Prima il ritorno di D'Alema, poi la sceneggiata
di Emiliano e la discesa in campo del prode Orlando, infine la
scissione preventiva di Scotto e ora la nascita di DP. La sinistra
odierna abbonda di rifondatori, ma difetta del senso del ridicolo. Insomma,
tanti mezzi omini, ominicchi e quaraquaqua, intenti a giocare
ai generali, ma senza truppe e soprattutto senza strategia.
Senza popolo non c'è sinistra
Alfonso Gianni
Qualcuno sembra trarre un
respiro di sollievo alla notizia che i sondaggi danno sempre come
primo il Partito Democratico, attestato, secondo Swg, sul 28% in
declino nel giro di una settimana di tre punti. Anche il M5Stelle
perde, ma meno, dal 26,2 al 25,3% Questo dato in particolare
consolerebbe i renziani. Difficile condividere un simile
irresponsabile ottimismo. Non solo perché si devono ancora diradare
le nebbie e depositare le polveri perché il normale cittadino possa
orientarsi nel nuovo confuso quadro dell’offerta politica. Per
questo è certamente prematuro inseguire i sondaggi, che registrano
peraltro un alta percentuale di non risposte. Ma soprattutto perché
non è questo il metro di misura per giudicare quello che succede. In
realtà siamo di fronte alla crisi definitiva di un progetto
politico. Quello iniziato con Veltroni che voleva fare del Pd un
partito a vocazione maggioritaria autosufficiente, ponendo così nel
discorso del Lingotto del 2007 le basi per la caduta del secondo
governo Prodi.
Ora il Partito di Renzi è
andato a sbattere contro il voto popolare del 4 dicembre. Un voto
denso di motivazioni democratiche e sociali. Non a caso i giovani e
il Mezzogiorno sono stati i due artefici della sconfitta della
controriforma costituzionale. Gli stessi contro cui si abbatte il
conclamato fallimento del Jobs act, certificato dai dati Inps che ci
raccontano che nel 2016 il numero dei nuovi contratti «stabili» è
crollato del 91% rispetto all’anno prima. Diminuiti gli incentivi
sono spariti i posti di lavoro. Il rapporto di lavoro precario torna
a farla da padrone. Con i suoi tassi di sfruttamento bestiale, come è
stato evidenziato nel caso tragico di Paola Clemente morta di fatica
nelle campagne pugliesi. Reclutata da un’agenzia interinale, forma
moderna dell’antico sempre persistente caporalato. Si comprende
bene perché il governo tema il referendum sui voucher e sui
subappalti e nicchi rispetto all’obbligo che la legge gli impone di
fissare la data per l’effettuazione.
Di fronte a questo dramma
le tempeste in atto nel quadro politico restano confinate in un
bicchiere d’acqua. Che si determini una vera e propria scissione, o
che nel Pd sia in atto un’implosione a scoppio ritardato o una
lunga diaspora, ha importanza relativa – se non per i singoli
protagonisti. Così come dove effettivamente si accasino quelli se ne
sono andati via da Sinistra Italiana a congresso aperto, dal momento
che non lo sanno neppure loro. Il nuovo condottiero, Giuliano
Pisapia, può forse drenare voti in uscita dal Pd e da Sel, ma non
resuscitare il cadavere del centrosinistra. Del resto anche chi
decide di abbandonare Renzi – non sto parlando delle continue
giravolte di Emiliano – lo fa senza esprimere una leggibile
passione ideale e politica, così da rimanere senza popolo. È
incredibile che qualcuno pensi che ci si possa appassionare, appena
varcata la soglia dei locali riservati agli addetti ai lavori, alla
data del congresso o alle modalità delle primarie, quando le
questioni della vita quotidiana ruotano attorno ai grandi temi del
lavoro, in particolare per i giovani (già ci siamo dimenticati della
sconvolgente lettera di Michele, morto suicida a trent’anni), della
mancanza di reddito, della povertà, del disastro della scuola, come
della sanità, dell’assoluta incertezza nel futuro.
Un tempo ci si aggrappava
alla celebre citazione di Mao «Grande è la confusione sotto il
cielo, quindi la situazione è eccellente». Non era sempre così
neppure allora, ma oggi di vero è rimasta solo la prima parte.
Confusione tanta, ma situazione pessima.
Eppure una via d’uscita
c’è sempre. Anche in questo difficile caso. La vittoria del No è
stato il frutto di una insorgenza democratica, ove le idee di società
legate al dettato costituzionale hanno fatto momentanea egemonia
anche sulle destre che brandivano il referendum per scopi puramente
politicisti. In quello scontro è tornato a manifestarsi, legando
assieme i temi costituzionali con quelli sociali, un popolo di
sinistra, con una forte incidenza giovanile. Si sono creati centinaia
di comitati popolari sul territorio che non hanno alcuna intenzione
di sciogliersi e reclamano una legge elettorale proporzionale per
dare vita a un parlamento legittimo costituzionalmente. L’operazione
da fare è quindi capovolgere il punto di partenza. Neppure una lista
elettorale, per quanto necessaria, ci salverà.
Bisogna partire dalla
capacità di relazione con un rinnovato popolo di sinistra – nel
quale è così qualitativamente rilevante il protagonismo femminile –
prima che dalla costruzione di un nuovo soggetto della sinistra di
cui pure abbiamo estremo bisogno. Perché quest’ultimo senza il
primo è privo di fondamenta, esposto ai venti più flebili.
Il Manifesto – 26 febbraio 2017
Il miglior commento che abbia letto finora sulla nascita del nuovo partito mi sembra quello fatto dal linguista Raffaele Simone: BRAND
RispondiEliminaCome nome, non potevano trovarne uno meno espressivo e meno riconoscibile.
Non capisco perché mai non si debbano rivolgere a dei professionisti quando si tratta di comunicare. La sigla risultante sarà identica a quella del Pd, solo rovesciata.
Quanto al carisma, meglio non parlarne.
L'esigenza è giusta, ma non ci siamo. Un altro passo verso un governo in mano al comico di Genova.