“Mio Dio, permettici
di vivere” scriveva nel suo diario Éva Heyman di tredici anni,
morta il 17 ottobre 1944 nel campo di concentramento di
Auschwitz-Birkenau. Il suo diario, diventato libro, è ora tradotto
anche in italiano. Una testimonianza terribile e dolcissima al tempo
stesso di cui riportiamo parte della postfazione e una pagina.
Ha vissuto appena tredici
anni Éva Heyman, «la ragazzina con quel meraviglioso visino da
mela, con la sua avida curiosità, l’ambizione, la vanità, gli
occhi luminosi che sprizzavano energia», come la definiva il suo
patrigno, lo scrittore ungherese Béla Zsolt (1895-1949), nel suo
mirabile libro autobiografico Le nove valigie.
Éva Heyman nasce il 13
febbraio 1931 a Nagyvárad, l’attuale Oradea in Romania, e termina
la sua breve esistenza il 17 ottobre 1944 nel campo di concentramento
di Auschwitz-Birkenau, secondo testimoni oculari selezionata
direttamente da Mengele per il forno crematorio.
Dal suo tredicesimo
compleanno, il 13 febbraio 1944, e fino al 30 maggio, data
dell’ultima annotazione, tiene un diario in cui descrive le
condizioni di vita sempre più difficili degli ebrei di Nagyvárad.
In meno di tre mesi la vita piuttosto agiata e, malgrado la guerra,
ancora serena di questa ragazza sensibile e intelligente subisce
trasformazioni radicali: prima l’internamento nel ghetto e poi la
deportazione ad Auschwitz il 13 giugno.
Dalle lettere riportate
in questo libro risulta che prima di essere spedita al campo di
concentramento Éva Heyman affida il diario a una fedele domestica
cattolica della famiglia, la quale al termine della guerra lo
restituisce alla madre, la giornalista Ágnes Zsolt, unica
sopravvissuta di tutta la famiglia, insieme al secondo marito Béla
Zsolt, scampati miracolosamente alla morte. Ágnes Zsolt è morta
suicida nel 1951.
(dalla Postfazione di
Andrea Rényi)
Éva Heyman
Io voglio vivere
Ho compiuto tredici anni,
sono nata di venerdì, il giorno tredici. Ági è molto superstiziosa
ma se ne vergogna. Questo è il mio primo compleanno senza di lei. So
che dev’essere operata, ma sarebbe potuta venire ugualmente. Ci
sono bravi medici anche a Nagyvárad. Non è tornata a casa proprio
per il mio tredicesimo compleanno. Ági ora è felice, lo zio
Béla è uscito di prigione. Ági vuole molto bene allo zio Béla,
gli voglio bene anch’io. Nonna dice che Ági vuole bene solo a lui
e a nessun altro, neppure a me, ma io non le credo. Forse non mi
amava quando ero piccola, ma ora sì.
Specialmente da quando le
ho promesso che sarei diventata una fotoreporter e avrei sposato un
ariano inglese. Nonno dice che quando mi sposerò non farà più
differenza se mio marito sarà un ebreo o un ariano, anzi, secondo
lui la parola «ariano» non significherà più nulla.
Non ci credo, penso che
agli ariani la vita sorriderà sempre. Anche quando non esisteranno
più le «leggi antisemite» e quando gli ebrei non saranno più
deportati in Ucraina come è successo allo zio Béla e agli ebrei
benestanti di Nagyvárad.
Ági dice che dopo la
guerra queste leggi non ci saranno più ma lei afferma anche che i
tedeschi perderanno la guerra. Lo credeva anche quando, nell’estate
di due anni fa, avevano deportato lo zio Béla in Ucraina. Non
dimenticherò mai quel giorno. Stavo riflettendo sul fatto che mi
erano successe già tante cose che ricorderò anche da adulta, e
persino da vecchia.
(…)
Éva Heyman
Io voglio vivere. Il diario di Èva
Heyman
Giuntina, 2017
15 €
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