Devo all'amica Lorena Melis la scoperta di questa magnifica poesia:
Penelope
Non era possibile che non lo riconoscesse
alla luce del focolare; non c’erano
i panni logori del mendicante, il travestimento, no;
segni certi:
la cicatrice sul ginocchio, la forza, la furbizia nell’occhio. Terrorizzata,
appoggiando la schiena al muro, cercava una giustificazione,
ancora un intervallo di tempo di breve durata, per non rispondere,
per non tradirsi. Per lui, dunque, aveva speso vent’anni,
venti anni di attesa e di sogni, per quest’infelice,
per questo vecchio grondante sangue? Si lasciò cadere su una sedia
guardò lentamente i pretendenti morti sul pavimento, come se guardasse
i suoi propri desideri morti. E:”Bentornato”, gli disse,
sentendo estranea, lontana la sua voce. Sulle ginocchia il telaio suo
riempiva il soffitto di ombre a forma di grata; e quanti uccelli aveva tessuto
con cuciture rosse lucenti su fogliame verde, all’improvviso,
quella notte del ritorno, finirono in nera cenere
volando basso nel cielo piatto dell’estrema sofferenza.
Ghiannis Ritsos, La Penelope capovolta
(da “Pietre, Sbarre, Ripetizioni (Einaudi, 1978) – trad. italiana di N. Crocetti)
Nessun commento:
Posta un commento