In questo blog, se cercate con il motore di ricerca interno, trovate diversi pezzi dedicati al grande educatore. La lettura della sua famosa Lettera ad una professoressa è stata decisiva per la mia formazione. Non avevo neppure 18 anni ed ero ancora un giovane dell'Azione Cattolica di Marineo, quando scoprii Don Milani. Ricordo ancora che organizzai una lettura di gruppo della Lettera nei locali parrocchiali del paese. Allora non avevo letto neppure un rigo di Gramsci e Pasolini. Scoprii molti anni dopo che lo scrittore corsaro arrivò a considerare quel libro come uno dei testi più rivoluzionari del 900. fv
Luca Kocci
La battaglia
quotidiana per una scuola del tutto “non di classe”
Cinquanta anni fa, il 26
giugno 1967, moriva don Lorenzo Milani. Di orgiine ebraica,
appartenente a una famiglia borghese dell’intelligencija laica
– anzi anticlericale – fiorentina, a vent’anni si convertì al
cattolicesimo, diventò prete, si sforzò di vivere il Vangelo in
modo radicale accanto ai giovani operai di Calenzano e ai
giovanissimi montanari del Mugello, scontrandosi con i poteri
politici, militari e clericali dell’Italia democristiana e
conformista degli anni ’50 e ’60, legò la sua vita e la sua
azione pastorale alle lotte civili per una scuola democratica e non
di classe e per l’obiezione di coscienza al militarismo, fu autore
di testi dirompenti come la Lettera ai cappellani militari e,
insieme ai ragazzi e alle ragazze della scuola di Barbiana, Lettera
a una professoressa.
In questo 2017,
cinquantesimo anniversario della morte, a don Milani saranno dedicati
convegni e libri, alcuni già usciti nelle scorse settimane, altri in
calendario nei prossimi mesi. A cominciare dal volume dei Meridiani
Mondadori – in primavera – che raccoglierà per la prima volta
l’opera omnia di don Milani (a cura di Anna Carfora, Valentina
Oldano, Federico ruozzi e Sergio Tanzarella, diretta da Alberto
Melloni): Esperienze pastorali (il libro fatto ritirare dal
commercio dal Sant’Uffizio nel 1958 e solo
recentemente «riabilitato»), le Lettere ai cappellani
militari e ai giudici,Lettera a una professoressa, gli articoli per
giornali e riviste, l’epistolario (anche se molte lettere private
sono ancora inaccessibili).
«Abbiamo iniziato il
lavoro sette anni fa – spiega Tanzarella – con l’intento di
raccogliere in un’opera sola tutti gli scritti di don Milani e di
restituirgli una quanto più possibile aderenza agli originali.
Grazie ad appelli pubblici e ricerche di archivio sono state
recuperate oltre cento lettere inedite e molte altre sono state
restaurate nella versione originale, senza i tagli arbitrari cui
erano state sottoposte nel tempo».
Lo stesso Tanzarella, in
primavera, darà alle stampe La parresia di don Lorenzo Milani.
Maestro di vita e di coscienze critiche (Il pozzo di Giacobbe):
un profilo del priore di Barbiana a partire dalla sua scelta di
parlare con parresia, ovvero con franchezza e libertà, senza
calcoli e diplomazie clericali («il galateo, legge mondana, è stato
eletto a legge morale nella Chiesa di Cristo? Chi dice coglioni va
all’inferno. Chi invece non lo dice ma ci mette un elettrodo viene
in visita in italia e il galateo vuole che lo si accolga con un
sorriso», scriverà Milani riferendosi a De Gaulle e alla guerra in
Algeria, in un articolo pubblicato postumo dall’Espresso, «Un muro
si foglio e di incenso»).
Altri due libri invece
sono già usciti a fine 2016. Il primo è una biografia di don
Milani, scritta da Michele Gesualdi, Don Lorenzo Milano,
L’esilio di Barbiana (San Paolo, pp. 256, euro 16), un titolo
che spazza via l’ultimo tentativo revisionista dell’arcivescovo
di Firenze, cardinal Betori, il quale, impegnato da tempo a
trasmettere un’immagine pacifica e «normalizzata» di don Milani,
recentemente ha dichiarato che quello di Barbiana – piccolo borgo
di montagna del Mugello dove Milani fu spedito nel 1954 per motivi
politici – non era allineato alle direttive pro Democrazia
cristiana della Curia di Firenze – non fu esilio ma «una
destinazione normale» per un prete giovane.
Quella di Gesualdi è una
biografia atipica: non ha il rigore di altre, ma è un racconto
dall’interno di uno dei primi ragazzi di Barbiana, quello che è
stato a più stretto contatto con don Milani e che ha vissuto con lui
per oltre dieci anni.
L’altro, di Mario
Lancisi, è dedicato al processo per l’obiezione di coscienza al
servizio militare – di cui vengono ricostruite le fasi e il clima
politico-sociale che vedeva diffondersi anche in Italia un movimento
antimilitarista -, scaturito dalla Lettera ai cappellani
militari (Processo all’obbedienza. La vera storia di don
Milani, Laterza, pp. 158, euro 16). Dopo un comunicato di alcuni
cappellani militari toscani che aveva definito l’obiezione di
coscienza alla naja «insulto alla patria», «estranea al
comandamento cristiano dell’amore» ed «espressione di viltà»,
don Milani rispose con una lettera pubblicata da Rinascita,
settimanale del Pci (i giornali cattolici la ignorarono).
Denunciato per
incitamento alla diserzione e alla disubbidienza militare, processato
(in aula non andò – era malato di Linfoma di Hodgkin – ma inviò
una memoria difensiva, la Lettera ai giudici, destinata anch’essa a
diventare una pietra miliare dell’antimilitarismo e della
disobbedienza, anzi all’obbedienza non ad un’autorità ma alla
propria coscienza), sarà prima assolto e poi condannato (come Luca
Pavolini, direttore di Rinascita), se il reato non fosse stato
dichiarato estinto perché era appena morto.
Il Manifesto – 11
gennaio 2017
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