16 gennaio 2017

GADDA E MUSSOLINI







Eros e Priapo non è solo uno dei più bei libri di C. E. Gadda, ma anche una delle più acute letture del fascismo storico. L’analisi che ne compie Eros Barone, cui si deve il testo che qui propongo, mette in luce elementi che fanno del libro  un’opera di permanente attualità.
Chi volesse approfondire la problematica può leggere inoltre il saggio di Robert S. Dombroski reperibile in rete:      http://www.gadda.ed.ac.uk/Pages/resources/archive/fascism/dombroskifasc.php

 LA PSICO-PATOLOGIA DEL DUCE SECONDO CARLO EMILIO GADDA



Carlo Emilio Gadda scrive Eros e Priapo (sottotitolo: Da furore a cenere), uno dei suoi libri più originali, nell’immediato dopoguerra. Si tratta di una specie di saggio sulle motivazioni psicologiche profonde che permisero al fascismo di durare vent’anni. Al centro di questa interpretazione sessuologica della figura del Duce vi è la rabbia dell’ingegnere-scrittore di fronte alla fenomenologia della sconfitta del Logos (la ragione) da parte dell’irrazionale, del disordine, dell’italica insipienza.

Per duecento pagine, avvalendosi delle sue straordinarie risorse linguistiche, Gadda indaga le componenti erotico-sessuali del culto tributato al Duce e l’esibizione continua di potenza virile da lui praticata e predicata. Lo scrittore lombardo parte alla ricerca dei “torbidi moventi” che hanno espulso Logos dalla scena italiana e hanno poi degradato Eros a Priapo, proponendosi di ricostruire “una veridica storia degli appetiti e degli impulsi delle anime”, poiché sono “gli istinti e le libidini vitali, non la ragione, a muovere l’io collettivo”.

Mussolini, “Maresciallo del Cacchio”, non si è limitato ad armare e guidare scherani, ma, con il fiuto del furbo di provincia, si è assicurato il favore delle femmine facendo leva sulla “ghiottoneria ammirativa” di quelle anime docili e inclini al proselitismo e proponendosi come “maschio dei maschi”. Con accenti aristofaneschi Gadda sottolinea come le donne adorino, insieme con la virilità guerriera, il potere che vi è associato, e rifuggano dalla filosofia e da ogni forma di critica razionale. Al comportamento “istero-pappagallo-ecolalico-vulvaceo-sadico delle bassaridi” corrisponde così una gestione altrettanto ciarlatanesca della cosa pubblica sussunta dalla “libido dominandi” e da un generale mercimonio cui prendono parte legioni di clienti e di spie.

Per quanto concerne l’esibizionismo del Duce, Gadda ci spiega che gli atteggiamenti che ne derivano sono il prodotto della follia autoerotica, di una fase narcissico-puberale protratta oltre l’adolescenza e cristallizzata nella pratica della sopraffazione. “Priapo Ottimo Massimo” troverà, infatti, molti collaboratori nei giovani affetti dalle stesse tare: perdigiorno, bari di provincia, biscazzieri, “tonsori occasionali”, “contrabbandieri di cocaina”, trasformati in altrettanti eroi vestiti di orbace, calzati di stivali e muniti di speroni.

Spingendo più a fondo la sua diagnosi l’autore mette poi in rilievo come la follia narcissica e la schizofrenia coesistano “in una bischeraggine indecifrabile”. Il folle narcissico, osserva Gadda, è incapace di analisi e di critica (gli adulatori, ad esempio, sono da lui considerati genî), di ‘jus’, di attività etica e pedagogica e di sincerità, ossia di tutto ciò che “spiace all’Io Tacchino”: egli si abbandona perciò all’esibizionismo più sfrenato. Nello straripare beffardo e sarcastico delle immagini, delle similitudini e delle metafore, nello scoppiettìo delle più nere invettive e nella ‘variatio’ tendenzialmente illimitata degli epiteti più diversi attribuiti a Mussolini si rivelano la vastità degli interessi culturali e la prodigiosa fertilità linguistica e inventiva, che fanno di Carlo Emilio Gadda uno dei massimi scrittori italiani del Novecento. Ma si manifesta anche la forza profetica con cui è tratteggiato, a futura memoria, il ritratto di un uomo di potere la cui crisi personale coincide con la tragedia di una nazione, come suggerisce l’epigrafe sibillina apposta da Gadda a un simile pamphlet, quando esso vide per la prima volta la luce nella edizione Garzanti del 1967. Un’epigrafe tratta da una frase di Charles de Gaulle e soffusa dall’enigmatico sorriso dell’àugure: “Che abbia a spegnermi è certo: quando, non so”.

Eros Barone

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