Sara Borriello - La pratica sociale della menzogna
Tra le prime cose che la società ci
trasmette, già dalla più tenera infanzia, c'è l'abitudine a mentire.
Celare, occultare, manipolare, fingere: arti che riescono fin troppo
naturali nella vita di tutti i giorni. Mario Guarino, nel suo Il Potere
della Menzogna (Dedalo, pp. 220, euro 16) sottolinea come non sia
importante essere attori per riuscire a mentire spudoratamente sui
dettagli più insignificanti, anche all'interno della quotidianità.
Perché mentiamo? Per i motivi più vari, e non solo per occultare la
verità; a volte soltanto per pigrizia. Questa superficialità della
menzogna spesso non ha ricadute significative nella quotidianeità, ma
diventa sintomo di qualcosa di più grande: la consuetudine alla bugia.
Mentire è infatto divenuto un ulteriore modo di comunicare.
Nelle prime pagine del libro Guarino esplora velocemente una interessante casistica di assuefazione alle bugie, tanto che quando ne vediamo una, non ci sorprendiamo più: viene data quasi per scontata, come se fosse un naturale risultato della realtà. Inutile dire che le conseguenze sociali non tardano a farsi sentire, con un popolo che non riesce più, nella maggior parte dei casi, a indignarsi di fronte alla menzogna. Le premesse del libro sembrano solide, le argomentazioni portate sono inattaccabili e dal primo capitolo trapela una missione nobile: quella di trattare la menzogna per come essa è, di indagare i meccanismi attraverso cui si propaga e i canali tramite cui agisce. Lo scopo viene disatteso poco più avanti nel libro. Basta leggere qualche capitolo in più per rendersi conto che l'incipit è servito solo per trascinare il lettore all'interno di una voragine di accuse e sermoni su tutto quello che non va nella società attuale.
Il j'accuse di Guarino è condivisibile laddove invita a indignarsi verso la pratica della menzogna, che dovrebbe essere riconosciuta e additata invece che mascherata e giustificata, ma non risultano convincenti del tutto i toni moralistici scelti. Questo nulla toglie al fatto che alcune parti del saggio aiutano a guardare al potere della falsità da nuovi punti di vista, e analizzare il fenomeno dal basso sarebbe stato probabilmente il metodo più utile per inquadrarlo da un punto di vista più psicologico e sociologico che politico e sociale. Se è vero che la bugia è qualcosa di cui non possiamo fare a meno, andrebbe estirpata alla base, molto prima di arrivare ad additare politici, pubblicitari, giornalisti e i potenti in genere. Nel volume è inoltre assente lo sviluppo di un problema sottolineato in apertura da Guarino, l'atarassia del nostro popolo verso fatti di un peso sociale non irrilevante.
Certo, ci sono bugie e bugie e nessuno può pensare di compararle, ma il processo che porta all'assuefazione non cambia, passa con elasticità da una situazione all'altra senza riuscire nemmeno più a valutare il peso e la rilevanza della menzogna. E la verità? Alla verità ci si può avvicinare, la si può inseguire come un traguardo e questo fa la differenza tra la buona fede e quella cattiva.
Da il manifesto del 20 novembre 2013
Nelle prime pagine del libro Guarino esplora velocemente una interessante casistica di assuefazione alle bugie, tanto che quando ne vediamo una, non ci sorprendiamo più: viene data quasi per scontata, come se fosse un naturale risultato della realtà. Inutile dire che le conseguenze sociali non tardano a farsi sentire, con un popolo che non riesce più, nella maggior parte dei casi, a indignarsi di fronte alla menzogna. Le premesse del libro sembrano solide, le argomentazioni portate sono inattaccabili e dal primo capitolo trapela una missione nobile: quella di trattare la menzogna per come essa è, di indagare i meccanismi attraverso cui si propaga e i canali tramite cui agisce. Lo scopo viene disatteso poco più avanti nel libro. Basta leggere qualche capitolo in più per rendersi conto che l'incipit è servito solo per trascinare il lettore all'interno di una voragine di accuse e sermoni su tutto quello che non va nella società attuale.
Il j'accuse di Guarino è condivisibile laddove invita a indignarsi verso la pratica della menzogna, che dovrebbe essere riconosciuta e additata invece che mascherata e giustificata, ma non risultano convincenti del tutto i toni moralistici scelti. Questo nulla toglie al fatto che alcune parti del saggio aiutano a guardare al potere della falsità da nuovi punti di vista, e analizzare il fenomeno dal basso sarebbe stato probabilmente il metodo più utile per inquadrarlo da un punto di vista più psicologico e sociologico che politico e sociale. Se è vero che la bugia è qualcosa di cui non possiamo fare a meno, andrebbe estirpata alla base, molto prima di arrivare ad additare politici, pubblicitari, giornalisti e i potenti in genere. Nel volume è inoltre assente lo sviluppo di un problema sottolineato in apertura da Guarino, l'atarassia del nostro popolo verso fatti di un peso sociale non irrilevante.
Certo, ci sono bugie e bugie e nessuno può pensare di compararle, ma il processo che porta all'assuefazione non cambia, passa con elasticità da una situazione all'altra senza riuscire nemmeno più a valutare il peso e la rilevanza della menzogna. E la verità? Alla verità ci si può avvicinare, la si può inseguire come un traguardo e questo fa la differenza tra la buona fede e quella cattiva.
Da il manifesto del 20 novembre 2013
Nessun commento:
Posta un commento