Walter Benjamin, Frammenti. Il tempo eretico della logica senza sistema
Una raccolta che
restituisce gli anni giovanili, caotici, precari e densi di promesse, del
pensatore tedesco. Testi brevi, talora
brevissimi, scritti tra il 1916 e gli anni Venti
Massimiliano Palma
Il tempo eretico
della logica senza sistema
Sono lacerti di
scrittura che accompagnano la maturazione del Benjamin studente
prima, dottorando poi, infine traduttore e saggista estraneo
all'accademia. In un autore spesso messo all'indice per la sua
«frammentarietà» - come se non fosse anche l'effetto di un
destino di precarietà -, questi abbozzi di teoria gnoseologica e
linguistica rivelano piuttosto l'ansia sistematica di una mente
capace di pensieri abissali e di abbaglianti ipotesi teoriche:
oltre l'oziosa dicotomia «frammento e sistema», vi si individua
invece un percorso di ricerca unitario.
Il pregio del volume,
oltre a quello, notevole, dell'inedita traduzione di brani che
aspettano da troppi anni il volume promesso delle Opere complete
einaudiane, è nella ricostruzione accurata, per opera di
Tagliacozzo, della cornice dottrinaria in cui il tentativo
benjaminiano si sviluppa: ove pesano con pari rilievo «l'influsso
del pensiero di Kant e di Husserl, della logica matematica, della
dottrina logica e messianica di Hermann Cohen e insieme della
dottrina teologica ebraica che Benjamin recepisce da Scholem».
Paul Klee, Angelus Novus (1920) |
Il saggio decisivo
Sulla lingua in generale e sulla lingua dell'uomo risulta criptico
senza tener conto di questo sfondo, in cui il neokantismo -
destino d'ogni studente tedesco dell'epoca, ma non da intendersi
quale orizzonte omogeneo - si mescolava all'ebraismo attinto alle
fonti più eretiche cui il giovanissimo Scholem stava attirando
Benjamin. È nel peregrinare tra Berlino, Friburgo, Monaco e
Berna, tra maestri come Rickert e Cohen, il meno noto Ernst Levy,
che in Benjamin concresce un interesse teoretico indomito,
stimolato dalle discussioni con Scholem e col sodale Noeggerath
sui temi della fenomenologia più eterodossa (Tagliacozzo
sottolinea i nomi di Paul Linke e di Geiger) fino agli studi di
Frege e Russell su senso e significato. Come sottolinea Fabrizio
Desideri nella densa prefazione, in gioco in questi frammenti è
la definizione del «carattere sistemico» della verità e
l'intrico di percezione e linguaggio nell'esperienza e quindi
nella conoscenza, senza che la verità possa esser in qualche modo
«intenzionata» («la verità è morte dell' intentio », recita
il celebre fr. 27).
La mediazione tra
verità e conoscenza resta solo simbolica - è un'esibizione del
non comunicabile che ha fondamento nell'oggetto stesso e nel
suggerimento di affinità che questo comanda, attraverso il nome,
all'intenzione stessa. Anti-husserliana, contraria a ogni
riduzionismo coscienziale che assorba nell'io trascendentale
l'empirico, quella benjaminiana è un'attitudine che preserva le
differenze, che le vuole salvare come tali , proprio attraverso il
ribaltamento del rapporto concetto-linguaggio, che reca in primo
piano la parola e ne fa schema di un'esperienza assoluta che è
filosofia (fr. 19). La filosofia dev'essere esperienza capace di
mostrare nel nome - punto-cardine genuinamente ebraico della
dottrina benjaminiana della Sprache , come sottolinea Tagliacozzo
- il margine di incomunicabile, di riottoso rispetto alla presa
del concetto.
Ne emerge, giova
ripetere la felice espressione di Desideri, l'«espressivismo»
benjaminiano, una traccia di «esoterico relativismo» che assegna
all'«ora della conoscibilità», detto in un nome (fr. 25), la
pertinenza - e la responsabilità etica - di mostrare l'inespresso
nel fenomeno che è oggetto di un interesse critico. Di qui, la
curvatura di Kant nel senso di un'esperienza assoluta, che
coincida paradossalmente con la dottrina stessa. Mediata dal
linguaggio e quindi dalla percezione, quest'esperienza-dottrina si
identifica col «compito infinito», ripreso e traslato da Cohen.
Sarà l'applicazione di questa teoria, in cui vibra più di una
traccia messianica, al fenomeno storico, nella chiave materialista
qui soltanto in nuce (e solo teorica), a far sorgere il concetto
di attualità ( Jetztzeit ) e con esso, una dopo l'altra, le tesi
Sul concetto di storia .
Come denota la
splendida citazione di Frege sui segni quali vele da sfruttare per
navigare controvento, di cui Tagliacozzo ben rileva l'affinità
con un brano assai più tardo del lavoro sui Passages , il
pensiero di Benjamin mostra una singolare coerenza, un firmamento
di costellazioni concettuali sempre arricchite, negli anni, ma
sempre riconoscibili. Questa raccolta di frammenti, munita di un
apparato dettagliato e esplicativo, ci restituisce l'officina
degli anni di apprendistato di Benjamin, caotici, precari, carichi
di promesse.
il manifesto | 30
Novembre 2013
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