S. Caterina da Siena
Pubblicata da Laterza
una biografia di Caterina da Siena, figura femminile centrale di un
Trecento segnato da una profonda crisi economica, politica e sociale.
Marina Montesano
L’apprendistato
spirituale di una mistica trasgressiva
Il Trecento è stato un
secolo di profonda crisi per l’Europa. Apertosi con un
peggioramento climatico e numerose carestie, continuò con la crisi
economica e culminò con l’arrivo della Peste Nera, che infierì
per circa tre anni. Anche molte istituzioni sembravano vacillare: con
la Guerra dei Cent’Anni; con il trasferimento del papato ad
Avignone e, a partire dal 1378, con lo scisma fra Chiesa avignonese e
Chiesa romana mentre la cristianità pullulava di movimenti
dissidenti, ma anche di laici devoti che sceglievano forme di vita
alternativa per professare la propria fede; con l’Italia corsa
dalle Compagnie di Ventura e dilaniata dalla lotte intestine. In
questo clima, le rivolte si accompagnavano all’aumento di pratiche
devozionali, a volte collettive, come le processioni, a volte
individuali: la mistica, il profetismo erano spesso parte del
panorama culturale e spirituale di quei decenni.
È Sun questa temperie
che si colloca la breve vita di Caterina Benincasa. Nacque il 25
marzo 1347, un anno prima dell’inizio dell’epidemia di peste. Era
la ventiquattresima di venticinque tra figlie e figli di Lapa e
Jacopo Benincasa, tintore di posizione agiata. Morì il 29 aprile
1380, a soli 33 anni. Canonizzata dal concittadino Pio II (Enea
Silvio Piccolomini) il 29 giugno del 1461, Caterina sarebbe divenuta
una tra le sante più venerate della Chiesa cattolica.
La sua vita e il suo
pensiero sono testimoniati da un blocco cospicuo di fonti, come
l’agiografia scritta da Raimondo di Capua, il domenicano suo
confessore dal 1374; e soprattutto dai testi scritti, o almeno
dettati, da lei stessa: il «Libro» o Dialogo, le preghiere e
soprattutto le epistole: ce ne sono arrivate ben 383; alcune sono di
carattere privato, molte pubbliche rivolte a pontefici e autorità.
Ce ne parla una biografia
scritta dal celebre storico francese André Vauchez: Caterina da
Siena. Una mistica trasgressiva (Laterza, pp. 216, euro 20), che
tuttavia è molto più che un semplice profilo della sua esistenza e
delle opere. Secondo l’agiografia, era ancora una bambina di sei
anni, quando ebbe la sua prima visione. Potrebbe tuttavia trattarsi
di una anticipazione rispetto al suo vissuto successivo, non rara nei
testi agiografici; ma sappiamo che intorno ai quindici anni visse una
grave crisi in concomitanza con la morte di una sorella maggiore.
L’evento la lasciò prostrata; la famiglia avrebbe voluto farla sposare al cognato vedovo, ma Caterina si rifiutò facendo invece voto di castità: all’inizio incompresa dalla famiglia, che la costrinse a vivere da reclusa.
È probabilmente in
questi anni traumatici che maturò alcuni tratti, quali l’anoressia,
che ne avrebbero caratterizzato l’esistenza. E sono molto belle,
profondamente sensibili le pagine che Vauchez dedica alla questione,
tracciando un parallelo (entrambe morirono di stenti) tra i digiuni
di Caterina e quelli di Simone Weil: un parallelo non facile, poiché
il rischio di attualizzazioni è sempre presente, come ricorda
l’autore.
Secondo la tradizione, fu
necessaria una sorta di rivelazione presentatasi anche al padre per
consentirle di vivere come aveva fermamente deciso. Nel 1363 l’Ordine
domenicano decise di accoglierla tra le sue terziarie laiche. Fu
allora che ricevette le sue visioni più celebri: il Bambino Gesù
che le poneva al dito l’anello delle mistiche nozze o che scambiava
il cuore con il suo; e cominciò a radunare i suoi primi seguaci,
chiamati «caterinati». La sua attività non si limitò più solo
alle lunghe veglie di preghiera, di penitenza, di punizioni corporali
autoinflitte e di digiuno.
Ebbe inizio la sua intensa attività caritatevole, ma soprattutto una vorticosa alacrità epistolografica.
Ebbe inizio la sua intensa attività caritatevole, ma soprattutto una vorticosa alacrità epistolografica.
I temi costanti erano il
ritorno del papa a Roma, la moralizzazione dei costumi del clero, la
necessità di organizzare una nuova crociata e la pace tra i
cristiani. Nel 1376 partì per Avignone, dove fu ricevuta da Gregorio
XI, che aveva ripetutamente esortato a rientrare a Roma. È
un’esperienza di vita che Vauchez definisce di «matriarcato
spirituale», in cui Caterina riuscì a trascendere le categorie di
genere per affermarsi come figura al di fuori degli schemi
precostituiti. E alla quale questa bella ricostruzione rende un
sentito omaggio.
Il manifesto – 3
gennaio 2017
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