Foto di Angela Guglielmetti
Nonostante la prova terribile della Shoah, di cui seppe leggere come nessun altro i legami profondi con la modernità, Z. Bauman non perse mai la fiducia negli uomini, se non nei loro atti, almeno nelle loro potenzialità. In un momento storico che continuamente la nega ci dava speranza. Ci mancherà.
Benedetto Vecchi
Un pensiero errante
nel flusso della storia
Sorridente, con il vezzo
incessante di usare l’amata pipa per dare ritmo alle parole delle
quali non era avaro. Da ieri, lo sbuffo di fumo che accompagnava le
conversazioni di Zygmunt Bauman non offuscherà più il suo volto. La
sua morte è arrivata come un colpo in pancia, inaspettata, anche le
sue condizioni di salute erano peggiorate negli ultimi mesi. E subito
è stato apostrofato nei siti Internet come il teorico della società
liquida, una tag che accoglieva con divertimento, segno di
una realtà mediatica tendente alla semplificazione massima contro la
quale invocava un rigore intellettuale da intellettuale del
Novecento.
Spesso si inalberava. «Di
liquido mi piace solo alcune cose che bevo», aveva affermato una
volta, infastidito del suo accostamento ai teorici postmoderni o ai
sociologi delle «piccole cose». La sua modernità liquida era una
rappresentazione di una tendenza in atto, non una «legge» astorica
che vale per l’eternità a venire. Per questo, rifiutava ogni
lettura apocalittica del presente a favore di un lavoro certosino di
aggiungere tassello su tassello a un puzzle sul presente, che
avvertiva non sarebbe stato certamente lui a concludere. Bauman,
infatti, puntava con disinvoltura a non far cadere nel fango la
convinzione di poter pensare la società non come una sommatoria di
frammenti o di sistemi autoreferenziali, come invece sostenevano gli
eredi di Talcott Parson, studioso statunitense letto e anche
conosciuto personalmente da Bauman a Varsavia nel pieno della guerra
fredda.
OGNI VOLTA CHE
PRENDEVA la parola in pubblico Bauman faceva sfoggio di quella
attitudine alla chiarezza che aveva, non senza fatica, come ha più
volte ricordato nelle sue interviste, acquisito negli anni di
apprendistato alla docenza svolto nell’Università di Varsavia.
Parlava alternando citazioni dei «grandi vecchi» della sociologia a
frasi tratte dalle pubblicità, rubriche di giornali. Mettere insieme
cultura accademica e cultura «popolare» era indispensabile per
restituire quella dissoluzione della «modernità solida» sostituita
da una «modernità liquida» dove non c’era punto di equilibrio e
dove tutto l’ordine sociale, economico, culturale, politico del
Novecento si era liquefatto alimentando un flusso continuo di
credenze e immaginari collettivi che lo Stato nazionale non riusciva
a indirizzarlo più in una direzione invece che in un’altra.
E teorico della società
liquida Bauman è stato dunque qualificato. Un esito certo inatteso
per un sociologo che rifiutava di essere accomunato a questa o quella
«scuola», senza però rinunciare a considerare Antonio Gramsci e
Italo Calvino due stelle polari della sua «erranza» nel secolo, il
Novecento, delle promesse non mantenute.
Nato in Polonia nel 1925
da una famiglia ebrea assimilata, aveva dovuto lasciare il suo paese
la prima volta all’arrivo delle truppe naziste a Varsavia. Era
approdato in Unione Sovietica, entrando nell’esercito della Polonia
libera.
FINITA LA GUERRA, la
prima scelta da fare: rimanere nell’esercito oppure riprendere gli
studi interrotti bruscamente. Bauman fa suo il consiglio di un decano
della sociologia polacca, Staninslaw Ossowski, e completa gli studi,
arrivando in cattedra molto giovane. E nelle aule universitarie si
manifesta il rapporto fatto di adesione e dissenso rispetto al nuovo
potere socialista. Bauman era stato convinto che una buona società
poteva essere costruita sulle macerie di quella vecchia. A Varsavia,
la facoltà di sociologia era però un’isola a parte. Così le aule
universitarie potevano ospitare teorici non certo amati dal regime.
Talcott Parson fu uno di questi, ma a Varsavia arrivano anche libri
eterodossi. Emile Durkheim, Theodor Adorno, Georg Simmel, Max Weber,
Jean-Paul Sartre, Italo Calvino, Antonio Gramsci (questi due letti da
Bauman in lingua originale). Quando le strade di Varsavia, Cracovia
vedono manifestare un atipico movimento studentesco, Bauman prende la
parola per appoggiarli.
È ORMAI UN NOME noto
nell’Università polacca. Ha pubblicato un libro, tradotto con il
titolo in perfetto stile sovietico Lineamenti di una sociologia
marxista, acuta analisi del passaggio della società polacca da
società contadina a società industriale, dove sono messi a fuoco i
cambiamenti avvenuti negli anni Cinquanta e Sessanta. La
secolarizzazione della vita pubblica, la crisi della famiglia
patriarcale, la perdita di influenza della chiesa cattolica
nell’orientare comportamenti privati e collettivi. Infine,
l’assenza di una convinta adesione della classe operaia al regime
socialista, elemento quest’ultimo certamente non salutato
positivamente dal regime Ma quando, tra il 1968 e il 1970, il potere
usa le armi dell’antisemitismo, la sua accorta critica diviene
dissenso pieno. Gran parte degli ebrei polacchi era stata massacrata
nei lager nazisti. Per Bauman, quel «mai più» gridato dagli ebrei
superstiti non si limitava solo alla Shoah ma a qualsiasi forma di
antisemitismo. La scelta fu di lasciare il paese per il Regno Unito.
