Da qualche mese giornali, periodici e networks sono invasi da articoli che, prendendo
spunto dalle tante “bufale” che circolano sulla rete, hanno coniato un nuovo
termine: post verità.
L’assunto di base di gran
parte di tali articoli è che, nella nostra epoca, non sarebbe più possibile distinguere
il vero dal falso. Tale assunto, specchio fedele della crisi del nostro tempo, è
profondamente falso e, come mostra il filologo Claudio Lagomarsini*, riflette
anche la crisi odierna delle discipline filologiche.
D’altra
parte il mondo è stato sempre pieno di “bufale” e/o documenti falsi. Questi ultimi non sono stati
inventati da face book e da internet. Tuttalpiù oggi circolano più facilmente.
Come si fa a non ricordare la storia della bufala più grande e famosa della
storia occidentale svelata dal filologo Lorenzo Valla: De falso credita et ementita
Constantini donatione declamatio (Discorso sulla donazione di
Costantino, altrettanto malamente falsificata che creduta autentica)?
Ma, per tornare all’attualità, riproponiamo
il bellissimo pezzo di C. Lagomarsini pubblicato ieri da: http://www.ilpost.it/2017/01/04/post-verita-filologia/
I filologi e le
“fake news”
di Claudio Lagomarsini *
Da qualche
settimana, a proposito del dibattito su fake news e post-truth
politics, mi gira in testa una domanda, che si è quasi trasformata in una
tesi: c’è un legame fra la trascuratezza con cui si affronta l’”accertamento
dei testi” e la crisi che le discipline filologiche hanno conosciuto in
Occidente negli ultimi ottant’anni?
Nei seguenti paragrafi 1-3 cerco di articolare questo punto. Chi non è interessato allo spiegone teorico può saltare al paragrafo 4, dove analizzo la diffusione di una bufala online.
Nei seguenti paragrafi 1-3 cerco di articolare questo punto. Chi non è interessato allo spiegone teorico può saltare al paragrafo 4, dove analizzo la diffusione di una bufala online.
La crisi
della filologia
1. Quando Roland Barthes celebra la «morte dell’autore» (1967), di fatto mette in discussione il senso stesso della filologia, intesa come disciplina che si dà come ultimo scopo l’accertamento del testo originale, cioè di una forma del testo il più possibile «vicina all’ultima volontà dell’autore» (come recitano i manuali universitari). Comunque la si pensi, bisogna prendere atto che rinunciare a un approccio filologico significa prescindere da una serie di problemi primitivi ma non secondari circa il testo che stiamo leggendo: com’è giunto fino a noi? Che cosa è attribuibile a uno stadio più antico ed eventualmente “originario” (che possiamo riferire o meno a un’entità chiamata “autore”) e che cosa invece è stato modificato progressivamente dai copisti e dagli scoliasti (oppure dagli stampatori, dai ghost writers, dagli editor)? Soprattutto, rinunciare alla filologia significa mettere da parte un assunto fondamentale, che è un modo di vedere le cose: il testo che ci viene trasmesso non è un dato ma un processo.
1. Quando Roland Barthes celebra la «morte dell’autore» (1967), di fatto mette in discussione il senso stesso della filologia, intesa come disciplina che si dà come ultimo scopo l’accertamento del testo originale, cioè di una forma del testo il più possibile «vicina all’ultima volontà dell’autore» (come recitano i manuali universitari). Comunque la si pensi, bisogna prendere atto che rinunciare a un approccio filologico significa prescindere da una serie di problemi primitivi ma non secondari circa il testo che stiamo leggendo: com’è giunto fino a noi? Che cosa è attribuibile a uno stadio più antico ed eventualmente “originario” (che possiamo riferire o meno a un’entità chiamata “autore”) e che cosa invece è stato modificato progressivamente dai copisti e dagli scoliasti (oppure dagli stampatori, dai ghost writers, dagli editor)? Soprattutto, rinunciare alla filologia significa mettere da parte un assunto fondamentale, che è un modo di vedere le cose: il testo che ci viene trasmesso non è un dato ma un processo.
Ovviamente i
filologi hanno una parte di responsabilità nella crisi della disciplina, che
oggi appare a molti come un insieme di saperi assurdi e autoreferenziali (a
volte autoreferenziali anche all’interno di un mondo già estremamente
specialistico com’è quello della filologia). In effetti temo che, anche
occupandosi del medesimo testo, uno studioso inglese d’ispirazione gender
e un filologo italiano “tradizionale” − se chiusi insieme in una stanza per un
crudele esperimento − potrebbero ispirare una sceneggiatura à la Antonioni.
