Ingres, Giove e Teti (1801)
La coscia di Zeus. A colloquio con Jean-Pierre Vernant
Enrico Filippini
Questa volta, Jean-Pierre
Vernant è venuto nella nostra città (dove viene abbastanza spesso)
per partecipare a un convegno che inizia oggi nella Sala del
Consiglio della II Università, a Tor Vergata, sul tema Corpo
degli Dei, corpo degli uomini, coordinato da Charles Malamoud,
Mario Perniola e Riccardo Scrivano. Un tema, evidentemente, non di
tutti i giorni, visto che gli Dei sono spariti, o almeno così
pare... Sono spariti gli Dei, professor Vernant? "Ah, questo è
da vedere...".
Qui da noi, tra noi
monoteisti, quando si parla di Dei si pensa soprattutto agli Dei
dell'antica Grecia. E lei è un grecista. Allora mi consenta una
domanda un po' generale: fino a qualche anno o a qualche decennio fa,
quando si parlava dell'antica Grecia, si pensava ai grandi studiosi
tedeschi e, in seconda istanza, inglesi. Oggi c'è un interesse
evidente per gli studi francesi. Penso, oltre che a lei, a Marcel
Detienne, a Pierre Vidal-Naquet, anche a Paul Veyne... "Sì",
risponde il settantaduenne e vigoroso ex professore del Collège de
France, che di questi "nuovi grecisti" è stato il
capofila, "c'è stata una tradizione tedesca storica e
filologica molto forte, che è durata fino all'inizio della seconda
guerra mondiale: basti ricordare i nomi di Werner Jaeger, di Hermann
Fraenkel e di Bruno Snell. Poi negli studi classici c'è stato un
cambiamento. E per quanto riguarda la Francia - la ringrazio del suo
apprezzamento - bisogna ricordare innanzitutto il lavoro di Louis
Gernet, grande ellenista e membro della scuola sociologica francese
di ispirazione durkheimiana, che cominciò a vedere la Grecia non più
come un "miracolo" unico e da imitare, com'era per
l'umanesimo tradizionale, ma come una esperienza tra le altre, come
la Cina, l'India, la civiltà assiro-babilonese".
A quest'interesse hanno
contribuito anche altre discipline? "Certamente: da noi come in
America, la linguistica, la semiotica, l' analisi del racconto e la
storia delle mentalità, per non dire dell' etnologia".
E lo strutturalismo degli
anni Sessanta? E Lèvi-Strauss? "Anche, anche! Io, che sono il
più vecchio, sono stato il primo a venir definito strutturalista.
Infatti avevo applicato il metodo strutturale alla tragedia. Ma con
la consapevolezza che esso non bastava: bisognava capire anche le
condizioni storiche della produzione e della ricezione della
tragedia, grande fenomeno espressivo che, tuttavia, durò appena un
secolo".
A questa correzione
contribuì il marxismo? "In parte. Ma il marxismo ha troppe
porte, troppe finestre, troppe vie di entrata e di uscita. Cos'è il
marxismo? Il mio, nella mia giovinezza, non fu quello cristallizzato
di cui spesso si parla, o di cui si parla poco in Francia e troppo in
Italia, ma appunto una maniera di approccio storico, niente di più".
Veniamo agli Dei...
"Ecco, due anni fa, il Cnrs, che è l'equivalente del vostro
Cnr, ha varato un progetto di studi che raggruppa vari tipi di
ricercatori e che ha come oggetto il politeismo. Noi siamo
monoteisti, come lei diceva, ma bisogna chiedersi: c'è una
differenza strutturale tra i due gruppi di religioni, quelle
politeiste e quelle monoteiste? Lei capisce la complessità del
problema: confrontare tutte le religioni politeiste dell'Egitto,
dell'Asia, dell'Africa, nonchè quelle greco-romane e una religione,
quella ebraico-cristiana, dove c'è un Dio trascendente, unico, col
quale si ha un rapporto personale. Da qui la presenza al nostro
convengo di un indianista, Charles Malamoud, di un sinologo, Jean
Levy, di un'orientalista, Elèna Cassin, di un africanista, Marc
Augè, eccetera”.
E il corpo che c' entra?
"I vari gruppi di studio si sono occupati di problemi
particolari, uno dei quali è il corpo degli Dei o del Dio: ci si
lavora da due anni coi colleghi di Roma II".
Già, gli Dei del
politeismo avevano un corpo: la coscia di Zeus, il busto di Apollo, i
fianchi di Venere... Ma, se ben ricordo, Detienne ricorda che nel
1724 Fontenelle, nella sua "Origine delle favole",
affermava che si trattava di menzogne ovunque accreditate, "fatta
eccezione per il popolo eletto, presso cui una speciale grazia della
Provvidenza ha conservato la verità". Dunque, noi monoteisti...
"Per noi monoteisti, per noi ebrei e cristiani, il politeismo è
idolatria: gli Dei pagani sono rappresentati con corpi umani, o con
semplici organi, o addirittura come animali. Ma questi "idoli"
che cosa significano? Perché ci sono Dei mostruosi, o grotteschi, o
orrendi? Pensi a Dioniso, a Priapo, alla Gorgona. Si possono
descrivere, ma una volta descritti ci si deve domandare: cosa c' è
dietro? In queste forme di pensiero, una divinità è una presenza,
ma la religione è anche un culto, cioè una serie di gesti che
ordina il rapporto tra l'uomo e la divinità. E questo rapporto è
innanzitutto un rapporto corporale: pensi a Omero, a cosa sentono gli
eroi nel corpo, nelle gambe, nei polmoni...".
