Metamorfosi di Marx
su:
Étienne Balibar, La philosophie de Marx
La Découverte, Paris 1993
Con questo “piccolo” libro,
Étienne Balibar si propone di «comprendere e far comprendere perché si
leggerà ancora Marx nel XXI secolo: non soltanto come un momento del
passato, ma come un autore ancora attuale, per le questioni che pone
alla filosofia e per i concetti che le propone» 1,
e di fornire al contempo uno strumento per orientarsi nei testi di Marx
e nei dibattiti che suscitano. La formulazione del primo (principale)
obiettivo non è semplicemente un pronostico, ma un performativo, essendo
l’eventuale sparizione di una teoria non «un destino, ma l’effetto di un rapporto di forze»2.
«Molto nuova e così antica –
scrive Derrida – la congiura sembra al tempo stesso potente e, come
sempre, inquieta, fragile, angosciata. Il nemico da scongiurare (conjurer), per i congiurati (conjurés)
si chiama certo il marxismo. Ma si ha ormai paura di non riconoscerlo
più. Si trema di fronte all’ipotesi che grazie a una di queste
metamorfosi di cui Marx ha tanto parlato (“metamorfosi” fu per tutta la
sua vita una delle sue parole preferite) un nuovo “marxismo” non abbia
più la figura sotto la quale sotto la quale ci si era abituati a
identificarlo e a metterlo in rotta. Non si ha forse più
paura dei marxisti, ma si ha paura di certi non-marxisti che non hanno
rinunciato all’eredità di Marx, paura dei cripto-marxisti, degli pesudo-
o dei para- marxisti che sarebbero pronti a dare il cambio sotto dei
tratti o delle virgolette che gli esperti angosciati dell’anticomunismo
non sono allenati a smascherare»3.
Credo – è il compito che
vorrei assegnate a queste note – che sia possibile rilevare l’apertura
di un nuovo spazio per la filosofia: un rientro esplicito di Marx (in
nessun caso un semplice “ritorno a”) che, fuori e contro la sempre più
insicura “euforia trionfante” della democrazia liberale, permetterà di
pensare altrimenti: il tempo, i conflitti, le possibilità di resistenza e
di trasformazione. La scrittura dovrebbe, in questa congiuntura,
avvicinarsi al movimento di un sismografo: registrare, con un tratto
minimo, uno spostamento più grande. E segnare alcune rilevazioni
provvisorie: i sintomi, ancora dispersi, delle modificazioni di
territori non uniformi, ma interessati da un generale processo di
cambiamento.
Per Balibar, la chiusura del
ciclo storico in cui il marxismo ha funzionato come dottrina
d’organizzazione apre inedite possibilità di leggere Marx: «Liberati da
un’impostura, guadagniamo un universo teorico» 4.
La negazione dell’esistenza di una “dottrina” filosofica marxista non
dissolve le determinazioni né sfocia su un pensiero “debole”; consente
al contrario di delimitare i concetti, di sottolinearne le tensioni e
gli spostamenti interni, di costruire un diagramma delle biforcazioni e
delle “rettifiche”, dei possibili luoghi di dissidio e linee di fuga.:
una prospettiva ai limiti del marxismo che cerca di cogliere, insieme,
ciò che nel pensare – non solo “con”, ma anche eventualmente “contro”
Marx – è ancora marxiano 5.
Leggendo Marx nella congiuntura, notiamo che Marx stesso «ha scritto nella congiuntura»;
i suoi concetti solo ad un tempo rigorosi e «incompatibili con la
stabilità delle conclusioni». La possibilità di un approccio di questo
tipo è evidentemente data dal fatto che nel marxismo, e in particolare
nel marxismo degli anni Sessanta e Settanta, di sono prodotti
avvenimenti, aperture, spostamenti che, retroagendo sui testi di Marx,
hanno irreversibilmente modificato il modo in cui possiamo leggerli. C’è
un rapporto forte tra questo Marx «filosofo dell’eterno
ricominciamento» 6 e «una caratteristica significativa dei concetti “althusseriani”: questi concetti sono sempre già
“autocritici”. Contengono sempre già un elemento di negazione che li
mette in pericolo, che fa vacillare il loro senso nel momento stesso in
cui pretendono al più grande rigore. Contengono dunque in anticipo,
un elemento che si oppone al fatto che il loro uso, il loro sviluppo,
sfoci nell’univocità di una teoria “infine trovata”. Sono così sin dalla
loro origine, un modo discorsivo di porsi essi stessi in disequilibrio,
di assicurarsi contro la sicurezza di una “tesi” nel momento in cui la
si sostiene» 7.
In modo più specifico: la precedente problematizzazione, da parte di
Balibar, del concetto di rottura epistemologica in Althusser, tesa a
sottolinearne il carattere di rottura continuata, al tempo stesso irreversibile e incompiuta 8, presiede direttamente a questo attraversamento della «totalità aperta» 9
degli scritti di Marx, come tracciato costellato da ripetute
oscillazioni, punti di crisi, focolai di instabilità. Questo andamento
sismico o scismatico della teoria non è semplicemente uno “svolgimento”
interno ad essa, ma l’effetto della sua costante messa in tensione con
altre pratiche, della sua “programmatica” implicazione in congiunture
storiche.