Per quanto mi riguarda, confesso che, con un dottorato in filologia romanza,
spesso ho difficoltà a seguire, anche solo nell’esoterismo del linguaggio,
molti articoli di colleghi italiani che si occupano di poesia provenzale. A
questo ripiegamento interno corrisponde, all’esterno, una ritirata pressoché
totale dei filologi dal dibattito culturale contemporaneo (Filologia e
libertà di Luciano Canfora [2008] è stato un tentativo isolato, e non ha
lasciato il segno).
Le notizie
false
2. Il problema dell’accertamento dei testi è sempre stato centrale nell’attività giornalistica, dove il fact-checking è una delle basi del mestiere. Ma qui ci poniamo già alla fine della catena. L’utente medio che si informa su Facebook non fa nessuna distinzione tra la pagina online de «La Repubblica» e quella di «Repubblica24» (un sito cialtronesco che crea o rilancia bufale). Se manca una cultura dei testi, tutti i testi sono uguali. Purché una notizia sia pubblicata su un sito dal nome “giornalistico”, scritta in prosa, senza errori marchiani almeno nel titolo, allora diventa per molti una notizia fededegna.
2. Il problema dell’accertamento dei testi è sempre stato centrale nell’attività giornalistica, dove il fact-checking è una delle basi del mestiere. Ma qui ci poniamo già alla fine della catena. L’utente medio che si informa su Facebook non fa nessuna distinzione tra la pagina online de «La Repubblica» e quella di «Repubblica24» (un sito cialtronesco che crea o rilancia bufale). Se manca una cultura dei testi, tutti i testi sono uguali. Purché una notizia sia pubblicata su un sito dal nome “giornalistico”, scritta in prosa, senza errori marchiani almeno nel titolo, allora diventa per molti una notizia fededegna.
Le bufale
usate come strumento di propaganda non sono una scoperta dello spin doctor
di Trump. Forme di post-truth politics esistono fin dall’antichità (a
ben vedere il termine è improprio: non c’è nessun post, non essendo mai
esistita un’epoca di truth politics). Anche tra bufale e filologia
esiste, del resto, un legame di lunga data: una delle prime prove moderne di
metodo critico applicato all’accertamento dei testi è la confutazione con cui
l’umanista Lorenzo Valla dimostrò la falsità di un documento alto-medievale che
riconosceva al papato una serie di privilegi: la cosiddetta “Donazione di
Costantino”.
Cosa c’entra
la filologia
3. All’indomani dell’elezione di Trump, con il dibattito sulle bufale che ne è seguìto, Mark Zuckerberg ha dichiarato che sono allo studio alcune misure per combattere la diffusione di fake news su Facebook, la piattaforma che insieme a Google ha avuto il ruolo principale nella diffusione dei falsi. Ma il problema delle bufale esisteva prima di Facebook. e, se non lo si affronta alle radici, continuerà a esistere anche dopo (o accanto a) questo importante canale di diffusione. È il principio del ritorno del rimosso: what you resist persists.
3. All’indomani dell’elezione di Trump, con il dibattito sulle bufale che ne è seguìto, Mark Zuckerberg ha dichiarato che sono allo studio alcune misure per combattere la diffusione di fake news su Facebook, la piattaforma che insieme a Google ha avuto il ruolo principale nella diffusione dei falsi. Ma il problema delle bufale esisteva prima di Facebook. e, se non lo si affronta alle radici, continuerà a esistere anche dopo (o accanto a) questo importante canale di diffusione. È il principio del ritorno del rimosso: what you resist persists.
Sono
convinto che per affrontare davvero il problema non sia sufficiente combattere
il “sintomo” che ci si sta presentando in questi mesi. Ciò che, a livello di
cultura condivisa, va ricostruito dalle fondamenta è un modo di pensare adatto
a ogni canale di trasmissione e a ogni tipo di testo. Questo genere di
educazione e sensibilizzazione si fa prima di tutto nelle scuole. Penso alla
tradizionale lettura di giornali in classe, che il prima possibile dovrebbe
essere integrata con l’analisi di giornali online, e poi con l’esame di pagine
Facebook e con la discussione di alcune bufale (e anche di bufale con evidente
intento satirico, come quelle, divertentissime, di Lercio.it). Ci vorranno anni, e prima degli
studenti bisognerà formare i docenti.
Insegnando
in modo avventuroso (cioè senza un posto) filologia romanza, mi capita di
discutere con gli studenti circa i problemi testuali posti da internet e dai
social, spazi che fanno e faranno parte delle loro vite. In questo cerco di
tenere presente che un giorno gli studenti di Lettere saranno insegnanti,
giornalisti, editor, copywriter. Oppure svolgeranno altre professioni che non
esistono ancora, ma che avranno a che vedere con i testi e con internet.
