Antonello
Cresti
Il marxismo
in solitudine di un eretico
Autore poco
conosciuto in Italia, ha dedicato la sua prassi teorica a un
rinnovato anticapitalismo Nella notte tra il 22 e il 23
novembre si è spento il filosofo Costanzo Preve. Aveva 70
anni ed era malato da tempo. Preve, piemontese di nascita,
dopo aver frequentato la Facoltà di Giurisprudenza ed
essersi laureato in Scienze Politiche, incontra,
frequentando dei corsi presso Atene e Parigi, quella che
sarà la «passione durevole» della propria vita, ossia la
filosofia. È in questo stesso periodo che subisce la
fascinazione del marxismo, metodo filosofico del quale, pure
in senso critico, diverrà apprezzato interprete italiano. È
in questo solco che si inserisce la sua militanza politica,
prima nel Pci, poi in Lotta Continua ed infine in Democrazia
Proletaria, movimento del quale sarà membro della direzione
nazionale.
Sin qui il suo
pare essere il tipico cursus honorum di un uomo di pensiero
della sinistra radicale italiana, se non fosse che, con lo
scioglimento di Democrazia Proletaria ed il cupio dissolvi
del marxismo «storico», Preve compie la scelta che
caratterizzerà realmente i tratti del suo pensiero
filosofico; trovandosi di fronte a quello che egli definisce
un «deserto» abbandonerà ogni forma di militanza attiva e
tenterà attraverso una intensissima attività teorica di
individuare gli elementi per un nuovo pensiero
rivoluzionario e anticapitalistico, fuori dal comunismo
inteso come fenomeno storico, ma sempre nel solco tracciato
da Marx.
È quello che Marco Revelli, non senza qualche ironia, ebbe a definire «marxismo in solitudine», una definizione che Preve, pur nell'intenzione di svolgere un'opera di divulgazione e convincimento, dimostrò tuttavia di apprezzare, agendo sempre mosso da una volontà di critica radicale, assoluta, priva di qualsiasi forma di intendimento consolatorio. Fu questo sentirsi una sorta di paria del pensiero filosofico che gli consentì di raggiungere i risultati teorici più apprezzabili, ma anche di creare attorno a sé fraintendimenti o aperta ostilità: molti non gli perdonarono la crescente discontinuità nei riguardi degli ambienti organizzati della sinistra, oppure la volontà di aperto confronto con tutti che lo portò anche ad intessere rapporti di dialogo culturale con personaggi provenienti dalla destra e, d'altronde, alcune sue recenti prese di posizione, concepite con l'intento di generare un effetto «doccia fredda», sono quantomeno controverse.
L'intellettuale piemontese però era così, un uomo rigoroso ed intransigente soprattutto verso se stesso, che concepiva la filosofia come una etica e non come una esibizione di pensiero e che non mirava a piacere ad ogni costo; questa sua immagine burbera viene comunque in qualche modo smentita dallo splendido rapporto che Preve ebbe con i suoi allievi (esercitò la professione di insegnante di storia e filosofia presso numerosi istituti torinesi) e che oggi lo ricordano con grande riconoscenza, tra di essi occorre ricordare Diego Fusaro, giovanissimo docente universitario e già apprezzato autore di saggi filosofico-economici oppure la giornalista Luisella Costamagna che ieri ne parlava come di un «uomo che le ha cambiato la vita». Il segretario di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero, ha voluto commemorarlo riconoscendone la grande statura intellettuale.
L'instancabile attività teorica di Preve ha conosciuto forse il suo picco con il monumentale, recentissimo, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia (Petite Plaisance, 2013) vera summa «totale» di un tentativo di ripensamento critico della storia della filosofia.
L'importanza di Preve emerge chiaramente dalla considerazione che molti studiosi di filosofia di tutta Europa gli hanno tributato negli anni ed il suo lascito teorico è un tesoro ancora tutto da scoprire per chi voglia immaginare una nuova prassi anticapitalistica. Il suo volersi smarcare da ogni forma di identitarismo incapacitante, la sua denuncia degli Stati Uniti come «ideocrazia imperiale», l'idea di vivere nell'epoca di un «capitalismo assoluto» che utilizza forme comunicative simili alla religione per autoaffermarsi, sono riflessioni che meriterebbero il più vasto dibattito, un dibattito necessario e che speriamo non venga ulteriormente procrastinato.
il manifesto | 26
Novembre 2013
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