Quanto alla congiuntura
attuale, – in cui il libro si iscrive – il marxismo «è oggi una
filosofia improbabile. Ciò attiene al fatto che la filosofia di Marx è
nel corso del lungo e difficile processo di separazione dal “marxismo
storico”, che deve attraversare tutti gli ostacoli accumulati da un
secolo di utilizzazione ideologica. Ora, non si tratta per essa di
ritornare al suo punto di partenza, ma al contrario di imparare dalla
sua propria storia e di trasformarsi nel corso della traversata. Chi
vuole filosofare oggi in Marx non viene soltanto dopo di lui, ma dopo il marxismo:
non può accontentarsi di registrare la cesura provocata da Marx, ma
deve anche riflettere sull’ambivalenza degli effetti che essa ha
prodotto – sui suoi sostenitori come sui suoi avversari»10.
Ma, se l’impossibilità di «funzionare come impresa di legittimazione» è indicata come «una condizione quanto meno negativa»
della vitalità del marxismo, sarà la condizione positiva a decidere
della rilevanza presente e a venire di Marx. Essa «dipende dalla parte
che i concetti di Marx giocheranno nella critica di altre impresa di
legittimazione»11.
A questo riguardo, mi limito a
sottolineare un punto: «l’universalizzazione del rapporto sociale
annunciata dai filosofi della storia è ormai un fatto compiuto:
non c’è più, che un solo spazio delle tecniche e della politica, della
comunicazione e dei rapporti di potenza. Ma questa universalizzazione
non è né un’umanizzazione né una razionalizzazione, essa coincide con
esclusioni e scissioni più violente che prima»12. Sull’irruzione di questo lato cattivo della storia si è concentrata negli ultimi anni l’attività teorica e politica di Balibar, costituendo – almeno a partire da Razza nazione classe 13
– un riferimento rilevante per la riflessione e l’azione nel presente.
Questa ricerca ha raggiunto uno degli esiti più importanti e
inquietanti nell’indagine del rapporto di implicazione reciproca che
manifestazioni determinate dell’universalismo e razzismo, integrazione e
esclusione. Almeno come indice di un lavoro che sarebbe arduo
riassumere senza banalizzare, richiamo una formulazione folgorante: «è
derisorio pensare di combattere il razzismo in nome dell’universalità in
generale: il razzismo è già “sul posto”. È dunque sul posto che si
svolge la lotta»14.
Se leggiamo La philosophie de Marx
tenendo presenti queste problematiche, vediamo emergere come un filo
rosso l’analisi dei limiti, degli ostacoli, delle “contraddizioni”
storiche dell’universalismo che percorre gli scritti di Marx. Mostrando
«come una particolarità professionale, nazionale, o sociale è
idealizzata nella forma dell’universalità (e, reciprocamente, perché
ogni universale “astratto”, ogni ideale è la sublimazione di un
interesse particolare)» 15,
Marx apre lo spazio in cui possiamo riflettere – per ripetizione,
passaggio al limite o spostamento – sui paradossi e sui limiti degli
attuali processi di universalizzazione e delle forme costituite di
universalità.
Rudy M. Leonelli, “Metamorfosi di Marx”,
in altreragioni, n. 3, 1994
in altreragioni, n. 3, 1994
testi:
- Étienne Balibar, La philosophie de Marx, Paris, La Découverte, Paris 1993.
- Jacques Derrida, Spectres de Marx. L'État de la dette, le travail du deuil et la nouvelle Internationale, Paris, Galilée, 1933.
trad. it. dei brani citati dai testi francesi a mia cura
r. m. l.
2 E. Balibar, “Tas-toi encore, Althusser!,” ora in Per Althusser,
manifestolibri, Roma 1991, p. 32. In questo saggio, Balibar aveva
identificato una delle possibili, eterogenee, forme della “sparizione”
della teoria marxista con ma morte: “Di ciò che era una pratica viva non
resterebbe più allora che un fantasma: la memoria” (ivi).
L’elaborazione positiva della metafora del fantasma costituisce il filo conduttore del testo di Jacques Derrida, Spectres de Marx. L’état de la dette, le travail du deuil et la nouvelle Internationale, Galilée, Paris 1993. Letto in questa prospettiva, Spectres de Marx decide per una delle forme di sparizione ipotizzate da Balibar – quella corrispondente alla modalità passiva (Per Althusser,
p. 31) – per attivarla lavorando sul suo resto (plurale: gli spettri).
Questo eventuale punto di ancoraggio – una singolare forma di
“rovesciamento” – permetterebbe di far apparire tra il lavoro di Balibar
e il testo di Derrida un rapporto che, eccedendo l’economia dei
riferimenti espliciti e delle citazioni, investe lo spazio in cui si
colloca Spectres de Marx.