Il primo periodo inglese
fu per Bauman una resa dei conti teorici con il suo «marxismo
sovietico». L’università di Leeds gli ha assicurato l’autonomia
economica; Anthony Giddens, astro nascente della sociologia inglese,
lo invita a superare la sua «timidezza». È in quel periodo che
Bauman manda alle stampe un libro, Memorie di classe (Einaudi),
dove prende le distanze dall’’idea marxiana del proletariato come
soggetto della trasformazione. E se Gramsci lo aveva usato per
criticare il potere socialista, Edward Thompson è lo storico buono
per confutare l’idea che sia il partito-avanguardia il medium per
instillare la coscienza di classe in una realtà dove predomina la
tendenza a perseguire effimeri vantaggi.
TOCCA POI
ALL’IDENTITÀ ebraica divenire oggetto di studio, lui che
ebreo era per nascita senza seguire nessun precetto. La sua compagna
era una sopravvissuta dei lager nazisti. E diviene la sua compagna di
viaggio in quella sofferta stesura di Modernità e Olocausto (Il
Mulino). Anche qui si respira l’aria della grande sociologia. C’è
il Max Weber sul ruolo performativo della burocrazia, ma anche
l’Adorno e il Max Horkheimer di Dialettica dell’illuminismo.
La shoah scrive Bauman è un prodotto della modernità; è il suo
lato oscuro, perché la pianificazione razionale dello sterminio ha
usato tutti gli strumenti sviluppati a partire dalla convinzione che
tutto può essere catalogato, massificato e governato secondo un
progetto razionale di efficienza. Un libro questo, molto amato dalle
diaspore ebraiche, ma letto con una punta di sospetto in Israele,
paese dove Bauman vive per alcuni anni.
CAMMINARE NELLA CASA di
Bauman era un continuo slalom tra pile di libri. Stila schede su
saggi (Castoriadis e Hans Jonas sono nomi ricorrenti nei libri che
scrive tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta del
Novecento) e romanzi (oltre a Calvino, amava George Perec e il Musil
dell’Uomo senza qualità). Compagna di viaggio, come sempre l’amata
Janina, morta alcuni anni fa. Manda alle stampe un saggio sulla
globalizzazione che suona come un atto di accusa verso l’ideologia
del libero mercato. E forte è il confronto, in questo saggio, con il
libro di Ulrich Beck sulla «società del rischio», considerata da
Bauman un’espressione che coglie solo un aspetto di quella
liquefazione delle istituzioni del vivere associato. La famiglia, i
partiti, la chiesa, la scuola, lo stato sono stati definitavamente
corrosi dallo sviluppo capitalistico. Cambia lo «stare in società».
Tutto è reso liquido. E se il Novecento aveva tradito le promesse di
buona società, il nuovo millennio non vede quella crescita di
benessere per tutti gli abitanti del pianeta promessa dalle teste
d’uovo del neoliberismo. La globalizzazione e la società liquida
producono esclusione. L’unica fabbrica che non conosce crisi è La
fabbrica degli scarti umani (Laterza), scrive in un crepuscolare
saggio dopo la crisi del 2008.
SONO GLI ANNI dove
l’amore è liquido, la scuola è liquida, tutto è liquido. Bauman
sorride sulla banalizzazione che la stampa alimenta. E quel che è un
processo inquietante da studiare attentamente viene ridotto quasi a
chiacchiera da caffè. Scrolla le spalle l’ormai maturo Bauman.
Continua a interrogarsi su cosa significhi la costruzione di identità
patchwork (Intervista sull’identità, Laterza), costellata da stili
di vita mutati sull’onda delle mode. Prova a spiegare cosa
significhi l’eclissi del motto «finché morte non ci separi»,
vedendo nel rutilante cambiamento di partner l’eclissi dell’uomo
(e donna) pubblico. La sua critica al capitalismo è agita
dall’analisi del consumo, unico rito collettivo che continua a dare
forma al vivere associato.
È MOLTO AMATO dai
teorici cattolici per il suo richiamo all’ethos, mentre la sinistra
lo considera troppo poco attento alle condizioni materiali per
apprezzarlo. Eppure le ultime navigazioni di Bauman nel web
restituiscono un autore che mette a fuoco come la dimensione della
precarietà, della paura siano forti dispositivi di gestione del
potere costituito, che ha nella Rete un sorprendente strumento per
una sorveglianza capillare di comportamenti, stili di vita, che
vengono assemblati in quanto dati per alimentare il rito del consumo.
BAUMAN NON
AMAVA considerarsi un intellettuale impegnato. Guardava con
curiosità i movimenti sociali, anche se la sua difesa del welfare
state è sempre stata appassionata («la migliore forma di governo
della società che gli uomini sono riusciti a rendere operativa»).
Nelle conversazioni avute con chi scrive, parlava con amarezza
degli opinion makers, novelli apprendisti stregoni dell’opinione
pubblica, ma richiamava la dimensione etica e politica
dell’intelelttuale specifico di Michel Foucault, l’unico modo
politico per pensare la società senza cade in una arida tassonomia
delle lamentazioni sulle cose che non vanno.
Il Manifesto – 10
gennaio 2017
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