Leonardo Sciascia ci ha dato la chiave
migliore per comprendere il fenomeno mafioso. Fin dagli anni cinquanta del secolo scorso ci ha indicato il metodo per coglierne il cuore: “non è partendo dalla razza
che si può gettar luce sul fenomeno: bisogna, ancora e sempre, partire dalla
storia e risolverlo in essa”
Lo scrittore di Racalmuto, fin
dal suo primo importante libro Le
parrocchie di Regalpetra, ha denunciato il comportamento cinico mostrato
dalle truppe anglo-americane in Sicilia, subito dopo lo sbarco a Licata
del luglio 1943, quando, per assicurare l’ ordine pubblico,
utilizzarono parecchi uomini d’onore.
Sciascia tornerà a
parlare dell’aiuto decisivo dato dagli americani alla rinascita mafiosa in
Sicilia, alla fine della seconda guerra mondiale, in una delle sue ultime
interviste:
“ la mafia, che era stata combattuta dal fascismo – due mafie non avrebbero potuto coesistere! – si è avvantaggiata dallo sbarco americano in Sicilia. Insediati dagli americani, i mafiosi, oltre al prestigio che hanno tratto dalla liberazione della Sicilia, hanno esercitato un potere politico quotidiano: presiedevano alla distribuzione di pane e viveri, offrivano forniture e coperte, fornivano la penicillina, il ‘rimedio miracoloso’ di cui è difficile oggi immaginare cosa poteva significare in quel tempo. Il pane, la penicillina, le coperte… ecco il potere di cui i mafiosi si erano trovati investiti dagli americani!”.
“ la mafia, che era stata combattuta dal fascismo – due mafie non avrebbero potuto coesistere! – si è avvantaggiata dallo sbarco americano in Sicilia. Insediati dagli americani, i mafiosi, oltre al prestigio che hanno tratto dalla liberazione della Sicilia, hanno esercitato un potere politico quotidiano: presiedevano alla distribuzione di pane e viveri, offrivano forniture e coperte, fornivano la penicillina, il ‘rimedio miracoloso’ di cui è difficile oggi immaginare cosa poteva significare in quel tempo. Il pane, la penicillina, le coperte… ecco il potere di cui i mafiosi si erano trovati investiti dagli americani!”.
Leonardo Sciascia è stato
tra i primi a considerare fallimentare l’esperienza dell’Autonomia concessa dal
Governo centrale alla Sicilia all’indomani del crollo del Fascismo. Più
precisamente lo scrittore di Racalmuto, fin dagli anni sessanta, ha sostenuto,
con buone argomentazioni, che:
il fallimento dell’autonomia regionale si può senz’altro attribuire al
fatto che è stata intesa e maneggiata come un privilegio, una franchigia, che
lo Stato italiano, sotto la pressione del movimento separatista, concedeva alla
classe borghese-mafiosa.
Sciascia aveva le
idee molto chiare; e quando parlava di “classe borghese-mafiosa” o
di “borghesia mafiosa” sapeva quel che diceva:
“E’ una borghesia mafiosa, quella siciliana, anche là dove non sembra. Una
borghesia che opera senza una visione del domani, a sfruttare determinate
situazioni così come un tempo si diceva delle zolfare : A RAPINA. Lo
sfruttamento a rapina delle zolfare era quello degli esercenti che si
preoccupavano di cavare quanto più materia possibile senza curari né
dell’avvenire delle zolfare né della sicurezza di chi vi lavorava. Ora questa
classe sembra inamovibile. Successe all’aristocrazia, si comporta ,
anche e più grossolanamente, come l’aristocrazia. Per questo i
siciliani non credono più alle idee “. (sottolineature mie)
Eppure lo stesso Sciascia non si è mai
stancato di avvertire:
“ La Sicilia non è la mafia, in Sicilia c'è la mafia ma la Sicilia non
è la mafia(...).Quì la mafia non sarebbe durata tanto a lungo se non fosse
stata aiutata da un patto con lo Stato, che naturalmente non è un patto steso a
tavolino ma è un patto da vedere in quella che Machiavelli chiamava 'la realtà
effettuale delle cose'.
Francesco Virga
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