Il caso
Rignano sul Membro
4. Quello che segue è un esempio di problema filologico nell’era di internet che un insegnante potrebbe voler discutere con la propria classe. Il punto di metodo che dovrebbe passare è semplice ma non banale: i testi hanno una dimensione temporale, anche in Rete. Esaminiamo un caso concreto. Come si è scritto, la notizia più diffusa sui social nei giorni prima del referendum costituzionale era una bufala. Il testo è stato pubblicato online il 22.11.2016 dal «Fatto Quotidaino» (sic; d’ora in avanti “Fq”), un sito border line di satira e bufale. La primissima versione diceva che a «Rignano sull’Arno» (cioè nel paese d’origine di Matteo Renzi) erano state ritrovate 500.000 schede referendarie già segnate con il sì. La pagina è stata poi rimossa in seguito al clamore suscitato dalla bufala. Che la prima versione dicesse proprio «Rignano sull’Arno» è suggerito dall’anteprima visibile su «Un caffè al giorno» (che chiameremo “U”), una delle prime pagine Facebook che hanno condiviso la notizia (sempre il 22.11). L’anteprima trova poi conferma nell’URL di Fq («rignano-sullarno-trovate-500-000-schede-gia-segnate-voto-si-shock»). Invece, le altre pagine in cui sopravvive la bufala, tutte datate dal 23.11 in poi, portano una variante sulla località, che diventa «Rignano sul Membro» (ovviamente inesistente). Se adesso si prova a condividere l’URL di Fq, l’anteprima non dà più «Arno» (come in U), ma «Membro».
4. Quello che segue è un esempio di problema filologico nell’era di internet che un insegnante potrebbe voler discutere con la propria classe. Il punto di metodo che dovrebbe passare è semplice ma non banale: i testi hanno una dimensione temporale, anche in Rete. Esaminiamo un caso concreto. Come si è scritto, la notizia più diffusa sui social nei giorni prima del referendum costituzionale era una bufala. Il testo è stato pubblicato online il 22.11.2016 dal «Fatto Quotidaino» (sic; d’ora in avanti “Fq”), un sito border line di satira e bufale. La primissima versione diceva che a «Rignano sull’Arno» (cioè nel paese d’origine di Matteo Renzi) erano state ritrovate 500.000 schede referendarie già segnate con il sì. La pagina è stata poi rimossa in seguito al clamore suscitato dalla bufala. Che la prima versione dicesse proprio «Rignano sull’Arno» è suggerito dall’anteprima visibile su «Un caffè al giorno» (che chiameremo “U”), una delle prime pagine Facebook che hanno condiviso la notizia (sempre il 22.11). L’anteprima trova poi conferma nell’URL di Fq («rignano-sullarno-trovate-500-000-schede-gia-segnate-voto-si-shock»). Invece, le altre pagine in cui sopravvive la bufala, tutte datate dal 23.11 in poi, portano una variante sulla località, che diventa «Rignano sul Membro» (ovviamente inesistente). Se adesso si prova a condividere l’URL di Fq, l’anteprima non dà più «Arno» (come in U), ma «Membro».
Come
spiegare questo caos? La lezione «Arno» dev’essere quella più antica, perché
non se ne trova traccia dopo il 22.11. L’ipotesi che avevo in mente – poi
confermata dai redattori di Fq, che hanno avuto la gentilezza di rispondere
alle mie sollecitazioni − è che il testo originario, con la lezione «Arno» (Fq1),
sia stato modificato poco dopo la pubblicazione e corretto in «Membro» (Fq2).
Questo con l’intento di chiarire ulteriormente che si trattava di uno scherzo.
E forse anche per evitare grane. Dal 23.11 in poi, dunque, si diffonde la
variante «Rignano sul Membro». Andando a confrontare il testo della notizia in
varie pagine di rilancio, si scoprono altre varianti: le più macroscopiche sono
un’interpolazione (contenente alcune considerazioni sul numero delle schede in
rapporto al corpo elettorale) e un’ulteriore variante sulla città, che diventa
«Napoli» (qui con un altro intento ancora, quello di restituire un tocco di
realismo a un’evidente panzana). In alcuni casi, i siti citano la propria
fonte; altre volte bisogna accontentarsi della data e delle varianti testuali.
Vediamo una tabella di confronto:
Fq = Il Fatto quotidaino: 22.11, R. sull’Arno (Fq1)
→ R. sul Membro (Fq2) (totale: 158.161 shares su Facebook)
U = Un caffè al giorno: 22.11, R. sull’Arno (1094 shares)
I = ItalianiInformati.com: 23.11, R. sul Membro [con interpolazione] (351.828 shares)
R = Repubblica24.com: 23.11, R. sul Membro (21 shares)
Ni = Notizie Incredibili: 23.11, R. sul Membro [fonte dichiarata: Fq] (121 shares)
M = Mafia Capitale.info: 23.11, R. sul Membro (761 shares)
Nw = Newsitalys: 24.11, R. sul Membro (44 shares)
S = Shock-News.it: 24.11, R. sul Membro [con interpol.; fonte dichiarata: I] (158 shares)
G = Giornale Informativo: 27.11, Napoli (shares: n.d.)
