Eros e Priapo non è solo uno dei più
bei libri di C. E. Gadda, ma anche una delle più acute letture del fascismo storico.
L’analisi che ne compie Eros Barone, cui si deve il testo che qui propongo,
mette in luce elementi che fanno del libro un’opera di permanente
attualità.
Chi volesse approfondire la problematica può leggere inoltre il saggio di Robert S. Dombroski reperibile in rete: http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/resources/archive/fascism/dombroskifasc.php
LA PSICO-PATOLOGIA DEL DUCE SECONDO CARLO EMILIO GADDA
Carlo Emilio Gadda scrive Eros e
Priapo (sottotitolo: Da furore a
cenere), uno dei suoi libri più originali, nell’immediato dopoguerra. Si
tratta di una specie di saggio sulle motivazioni psicologiche profonde che
permisero al fascismo di durare vent’anni. Al centro di questa interpretazione
sessuologica della figura del Duce vi è la rabbia dell’ingegnere-scrittore di
fronte alla fenomenologia della sconfitta del Logos (la ragione) da parte
dell’irrazionale, del disordine, dell’italica insipienza.
Per duecento pagine, avvalendosi delle sue straordinarie risorse
linguistiche, Gadda indaga le componenti erotico-sessuali del culto tributato
al Duce e l’esibizione continua di potenza virile da lui praticata e predicata.
Lo scrittore lombardo parte alla ricerca dei “torbidi moventi” che hanno
espulso Logos dalla scena italiana e hanno poi degradato Eros a Priapo,
proponendosi di ricostruire “una veridica storia degli appetiti e degli impulsi
delle anime”, poiché sono “gli istinti e le libidini vitali, non la ragione, a
muovere l’io collettivo”.
Mussolini, “Maresciallo del Cacchio”, non si è limitato ad armare e guidare
scherani, ma, con il fiuto del furbo di provincia, si è assicurato il favore
delle femmine facendo leva sulla “ghiottoneria ammirativa” di quelle anime
docili e inclini al proselitismo e proponendosi come “maschio dei maschi”. Con
accenti aristofaneschi Gadda sottolinea come le donne adorino, insieme con la
virilità guerriera, il potere che vi è associato, e rifuggano dalla filosofia e
da ogni forma di critica razionale. Al comportamento
“istero-pappagallo-ecolalico-vulvaceo-sadico delle bassaridi” corrisponde così
una gestione altrettanto ciarlatanesca della cosa pubblica sussunta dalla
“libido dominandi” e da un generale mercimonio cui prendono parte legioni di
clienti e di spie.
Per quanto concerne l’esibizionismo del Duce, Gadda ci spiega che gli
atteggiamenti che ne derivano sono il prodotto della follia autoerotica, di una
fase narcissico-puberale protratta oltre l’adolescenza e cristallizzata nella
pratica della sopraffazione. “Priapo Ottimo Massimo” troverà, infatti, molti
collaboratori nei giovani affetti dalle stesse tare: perdigiorno, bari di
provincia, biscazzieri, “tonsori occasionali”, “contrabbandieri di cocaina”,
trasformati in altrettanti eroi vestiti di orbace, calzati di stivali e muniti
di speroni.
Spingendo più a fondo la sua diagnosi l’autore mette poi in rilievo come la
follia narcissica e la schizofrenia coesistano “in una bischeraggine
indecifrabile”. Il folle narcissico, osserva Gadda, è incapace di analisi e di
critica (gli adulatori, ad esempio, sono da lui considerati genî), di ‘jus’, di
attività etica e pedagogica e di sincerità, ossia di tutto ciò che “spiace
all’Io Tacchino”: egli si abbandona perciò all’esibizionismo più sfrenato.
Nello straripare beffardo e sarcastico delle immagini, delle similitudini e
delle metafore, nello scoppiettìo delle più nere invettive e nella ‘variatio’
tendenzialmente illimitata degli epiteti più diversi attribuiti a Mussolini si
rivelano la vastità degli interessi culturali e la prodigiosa fertilità
linguistica e inventiva, che fanno di Carlo Emilio Gadda uno dei massimi
scrittori italiani del Novecento. Ma si manifesta anche la forza profetica con
cui è tratteggiato, a futura memoria, il ritratto di un uomo di potere la cui
crisi personale coincide con la tragedia di una nazione, come suggerisce
l’epigrafe sibillina apposta da Gadda a un simile pamphlet, quando esso vide
per la prima volta la luce nella edizione Garzanti del 1967. Un’epigrafe tratta
da una frase di Charles de Gaulle e soffusa dall’enigmatico sorriso
dell’àugure: “Che abbia a spegnermi è certo: quando, non so”.
Eros Barone
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