Questa ipotesi potrebbe
essere confermata ed estesa rileggendo alcuni brani di una comunicazione
di Balibar ad un convegno negli Usa (1988) che affrontava l’ostracismo e
la censura gravanti sul marxismo: «tutto si svolge come se la cosa più
importante sia far dimenticare che vi sono state un’attività, una
produttività intellettuale all’interno del marxismo e non solo
declamazioni e illusioni … Non dobbiamo restar sorpresi nel constatare
che questo modo di trasformare la storia in non-storia fiorisce in modo
particolare in paesi, come la Francia, in cui il marxismo ha giocato il
ruolo più importante in filosofia, nelle scienze sociali, negli studi
umanistici e nella cultura. Ma dobbiamo temere, forse, che gli
intellettuali che oggi si prestano a questa amnesia della loro storia
non abbiano a pagare un prezzo troppo elevato, esattamente come i
marxisti hanno pagato molto caro le distorsioni che essi avevano fatto
subire alla loro eredità filosofica e culturale» (“Le non-contemporain”,
ora in Per Althusser, pp. 42-43).
Quando Spectres de Marx
– rielaborazione di una conferenza tenuta all’Università di California
nell’aprile 1993 – afferma che la decostruzione «sarebbe stata
impossibile e impensabile in uno spazio pre-marxista» (p. 151), non
attribuiamo certo a questo enunciato una valore di “rivelazione”, quanto
piuttosto di rifiuto attivo di quella “amnesia” che Balibar aveva
indicato come un pericolo.
3 J. Derrida, Spectres de Marx, p. 88.
4 PhM, p. 5.
5 Fino alla necessità di «essere “marxista” contro Marx» (PhM, p. 117).
Credo che questo gesto
filosofico abbia un precedente nel confronto con Hyppolite, e con Hegel,
istituito da Foucault nella lezione inaugurale al Collège de France
(cfr. L’ordine del discorso, tr. it. Einaudi, Torino 1972, pp.
54-60, in particolare l’esigenza di sapere, «in ciò che ci permette di
pensare contro Hegel, quel che è ancora hegeliano).
Ma un motivo più importante conduce a rileggere queste pagine di Foucault a fronte de La philosophie de Marx:
la necessità, per la filosofia, di rischiare ininterrottamente se
stessa in rapporto alla non-filosofia e di pensare – e di iscrivere tra
le proprie condizioni – le trasformazioni introdotte in questo rapporto.
La possibilità, sperimentata da Balibar, di leggere Marx come filosofo
«senza sminuirlo né tradirlo» (PhM, p. 7) è interna all’autoriflessione
della filosofia sulle proprie trasformazioni storiche: «dopo Marx, la
filosofia non è più stata come prima. Si è prodotto un avvenimento
irreversibile, che non è comparabile al sorgere di un nuovo punto di
vista filosofico, perché non obbliga soltanto a cambiare d’idee o di
metodo, ma a trasformare la pratica della filosofia … Questa
antifilosofia che il pensiero di Marx ha voluto essere a un momento
dato, questa non-filosofia che esso è certamente stato rispetto alla
pratica esistente, ha dunque prodotto l’effetto opposto a quello a
cui mirava. Non soltanto non ha messo fine alla filosofia, ma ha
piuttosto suscitato nel suo seno una questione aperta di cui, ormai, la
filosofia può vivere, e che contribuisce a rinnovarla» (PhM, pp. 6-7).
6 PhM, p.7.
7 “Tas-toi encore, Althusser! ”, Per Althusser, pp. 21-22. E,
in Derrida: «Continuare ad ispirarsi a un certo spirito del marxismo,
sarebbe essere fedele a ciò che ha sempre fatto del marxismo
generalmente e innanzitutto una critica radicale, cioè un modo di
procedere sempre pronto alla sua autocritica, la sua rivalutazione (réévaluation) e la sua auto-reinterpretazione» (Specttres de Marx, p. 145).
8 Cfr. É. Balibar, “Le concept de ‘coupure épistémologique’ de Gaston Bachelard à Louis Althusser”, (1977), ora in Per Althusser.
9 PhM, p. 7.
10 PhM, p. 115.
11 Ibid.
12 PhM, p. 116. È il precipitare conflittuale di un processo storicizzato in Marx: «Weltgesichte existierte nicht immer; Gesichte als Weltgesichte Resultat – La storia universale non è esistita sempre; la storia come storia universale è un risultato», (Introduzione del ’57, Bertani, Verona 1974, pp. 119-121).
13 Étienne Balibar e Immanuel Wallerstein, Razza nazione classe. Le identità ambigue, (1988), Edizioni Associate, Roma 1990, Cfr. una mia breve recensione in “Invarianti, V, 17-18, 1991.
14
E. Balibar, “Razzismo: un altro universalismo” (1988), in “Problemi del
socialismo”, 2,1991, p. 44. Questa formulazione astratta non è sterile.
Permette, ad esempio, di diagnosticare e combattere «un nuovo fenomeno
europeo … la discriminazione è iscritta nella natura stessa della Comunità europea,
perché quest’ultima arriva immediatamente a definire in ogni paese due
categorie di stranieri con diritti ineguali» , E. Balibar, Le frontiere della democrazia, manifestolibri, Roma 1993, p. 118.
15 PhM, p. 48.
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