12 gennaio 2017

OGGI CI VORREBBERO TANTI DON MILANI





In questo blog, se cercate con il motore di ricerca interno, trovate diversi pezzi dedicati al grande educatore. La lettura della sua famosa Lettera ad una professoressa è stata decisiva per la mia formazione. Non avevo neppure 18 anni ed ero ancora un giovane dell'Azione Cattolica di Marineo, quando scoprii Don Milani. Ricordo ancora che organizzai una lettura di gruppo della  Lettera nei locali parrocchiali del paese. Allora non avevo letto neppure un rigo di Gramsci e Pasolini. Scoprii molti anni dopo che lo scrittore corsaro arrivò a considerare  quel libro come uno dei testi più rivoluzionari del 900. fv


Luca Kocci

La battaglia quotidiana per una scuola del tutto “non di classe”


Cinquanta anni fa, il 26 giugno 1967, moriva don Lorenzo Milani. Di orgiine ebraica, appartenente a una famiglia borghese dell’intelligencija laica – anzi anticlericale – fiorentina, a vent’anni si convertì al cattolicesimo, diventò prete, si sforzò di vivere il Vangelo in modo radicale accanto ai giovani operai di Calenzano e ai giovanissimi montanari del Mugello, scontrandosi con i poteri politici, militari e clericali dell’Italia democristiana e conformista degli anni ’50 e ’60, legò la sua vita e la sua azione pastorale alle lotte civili per una scuola democratica e non di classe e per l’obiezione di coscienza al militarismo, fu autore di testi dirompenti come la Lettera ai cappellani militari e, insieme ai ragazzi e alle ragazze della scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa.

In questo 2017, cinquantesimo anniversario della morte, a don Milani saranno dedicati convegni e libri, alcuni già usciti nelle scorse settimane, altri in calendario nei prossimi mesi. A cominciare dal volume dei Meridiani Mondadori – in primavera – che raccoglierà per la prima volta l’opera omnia di don Milani (a cura di Anna Carfora, Valentina Oldano, Federico ruozzi e Sergio Tanzarella, diretta da Alberto Melloni): Esperienze pastorali (il libro fatto ritirare dal commercio dal Sant’Uffizio nel 1958 e solo recentemente «riabilitato»), le Lettere ai cappellani militari e ai giudici,Lettera a una professoressa, gli articoli per giornali e riviste, l’epistolario (anche se molte lettere private sono ancora inaccessibili).
«Abbiamo iniziato il lavoro sette anni fa – spiega Tanzarella – con l’intento di raccogliere in un’opera sola tutti gli scritti di don Milani e di restituirgli una quanto più possibile aderenza agli originali. Grazie ad appelli pubblici e ricerche di archivio sono state recuperate oltre cento lettere inedite e molte altre sono state restaurate nella versione originale, senza i tagli arbitrari cui erano state sottoposte nel tempo».

Lo stesso Tanzarella, in primavera, darà alle stampe La parresia di don Lorenzo Milani. Maestro di vita e di coscienze critiche (Il pozzo di Giacobbe): un profilo del priore di Barbiana a partire dalla sua scelta di parlare con parresia, ovvero con franchezza e libertà, senza calcoli e diplomazie clericali («il galateo, legge mondana, è stato eletto a legge morale nella Chiesa di Cristo? Chi dice coglioni va all’inferno. Chi invece non lo dice ma ci mette un elettrodo viene in visita in italia e il galateo vuole che lo si accolga con un sorriso», scriverà Milani riferendosi a De Gaulle e alla guerra in Algeria, in un articolo pubblicato postumo dall’Espresso, «Un muro si foglio e di incenso»).
Altri due libri invece sono già usciti a fine 2016. Il primo è una biografia di don Milani, scritta da Michele Gesualdi, Don Lorenzo Milano, L’esilio di Barbiana (San Paolo, pp. 256, euro 16), un titolo che spazza via l’ultimo tentativo revisionista dell’arcivescovo di Firenze, cardinal Betori, il quale, impegnato da tempo a trasmettere un’immagine pacifica e «normalizzata» di don Milani, recentemente ha dichiarato che quello di Barbiana – piccolo borgo di montagna del Mugello dove Milani fu spedito nel 1954 per motivi politici – non era allineato alle direttive pro Democrazia cristiana della Curia di Firenze – non fu esilio ma «una destinazione normale» per un prete giovane.

Quella di Gesualdi è una biografia atipica: non ha il rigore di altre, ma è un racconto dall’interno di uno dei primi ragazzi di Barbiana, quello che è stato a più stretto contatto con don Milani e che ha vissuto con lui per oltre dieci anni.

L’altro, di Mario Lancisi, è dedicato al processo per l’obiezione di coscienza al servizio militare – di cui vengono ricostruite le fasi e il clima politico-sociale che vedeva diffondersi anche in Italia un movimento antimilitarista -, scaturito dalla Lettera ai cappellani militari (Processo all’obbedienza. La vera storia di don Milani, Laterza, pp. 158, euro 16). Dopo un comunicato di alcuni cappellani militari toscani che aveva definito l’obiezione di coscienza alla naja «insulto alla patria», «estranea al comandamento cristiano dell’amore» ed «espressione di viltà», don Milani rispose con una lettera pubblicata da Rinascita, settimanale del Pci (i giornali cattolici la ignorarono).

Denunciato per incitamento alla diserzione e alla disubbidienza militare, processato (in aula non andò – era malato di Linfoma di Hodgkin – ma inviò una memoria difensiva, la Lettera ai giudici, destinata anch’essa a diventare una pietra miliare dell’antimilitarismo e della disobbedienza, anzi all’obbedienza non ad un’autorità ma alla propria coscienza), sarà prima assolto e poi condannato (come Luca Pavolini, direttore di Rinascita), se il reato non fosse stato dichiarato estinto perché era appena morto.

Il Manifesto – 11 gennaio 2017

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