14 gennaio 2017

IL LEOPARDI DI CESARE LUPORINI


“Se fiorisce la ginestra”. Nicola Badaloni racconta Cesare Luporini 

Francesco Erbani


Livorno - Cesare Luporini moriva nell'aprile dello scorso anno, a ottantaquattro anni. Da tempo, contrario alla nascita del Pds aveva abbandonato la militanza politica. Come in un percorso circolare, era tornato a studiare Giacomo Leopardi, al quale nel 1947 aveva dedicato Leopardi progressivo. Quel saggio invertì la rotta negli studi sul poeta di Recanati, la figura centrale, più di Marx, più di Heidegger, del tragitto filosofico di Luporini, iniziato in Germania, a metà degli anni Trenta, e proseguito lateralmente rispetto ai grandi filoni del pensiero italiano del dopoguerra.
Di Luporini si parla oggi e domani a Firenze, in un convegno all' Università al quale partecipa, fra gli altri, Norberto Bobbio. Una relazione molto attesa è quella che pronuncia Nicola Badaloni, filosofo come Luporini, e come Luporini intellettuale comunista mai allineato agli obblighi di partito. Ed è con lui che proviamo a ricostruire la personalità di Luporini.

Luporini visse gli ultimi anni lontano dalla politica attiva. Su cosa concentrò le sue riflessioni? 
 
"Luporini, e non solo lui, hanno vissuto gli anni più recenti in un isolamento forzato. Ma la passione politica non venne in lui mai meno, come confermano l'interpretazione di Leopardi e la sua critica ad Heidegger. Egli sosteneva che le forze progressiste non dovevano perdere i loro punti di riferimento, la pace, il rifiuto dell'emarginazione. Nell'immediato avrebbe voluto che tutto ciò divenisse motivo di aggregazione. Ogni segnale che indicasse un'unità dei progressisti a questi livelli alti, lo interpretava come segno della permanente, profonda vitalità degli italiani, in cui persisteva a credere".
 
I rapporti fra Luporini e il Pci furono difficili fin dai tempi in cui con Ranuccio Bianchi Bandinelli e Romano Bilenchi, diede vita alla rivista “Società”. Che peso ebbero in questa vicenda la sua avversione all'idealismo, allo storicismo, il suo antidogmatismo e quanto, invece, posizioni più strettamente politiche? 
 
"I rapporti con il Pci non sono stati facili, ma mai però di rottura. Luporini fu un punto di riferimento per tutti coloro che respingevano chiusure e arroccamenti, ma non volevano rotture. Il Pds fu per lui un' altra cosa, cioè una rinuncia ad approfondire la vastità e profondità della lotta. Luporini non volle condividere questa ritirata". 
 
Torniamo al Luporini filosofo. La sua formazione, diversamente da quella di tanti studiosi italiani, avvenne negli anni Trenta in Germania con Heidegger e Hartmann. Quanto tutto questo inciderà sul suo pensiero? 
 
"Il contatto con Heidegger fu decisivo. Da lui ricavò l'idea della finitezza e della drammaticità della situazione umana. Ma questa vicenda tedesca non fu estranea alla filosofia italiana, bensì un modo per stabilire con essa una tensione critica".
 
Ma in che modo Luporini innestò le esperienze maturate in Germania nel marxismo?
 
"Durante il fascismo Luporini partecipò, con Guido Calogero, Aldo Capitini e Norberto Bobbio, al movimento di "Giustizia e libertà". La Resistenza e la tendenza di una parte del movimento a chiudersi in partito lo convinsero che la redenzione dell' Italia dal fascismo e il suo progresso dovessero sfociare in un più ampio collegamento di energie della cultura laica e di sinistra con le masse popolari. La lezione di Heidegger si trasformò nell'idea di un più forte nesso fra intellettuali e popolo. Non era un'apertura pedagogica, era piuttosto la percezione che le lotte operaie potessero produrre fermenti utili alla qualità del lavoro intellettuale. Almeno in un primo tempo, Luporini sviluppò la filosofia dell'azione di Marx, le sue audaci previsioni circa la conseguenza del processo di mercificazione, le contraddizioni che lo sviluppo tecnologico non poteva non suscitare, mettendo in rilievo l'alternativa che esso poneva tra una tirannia tecnocratica più o meno mascherata e una società largamente partecipata in senso democratico". 
 
Questa alternativa è oggi di straordinaria attualità...
 
"Luporini approfondì questi temi avendo presenti gli sviluppi più recenti. L'informatica gli appariva come un potente strumento di dominio. La società complessa, quella del capitalismo maturo, doveva essere analizzata con strumenti logici più profondi che non quelli espressi dalla teoria delle astrazioni storiche. Luporini, a differenza di Louis Althusser, rifiutò lo storicismo, perché voleva dare della storia una visione più complessa". 
 
È in questa prospettiva che si colloca l'interesse di Luporini per Leopardi?
 
"Leopardi è l' autore della Ginestra, che profetizza un mondo di uomini associati contro la matrigna natura. Nei suoi ultimi scritti, Luporini insiste però sull'assoluta assenza di ogni sicurezza e finalità garantite, quali erano immaginate scaturire dalla natura buona. Ogni intenzionalità volta a fine non può che scaturire da individui umani associati, che accettano la sfida e fanno della profezia il risultato possibile di uno sforzo eroico. Heidegger aveva insistito su paura e angoscia come stimoli emotivi profondi in vista di un'esistenza autentica. Ma nella contemporaneità, l'unica componente emotiva che può sollecitare l'azione è l'orrore, un sentimento non analizzato da Heidegger e intravisto da Leopardi. Secondo Luporini, dopo Hiroshima e Auschwitz, l'orrore deve essere uno degli impulsi emotivi che spingono dal profondo l'individuo umano al rifiuto dell'autoritarismo, anche di quello paternalistico, perché non ha occhi sulle miserie del mondo...".

“la Repubblica”,13 maggio 1994 

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