16 febbraio 2017

STATO E MAFIA SECONDO LEONARDO SCIASCIA






      Leonardo Sciascia ci ha dato la chiave migliore per comprendere il fenomeno mafioso. Fin dagli anni cinquanta del secolo scorso ci ha indicato il metodo per coglierne il cuore: “non è partendo dalla razza che si può gettar luce sul fenomeno: bisogna, ancora e sempre, partire dalla storia e risolverlo in essa”

      Lo scrittore di Racalmuto, fin dal suo primo importante libro Le parrocchie di Regalpetra, ha denunciato il comportamento cinico mostrato  dalle truppe anglo-americane in Sicilia, subito dopo lo sbarco a Licata  del luglio 1943, quando, per assicurare l’ ordine pubblico, utilizzarono parecchi uomini d’onore.                        
         Sciascia tornerà  a parlare dell’aiuto decisivo dato dagli americani alla rinascita mafiosa in Sicilia, alla fine della seconda guerra mondiale, in una delle sue ultime interviste:  

“ la mafia, che era stata combattuta dal fascismo – due mafie non avrebbero potuto coesistere! – si è avvantaggiata dallo sbarco americano in Sicilia. Insediati dagli americani, i mafiosi, oltre al prestigio che    hanno tratto dalla liberazione della Sicilia, hanno esercitato un potere politico quotidiano: presiedevano alla distribuzione di pane e viveri, offrivano forniture e coperte, fornivano la penicillina, il ‘rimedio miracoloso’ di cui è difficile oggi immaginare cosa poteva significare in quel tempo. Il pane, la penicillina, le coperte… ecco il potere di cui i mafiosi si erano trovati investiti dagli americani!”.
 
         Leonardo Sciascia è stato tra i primi a considerare fallimentare l’esperienza dell’Autonomia concessa dal Governo centrale alla Sicilia all’indomani del crollo del Fascismo. Più precisamente lo scrittore di Racalmuto, fin dagli anni sessanta, ha sostenuto, con buone argomentazioni, che:

il fallimento dell’autonomia regionale si può senz’altro attribuire al fatto che è stata intesa e maneggiata come un privilegio, una franchigia, che lo Stato italiano, sotto la pressione del movimento separatista, concedeva alla classe borghese-mafiosa.

          Sciascia aveva le idee molto chiare; e quando parlava di  “classe borghese-mafiosa”  o di  “borghesia mafiosa”  sapeva quel che diceva:

“E’ una borghesia mafiosa, quella siciliana, anche là dove non sembra. Una borghesia che opera senza una visione del domani, a sfruttare determinate situazioni così come un tempo si diceva  delle zolfare : A RAPINA. Lo sfruttamento a rapina delle zolfare era quello degli esercenti che si preoccupavano di cavare quanto più materia possibile senza curari né dell’avvenire delle zolfare né della sicurezza di chi vi lavorava. Ora questa classe sembra inamovibile. Successe all’aristocrazia, si comporta , anche  e più grossolanamente, come l’aristocrazia. Per questo i siciliani non credono più alle idee “. (sottolineature mie)
           

       Eppure lo stesso Sciascia non si è mai stancato di avvertire:  

“ La Sicilia non è la mafia, in Sicilia c'è la mafia ma la Sicilia non è la mafia(...).Quì la mafia non sarebbe durata tanto a lungo se non fosse stata aiutata da un patto con lo Stato, che naturalmente non è un patto steso a tavolino ma è un patto da vedere in quella che Machiavelli chiamava 'la realtà effettuale delle cose'.   

        Francesco Virga


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