Riparliamo di Giordano
Bruno proponendo un bell'articolo di Massimo Cacciari. Il 17
febbraio 1600 il filosofo fu arso a Roma mentre in Europa infuriavano
le guerre civili. Per Cacciari Bruno è la vittima di un declino
politico e morale che somiglia al tempo di oggi.
Massimo Cacciari
Giordano Bruno, Il
rogo in cui iniziò il tramonto dell'Europa
Quando Giordano Bruno è
condotto al rogo e getta in faccia ai suoi carnefici le parole:
«forse avete più paura voi nell’infliggermi questa condanna, che
io nel subirla», e Tommaso Campanella, torturato crudelmente a
Castel Nuovo, simula la pazzia per salvarsi la vita, l’Europa è
nel vortice di quelle guerre civili e tra Stati, guerre “totali”,
politiche e religiose, economiche e ideali, che solo dopo mezzo
secolo troveranno una “pace”, gravida di tutti i futuri e ancor
più tremendi conflitti.
Queste lotte segnavano
per Bruno la decadenza d’Europa, il suo declino politico e morale.
In lui e in Campanella soffia lo spirito dei grandi riformatori. Per
entrambi è vuota qualsiasi filosofia che non liberi l’uomo alla
ricerca della propria felicità. Qualsiasi atto è lecito per
perseguirla, poiché la nostra natura la esige come proprio fine. Ma
per conquistarla è necessario sconfiggere, e in noi stessi
anzitutto, i dèmoni della superstizione, della paura, dell’invidia,
dell’egoismo, dell’ingiustizia.
Occorre dar loro lo
spaccio, preparando l’attesa di nuovi eroi fondatori, novelli
Perseo, liberatori di Andromeda- Europa prigioniera dei mostri.
Vengono Bruno e Campanella dall’esperienza diretta delle sciagurate
condizioni dei popoli del Mezzogiorno, scorre nelle loro vene
l’antico sangue dei nomoteti pitagorici di Magna Grecia, e anche
quello della profezia medievale dell’abate di San Giovanni in
Fiore.
Tale era anche il significato autentico della tradizione civile, repubblicana del nostro Umanesimo. Non resuscitare l’Antico, ma suscitare i moderni ad esserne all’altezza, a emularne la virtù, cioè la potenza della mente e delle arti, la loro potenza costruttiva. E come attingere a questa altezza senza furore? Nulla di vagamente “estatico” nel termine, nulla di immaginosamente “romantico” o irrazionale. Una grande riforma politica e religiosa, tale da coinvolgere in sé tutte le dimensioni della vita, neppure sarebbe concepibile senza che ad essa tendessero tutte le nostre facoltà, tutta la mente e tutto il cuore, e il corpo stesso.
Sì, questo corpo, le sue
mani, strumento divino, i suoi nervi, sono infinitamente più che res
extensa. Materia non è inopia, non è egestas, ma “cosa divina,e
ottima parente”. Tutto è animato; non un atomo di materia è
“inorganico”. Vibra in questo genus italicum del pensiero europeo
l’idea di physis, Natura naturans, fonte inesauribile, delle prime
filosofie, di Democrito, di Empedocle, ma anche della Venus
lucreziana.
Per Bruno, la Natura è
infinita esplicazione attraverso infiniti effetti dell’Infinita
Causa. Effetti finiti, certo, res singulares, finite vestigia o ombre
di quella Causa, ma formanti un Tutto infinito. La Causa è ad essi
immanente. L’”ottuso senso” coglie soltanto enti divisi,
separati gli uni dagli altri, o connessioni parziali. Ma la mente,
che mi dota “le spalle di ali”, riconosce la Armonia di anima e
materia, e riconoscendo l’Infinità della Causa sa pure infinita la
finitezza delle sue esplicazioni.
Infinitas finita. È questa la
stessa infinità della nostra intelligenza, che tutto indaga, che di
ogni ente finito vuole scoprire l’essenza, eppure “mai s’appaga”.
Nella Causa o in Dio essere e potere coincidono in atto. E tuttavia
anche per noi la coincidenza vale, anche noi siamo per ciò che
possiamo; la perfezione del nostro essere si commisura alla sua
potenza.
Quanto più comprendiamo
l’armonia tra Infinita Causa e infinità dei suoi effetti, tanto
più la nostra mente si rivelerà perfetta esplicazione della stessa
Causa. E se questo è il fine che la sua natura le impone, se in sé
e in tutta la Natura nulla vede che possa essere costretto in rigidi,
predeterminati confini, nessuna Legge che possa prevedere le forme in
cui potrebbe esplicarsi l’Infinita Causa, allora l’intero cosmo
le apparirà immagine di libertà.
Con le ali della mente
ogni “fittizio carcere” viene trasgredito. «Non sono fini,
termini, margini, muraglie che ne defrodino e suttragano la infinita
copia de le cose». Come inchiodare l’intelligenza a singole
apparenze? Come murarla, se essa è vestigio, orma, ombra
dell’Infinito? Prima o poi è inevitabile si risvegli. Ma non v’è
nel discorso del Nolano alcuna retorica dell’”oltrepassamento”,
del “sempre oltre”.
La fecondità della
Natura, cui la mente partecipa in quanto ne costituisce la parte
osservante- interpretante, non si risolve in un mero “gettar fuori”
membra disperse, quasi relitti di una risacca. La Natura crea e
armonizza, creando connette e compone; i suoi elementi, pur restando
sempre distinti, senza confondersi mai, dialogano gli uni con gli
altri, anche a infinita distanza, si “ricordano” l’uno
dell’altro anche dopo tempi infiniti. Un divino colloquio appare,
in fondo, la stessa Causa. È di questo colloquio che la filosofia è
chiamata a farsi immagine.
Il filosofo studia
l’amicizia tra gli essenti, le forme della loro connessione. È
magia buona, che “sposa” gli elementi. La guerra che ci separa
fino a negarci non è allora soltanto un regresso allo stato
dell’uomo lupo all’uomo, non è soltanto pazzia opposta a quel
furore, di cui si è detto, ma pretenderebbe negare il supremo,
ontologico vincolo di amore che regge l’universo nell’infinità
dei suoi mondi.
Ogni muraglia che qui si
voglia innalzare tradisce, allora, non semplicemente questa o quella
idea, o è ingiusta nei confronti di questo o quell’uomo, ma
pretende di ribellarsi all’eterno creare della Natura stessa, di
cui la libertà della mente è esplicazione e immagine.
L’Europa che si
sprofonda nella sua caverna egoica, che sta portando a esiti estremi
quel declino morale e politico, già tragicamente illuminato il 17
febbraio del 1600 dal rogo di Campo dei Fiori, questa Europa di mura,
fittizie carceri e impotenti potenze, sarà eruttata via dalla
potenza della stessa Natura, se si ostinerà a non ascoltare la voce
dei suoi grandi, lo spietato realismo delle loro profezie, le loro
dolorose verità. Memoria attiva, immaginativa, memoria di forze che
possono essere genesi del nostro futuro. Memoria che questa Europa
sembra impegnata solo a dimenticare.
La Repubblica – 17
febbraio 2017
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