagorico perseguiva il perfezionamento individuale lungo un sentiero di simboliche prove. E’ noto, ad esempio, che l’aspirante al terzo grado, quello consono a Marte - Dioniso, veniva introdotto nel tempio nudo, con un cappuccio in testa e una corda al collo, simboleggianti rispettivamente la cecità del profano e i vizi umani che lo rendono schiavo. In ginocchio, davanti all’ara, gli veniva offerta una corona sulla punta di una lancia: nell’accettarla esclamava “il dio Mithra è la mia corona!” Allora era indotto a bere un misterioso intruglio inebriante a base di miele, dolciastro, che alludeva alla dolcezza interiore arrecata dallo svelamento dei misteri di Mithra e Pitagora. Nel grado del leone, associato a Giove, si teneva un banchetto rituale a base di focacce, il pane, e vino: alludeva all’ultima cena del dio con i suoi compagni, prima della sua ascesa sul carro celeste del sole.

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    Iniziazione massonica

Gli iniziati s’identificavano tra loro con particolari strette di mano. Proprio da queste strette di mano ebbe origine il saluto più comune, tuttora in uso. Più importante e altamente simbolica la catena “psichica”, oggi nota come catena d’unione, in grado di convergere forze telluriche e celesti in coloro che la praticano.

Il mitraismo pitagorico ambiva dischiudere l’orizzonte del “mondo oltre il mondo”. Oggi restano molti segni esteriori, tipici di quel rito misterico: la recita di preghiere simili a un mantra, come nel caso del santo rosario; le mani giunte, la genuflessione, la pubblica confessione delle proprie colpe, con relativa penitenza; l’unzione, tipica del settimo e ultimo grado, trasformata in cresima dal cristianesimo; l’esposizione dell’ostia, allusione al disco solare; il sacerdozio maschile trattandosi di un culto solare, il concetto di Paradiso: parola che in persiano significa giardino, la speranza di rinascita, l’uso dell’incenso e dell’aspersorio, i lumi accesi davanti all’ara, il copricapo dei vescovi che ancora oggi, non a caso, continua a chiamarsi mitra; la stola, l’architettura delle basiliche desunta dai grandi mitrei più che dai tribunali.

Dopo tredici secoli di buio, a parte fugaci squarci di luce, come nelle chiese di Rosslyn in Scozia e di Saliceto sulle Langhe più alte, nell’emblematico giorno di san Giovanni d’estate, il 24 giugno del 1717, tre logge londinesi e una di Westminster si riunirono nella taverna dell’Oca e della Graticola e da quell’incontro ebbe origine la Gran Loggia d’Inghilterra e una storia nuova per l’umanità. Non fu un inizio facile! Ben presto gli “Antichi” si contrapposero ai “Moderni”, con l’intento di preservare i caratteri originali di ordinamenti antichi contaminati dalle nuove costituzioni di Anderson e dei duchi di Wharton. Ci fu gran fermento nelle logge speculative di “liberi muratori, scalpellini e carpentieri” risalenti ai primi anni del secolo precedente, operative in Scozia e in Inghilterra, se non nelle nuove colonie del Nord America che avrebbero generato gli Stati Uniti.

Non erano gradite le nuove “costituzioni di Anderson”. A loro parere lassù, attorno al Vallo di Adriano, non c’erano soltanto le legioni, ma i “collegia artificum et fabrorum” che fornivano il necessario supporto tecnico, il cui sincretismo religioso non era andato perduto. Sant’Albano, l’evangelizzatore della Britannia, ebbe a lamentarsi di come il culto mitraico fosse radicato nella grande isola dei Britanni e riscontrò difficoltà nel debellarlo; soprattutto nel suo centro di massimo radicamento: la città di Eburacum, l’attuale York, dov’erano morti due imperatori romani dediti ai misteri mitraici: Settimio Severo e Costanzo Cloro.

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Nel lento fluire dei secoli, i “collegia artificum et fabrorum” si rivelarono preziosi nella costruzione di castelli e, soprattutto, di cattedrali e monasteri. Per questo motivo furono apprezzati e tollerati, nonostante i loro segreti corporativi. Si trattava di corporazioni itineranti, con approdi sicuri nei monasteri. Poi, lentamente, sembrarono scomparire nelle tenebre dell’alto medioevo, ma così non fu: ricomparvero dopo un sonno lungo quattro secoli, nell’epoca romanica e gotica; ai tempi della rinascita dell’Europa. La loro presenza fu particolarmente significativa nell’Italia Settentrionale, nella Francia normanna e in Inghilterra; per nuovamente scomparire dopo la caduta dell’Ordine dei Templari.

Gli “Antichi” si opposero risolutamente alla modernità illuministica delle costituzioni di Anderson, finché non fu riconosciuto il filone esoterico avulso dalla soffocante tradizione cristiano-giudaica. Come evidenziato da ricercatori e studiosi, la misteriosa formula V.I.T.R.I.O.L. deriverebbe da culti mitraici – pitagorici e l’enigmatico acronimo alchemico “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultam Lapidem” ne sarebbe la sintesi: soltanto scendendo negli ipogei mitrei, correggendo il proprio comportamento, si potrà rinvenire la pietra nascosta.

Altrettanto enigmatica la triangolazione tra pitagorismo, mitraismo e orfismo, dove il rigoroso studio della matematica, della musica, della geometria, dell’astronomia e della filosofia si amalgama a riti misterici antichissimi. Un afflato culturale insolito ma importantissimo: autentica anticipazione della cultura moderna.

Giamblico, nella “Vita di Pitagora”, ricorda: “Di fronte ad estranei, i profani come sono da loro chiamati, i pitagorici parlano attraverso simboli, a volte usando frasi banali, dal significato recondito”.

L'originalità della scuola pitagorica consisteva nell’eccezionale presenza di una comunità scientifica, inedita nell’antichità: un’aggregazione di filosofi che, per un breve periodo, riuscì a governare aristocraticamente grandi città della Magna Grecia.

Per i pitagorici il peccato era una sintesi di brutalità e ignoranza. Soltanto liberandosi dal peso di “questo piombo” ci avvicinava all’oro dell’intelligenza divina: il pneuma o soffio che alita nell’universo, rendendolo armonioso. L’amore per la conoscenza: la filosofia φιλεῖν (fileîn) amare e σοφία (sofìa), sapienza, costituisce la vera libertà. Ancora una volta l’esortazione dell’Ulisse dantesco: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.


2. Fine

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