Come giustamente osserva Diego Fusaro gli intellettuali odierni sono sempre più lontani dal popolo e dai suoi
sentimenti. Così si ha una negazione del monito con cui, nei "Quaderni del
carcere", Gramsci ci ricordava l’importanza di “intellettuali che si
sentono legati organicamente ad una massa nazionale-popolare”.
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Agli
intellettuali di oggi manca la “connessione sentimentale” con il popolo
Diego Fusaro
Gli intellettuali oggi sono quasi sempre lontani dal popolo
e dai suoi sentimenti. Così si ha una negazione del monito con cui, nei
"Quaderni del carcere", Gramsci ci ricordava l’importanza di
“intellettuali che si sentono legati organicamente ad una massa
nazionale-popolare”.
Da parecchio tempo ormai si discute, peraltro con buone
ragioni, sul tradimento degli intellettuali come ceto sociale: ossia sul loro
abbandono – palese e conclamato – delle classi più deboli e sul loro
convergente passaggio alla difesa incondizionata dei dominanti, ai quali
forniscono dietro compenso il proprio “capitale culturale”. Quest’ultimo
legittima sovrastrutturalmente l’ordine vigente, presentandolo ora come il
migliore, ora come il solo possibile.
Questa patologia – peraltro messa in luce anche dal
compianto Bauman nel suo “La decadenza degli intellettuali” – si manifesta in
due maniere principali: anzitutto, come palese difesa ideologica, da parte del
ceto intellettuale, della classe dominante, in questo caso dell’oligarchia
finanziaria post-borghese, post-proletaria e ultra-capitalistica che ha in odio
i diritti sociali, le sovranità nazionali e tutto ciò che non sia allineato con
il nuovo ordine liberal-libertario.
Il secondo modo in cui la patologia del tradimento degli
intellettuali si estrinseca concerne la distanza abissale che ormai separa
costoro dal popolo concretamente esistente, coincidente con la nuova massa
sfruttata, precarizzata e priva di rappresentanza politica e intellettuale.
L’intellettuale, oggi, si sente tanto più riuscito nella sua
funzione quanto più si sa lontano dal popolo e dai suoi sentimenti, passioni,
interessi e modi di vedere. L’intellettuale finisce, così, per diventare non il
rappresentante del popolo, ma la sua antitesi. Si ha, dunque, una negazione –
nella lettera e nello spirito – del grande monito con cui, nei "Quaderni
del carcere", Gramsci ci ricordava l’importanza di “intellettuali che si
sentono legati organicamente ad una massa nazionale-popolare”.
Una simile concezione, oltre a non essere attuata, sarebbe
oggi senza dubbio demonizzata come “populista” dagli intellettuali stessi,
sempre pronti a usare questa categoria mediante la quale giustificano il
proprio impegno per l’aristocrazia finanziaria (ossia, appunto, per il polo
opposto rispetto a quello della “massa nazionale-popolare” di gramsciana
memoria). È di qui, credo, che occorre oggi serenamente ripartire: dalla
saldatura tra l’umanità pensante e l’umanità sofferente, tra gli intellettuali
e il popolo, nel tentativo di ristabilire la “connessione sentimentale” –
secondo un’altra splendida formula di Gramsci – tra pensiero e azione, tra
teste e corpi, tra chi pensa il mondo e chi quotidianamente lo vive, tra chi
comprende e chi sente. È questo uno dei non pochi compiti per il futuro.
Diego Fusaro su:
http://www.fanpage.it/agli-intellettuali-di-oggi-manca-la-connessione-sentimentale-con-il-popolo/
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