U = Un caffè al giorno: 22.11, R. sull’Arno (1094 shares)
I = ItalianiInformati.com: 23.11, R. sul Membro [con interpolazione] (351.828 shares)
R = Repubblica24.com: 23.11, R. sul Membro (21 shares)
Ni = Notizie Incredibili: 23.11, R. sul Membro [fonte dichiarata: Fq] (121 shares)
M = Mafia Capitale.info: 23.11, R. sul Membro (761 shares)
Nw = Newsitalys: 24.11, R. sul Membro (44 shares)
S = Shock-News.it: 24.11, R. sul Membro [con interpol.; fonte dichiarata: I] (158 shares)
G = Giornale Informativo: 27.11, Napoli (shares: n.d.)
Non si
possono dettagliare ulteriormente le relazioni tra i siti portatori della
semplice variante «Membro», che può derivare direttamente da un copia-incolla
di Fq2 oppure da altre pagine che hanno rilanciato la stessa bufala
senza introdurre varianti. Sulla base dell’analisi, si può ricostruire questo
schema di diffusione:
Avendo a che
fare con testi e varianti, non credo che l’attuale tecnologia informatica possa
produrre uno schema più preciso di questo. Non si tratta – è bene sottolinearlo
– di condivisioni di pagine con un codice o una formattazione tracciabile, ma
di copia-incolla parzialmente ri-editati, quindi usciti momentaneamente dalla
Rete, modificati, e poi rientrati. Dai vari siti di pseudo-notizie − che non
sono moltissimi − la bufala è stata poi condivisa centinaia di migliaia di
volte sui social (la “vulgata” del testo). A questo punto l’informatica torna
utile: applicazioni come BuzzSumo o SharedCount permettono di conteggiare il numero
di condivisioni irradiate da ogni URL, dunque il “peso” di ogni fonte nella
diffusione di una bufala sui social (nel nostro caso il sito I è il principale
responsabile, seguito dalla fonte originale Fq).
E quindi?
5. Mentalità o cultura filologica sono cose diverse (più profonde) rispetto alla filologia, che per vocazione si occupa soprattutto di testi letterari. Il rapporto tra cultura dei testi e filologia è lo stesso che esiste tra cultura del cibo e alta cucina, tra cultura della salute e medicina. Se il secondo polo (quello della ricerca specialistica) viene meno, è difficile che il primo (quello della cultura condivisa) continui a prosperare da solo.
5. Mentalità o cultura filologica sono cose diverse (più profonde) rispetto alla filologia, che per vocazione si occupa soprattutto di testi letterari. Il rapporto tra cultura dei testi e filologia è lo stesso che esiste tra cultura del cibo e alta cucina, tra cultura della salute e medicina. Se il secondo polo (quello della ricerca specialistica) viene meno, è difficile che il primo (quello della cultura condivisa) continui a prosperare da solo.
Le
discipline filologiche non hanno rimedi immediati da offrire. Non basterà
prendere un filologo, dargli una sedia girevole e metterlo in cattività nella
redazione del «New York Times» per far evaporare le bufale dal web. Ma potrebbe
essere utile continuare ad avere dei filologi che insegnano agli studenti di
Lettere, alcuni dei quali insegneranno ai nostri figli, che poi faranno tanti
mestieri diversi nella società.
Quello che
deve preoccuparci non è l’Arno o il Membro, naturalmente, ma la voragine
culturale che sta dietro alla proliferazione di fenomeni come quelli che stiamo
osservando. Se la filologia può dare un contributo per affrontare le radici del
problema (non l’epifenomeno contingente), allora è necessario un impegno
concreto dei filologi, insieme a una riabilitazione della disciplina nel
dibattito culturale.
In un famoso
pamphlet anti-filologico, Bernard Cerquiglini ha scritto che la filologia,
tutta presa com’è dall’ossessione di tracciare alberi genealogici dei
manoscritti, «è una forma di pensiero borghese, paternalista e igienista sulla
famiglia: ha cara la filiazione, perseguita l’adulterio, teme la contaminazione»
(Éloge de la variante, 1989). Credo che Cerquiglini abbia torto e non
abbia capito come funziona davvero la filologia. Non vorrei però che avesse
ragione sul fatto che i filologi sono effettivamente dei borghesi, cioè persone
che preferiscono parlare difficile e leggere vecchi libri anziché confrontarsi
con quello che succede a un metro dal loro salotto.
*Claudio Lagomarsini insegna Filologia romanza
all’Università degli Studi di Siena.
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