Però... "Lo so: qui
c' è il primo paradosso: la divinità si presenta nella sua
corporeità, ma nello stesso tempo è anche altrove, assente,
sfuggente. Lo chiamerei il paradosso dell' idolo". Sì, ma...
"Certo, occorre fare un passo avanti, decisivo. Io dico che gli
Dei hanno un corpo, e lo dico come se sapessi che cos'è un corpo.
Perché? Perché nel solco del pensiero successivo greco e poi
cristiano, io credo di sapere che il corpo è quella tal cosa,
estranea, oggettiva e materiale che è separata dall'anima. In
Platone il tema è trattato con molte precauzioni, ma nei medici suoi
contemporanei molto meno. Tenga presente che originariamente il
vocabolo soma designava il cadavere. Ma prima, nell' era degli Dei,
per esempio in Omero, come hanno mostrato, non so, Frankel e Snell,
gli organi corporei erano indissolubilmente connessi con funzioni
psichiche: pensi al sangue, alla bile, al respiro... Voglio dire: il
vocabolario corporale era per i greci antichi un codice con cui essi
esprimevano un rapporto con se stessi, con gli altri, e col divino.
Pensi al panico, alla collera, al furore...".
Sto pensando
all'"Iliade". "Appunto, un testo come l'Iliade è, tra
l'altro, una messinscena della presenza divina realizzata col
vocabolario della corporeità... Naturalmente lei mi potrebbe
chiedere: qual è l'analogia tra la corporeità umana e quella
divina? Nel caso greco, quest'analogia è imperfetta nel senso che
gli uomini non hanno un vero corpo, ce l'hanno inferiore, debilitato,
preso nei cicli naturali, mortale; mentre sono gli Dei che incarnano
i veri valori corporali: giovinezza, forza, agilità... Anche se, per
un ennesimo paradosso, essi sfuggono ai valori corporali: sono
ubiqui, immortali, onnipotenti. Anch'essi sono qui e altrove: sono
indici simbolici che mostrano come sfuggire al codice corporale...".
Siccome però noi siamo monoteisti, volevo ricordarle la frase di
Fontenelle... "Certo, nel cristianesimo e, prima, nell'ebraismo,
c'è un grande sforzo di non-figurazione: Dio non ha più corpo,
anche se ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza. Ma in realtà,
il popolo eletto, che ha un patto con Dio, è il corpo di Dio, più o
meno come lo sarà la Chiesa. In secondo luogo - come lei monoteista
e cristiano sa - il cristianesimo assegna un posto fondamentale
all'incarnazione, per cui la corporeità non è più solo presenza
(di un toro, di un serpente, di un corpo apollineo e via dicendo), ma
un codice che permette di pensare il peccato, la colpa, la
mancanza... Fontenelle si sbagliava: la situazione non cambia, il
problema del corpo rimane".
Lei vede dunque una
continuità tra politeismo e monoteismo. "Da questo punto di
vista sì. Io non faccio della filosofia religiosa, ma solo
dell'antropologia religiosa comparata. Col monoteismo, il problema
del corpo si sposta ma insieme si rafforza: pensi che alla fine dei
tempi ci sarà la resurrezione della carne. Lei alludeva prima alla
medicina. Col cristianesimo si crea, in un certo senso, una doppia
medicina: quella che riguarda il corpo terreno e quella che si compie
nel corpo celeste...".
Professor Vernant, io ho
letto un suo testo, molto bello, sul passaggio dal pensiero mitico al
pensiero filosofico in Grecia, e ho notato che lei presta attenzione,
come anche prima diceva, ai fattori storici di questi cambiamenti.
Voglio chiederle: anche il pensiero del corpo è legato alle funzioni
di potere? Per esempio: Minosse è re, e dunque sacerdote. Com'è
noto, sua moglie Pasifae partorisce il Minotauro dopo essersi
accoppiata, nascosta dentro la "falsa vacca", col toro
bianco. Tuttavia, è gelosa di Minosse, molto dedito ad amori
adulterini. Così gli fa un incantesimo, e il suo sperma si trasforma
in un getto di ragni, serpenti, scorpioni, che devastano il ventre
delle sue amanti... Voglio dire: nel mito di Minosse, che è un
racconto del potere, il corpo ha molto a che fare. "Non c'è
dubbio. Nella Grecia antica, il corpo ha sempre un ruolo essenziale
quando il personaggio in questione ha un ruolo regale, cioè fino
alla fondazione della polis. Come, più tardi, per i santi, o per i
re di Francia, i cui corpi devono recare i segni della presenza
divina nella loro persona. Pensi alle innumerevoli reliquie...".
Poi però, un po' prima e un po' dopo la fondazione della "polis",
nasce un altro corpo, quello che ci ritroviamo qui... "Sì,
forse. Ma evidentemente questo sarebbe l'argomento per un' altra
intervista".
“la Repubblica”, 23
gennaio 1986
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