“Se fiorisce la ginestra”. Nicola Badaloni racconta Cesare Luporini
Francesco Erbani
Livorno - Cesare
Luporini moriva nell'aprile dello scorso anno, a ottantaquattro anni.
Da tempo, contrario alla nascita del Pds aveva abbandonato la
militanza politica. Come in un percorso circolare, era tornato a
studiare Giacomo Leopardi, al quale nel 1947 aveva dedicato Leopardi
progressivo. Quel saggio invertì la rotta negli studi sul poeta
di Recanati, la figura centrale, più di Marx, più di Heidegger, del
tragitto filosofico di Luporini, iniziato in Germania, a metà degli
anni Trenta, e proseguito lateralmente rispetto ai grandi filoni del
pensiero italiano del dopoguerra.
Di Luporini si parla oggi
e domani a Firenze, in un convegno all' Università al quale
partecipa, fra gli altri, Norberto Bobbio. Una relazione molto attesa
è quella che pronuncia Nicola Badaloni, filosofo come Luporini, e
come Luporini intellettuale comunista mai allineato agli obblighi di
partito. Ed è con lui che proviamo a ricostruire la personalità di
Luporini.
Luporini visse gli
ultimi anni lontano dalla politica attiva. Su cosa concentrò le sue
riflessioni?
"Luporini, e non solo lui, hanno vissuto gli
anni più recenti in un isolamento forzato. Ma la passione politica
non venne in lui mai meno, come confermano l'interpretazione di
Leopardi e la sua critica ad Heidegger. Egli sosteneva che le forze
progressiste non dovevano perdere i loro punti di riferimento, la
pace, il rifiuto dell'emarginazione. Nell'immediato avrebbe voluto
che tutto ciò divenisse motivo di aggregazione. Ogni segnale che
indicasse un'unità dei progressisti a questi livelli alti, lo
interpretava come segno della permanente, profonda vitalità degli
italiani, in cui persisteva a credere".
I rapporti fra
Luporini e il Pci furono difficili fin dai tempi in cui con Ranuccio
Bianchi Bandinelli e Romano Bilenchi, diede vita alla rivista
“Società”. Che peso ebbero in questa vicenda la sua avversione
all'idealismo, allo storicismo, il suo antidogmatismo e quanto,
invece, posizioni più strettamente politiche?
"I rapporti con il
Pci non sono stati facili, ma mai però di rottura. Luporini fu un
punto di riferimento per tutti coloro che respingevano chiusure e
arroccamenti, ma non volevano rotture. Il Pds fu per lui un' altra
cosa, cioè una rinuncia ad approfondire la vastità e profondità
della lotta. Luporini non volle condividere questa ritirata".
Torniamo al Luporini
filosofo. La sua formazione, diversamente da quella di tanti studiosi
italiani, avvenne negli anni Trenta in Germania con Heidegger e
Hartmann. Quanto tutto questo inciderà sul suo pensiero?
"Il contatto con
Heidegger fu decisivo. Da lui ricavò l'idea della finitezza e della
drammaticità della situazione umana. Ma questa vicenda tedesca non
fu estranea alla filosofia italiana, bensì un modo per stabilire con
essa una tensione critica".
Ma in che modo
Luporini innestò le esperienze maturate in Germania nel marxismo?
"Durante il fascismo
Luporini partecipò, con Guido Calogero, Aldo Capitini e Norberto
Bobbio, al movimento di "Giustizia e libertà". La
Resistenza e la tendenza di una parte del movimento a chiudersi in
partito lo convinsero che la redenzione dell' Italia dal fascismo e
il suo progresso dovessero sfociare in un più ampio collegamento di
energie della cultura laica e di sinistra con le masse popolari. La
lezione di Heidegger si trasformò nell'idea di un più forte nesso
fra intellettuali e popolo. Non era un'apertura pedagogica, era
piuttosto la percezione che le lotte operaie potessero produrre
fermenti utili alla qualità del lavoro intellettuale. Almeno in un
primo tempo, Luporini sviluppò la filosofia dell'azione di Marx, le
sue audaci previsioni circa la conseguenza del processo di
mercificazione, le contraddizioni che lo sviluppo tecnologico non
poteva non suscitare, mettendo in rilievo l'alternativa che esso
poneva tra una tirannia tecnocratica più o meno mascherata e una
società largamente partecipata in senso democratico".
Questa alternativa è
oggi di straordinaria attualità...
"Luporini approfondì
questi temi avendo presenti gli sviluppi più recenti. L'informatica
gli appariva come un potente strumento di dominio. La società
complessa, quella del capitalismo maturo, doveva essere analizzata
con strumenti logici più profondi che non quelli espressi dalla
teoria delle astrazioni storiche. Luporini, a differenza di Louis
Althusser, rifiutò lo storicismo, perché voleva dare della storia
una visione più complessa".
È in questa
prospettiva che si colloca l'interesse di Luporini per Leopardi?
"Leopardi è l'
autore della Ginestra, che profetizza un mondo di uomini
associati contro la matrigna natura. Nei suoi ultimi scritti,
Luporini insiste però sull'assoluta assenza di ogni sicurezza e
finalità garantite, quali erano immaginate scaturire dalla natura
buona. Ogni intenzionalità volta a fine non può che scaturire da
individui umani associati, che accettano la sfida e fanno della
profezia il risultato possibile di uno sforzo eroico. Heidegger aveva
insistito su paura e angoscia come stimoli emotivi profondi in vista
di un'esistenza autentica. Ma nella contemporaneità, l'unica
componente emotiva che può sollecitare l'azione è l'orrore, un
sentimento non analizzato da Heidegger e intravisto da Leopardi.
Secondo Luporini, dopo Hiroshima e Auschwitz, l'orrore deve essere
uno degli impulsi emotivi che spingono dal profondo l'individuo umano
al rifiuto dell'autoritarismo, anche di quello paternalistico, perché
non ha occhi sulle miserie del mondo...".
“la Repubblica”,13
maggio 1994
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