Dobbiamo a Giuseppe Fiori la prima e più bella biografia di Antonio Gramsci. Fiori è stato tra i primi a scrivere su Gramsci, in modo documentato, senza prendere ordini dal PCI di Togliatti. E, non a caso, il suo ultimo lavoro è stato un saggio critico - Gramsci Togliatti Stalin, Laterza 1991 - che, aggiornando quanto aveva già scritto negli anni sessanta, mostrava l'abissale distanza di Gramsci rispetto a Stalin e allo stesso Togliatti.
Oggi ci piace segnalare un libro uscito di recente, che raccoglie varie testimonianze sull'opera del Fiori, con una bella recensione di Tonino Sitzia.
TONINO SITZIA - IL CORAGGIO DELLA VERITA'
Il libro di Jacopo Onnis raccoglie 31 testimonianze su Giuseppe Fiori,
a dieci anni dalla scomparsa, di giornalisti della carta stampata o
della televisione, di scrittori e registi, di uomini politici, storici, o
persone che ci lavorarono fianco a fianco, lo conobbero personalmente
oppure lo ricordano per averne letto le opere. Non un’arida biografia
cronologica dunque, né un agiografico omaggio ad una personalità così
significativa nella vita pubblica italiana e sarda negli anni dal
dopoguerra fino agli ultimi decenni del novecento. È invece un voler
ricostruire, sul filo della memoria e del ricordo, un “carattere”, fatto
di professionalità, rigore morale, ricerca della verità, intransigenza,
forte idealità, disponibilità, ruvida bontà e generosità.
Queste
virtù umane prima che politiche e di scrittore risaltano nel libro, e
ne rendono attualissimo il messaggio e l’esempio, nel clima di degrado e
di basso impero che stiamo vivendo.
Proprio di esempi c’è bisogno. E
la lettura delle biografie, genere poco praticato in Italia e in cui
Fiori è stato insuperato maestro (solo il suo amico Corrado Staiano
raggiunge simili livelli), sono di grande utilità, soprattutto per i più
giovani. Le biografie sollecitano il principio rinascimentale
dell’imitazione ed è noto che Machiavelli nel cap.VI del Principe
sostenesse che “debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie
battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi
imitare, acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda
qualche odore”; ma soprattutto le biografie, quelle “alla
Fiori”, sono strumenti di conoscenza. Come mai la biografia di Silvio
Berlusconi (Garzanti 1995), significativamente intitolata “Il venditore”
e non “L’imprenditore” è repentinamente sparita dalle vendite dei
libri? Eppure è un ottimo strumento di conoscenza per capire il
personaggio e le responsabilità dell’opposizione di allora (e di
oggi?), che poteva intuirne una deriva durata poi oltre vent’anni.
Sul principio di imitazione, senza
retoricamente pretendere di imitare alla lettera Gramsci, Lussu,
Rosselli, Ernesto Rossi, o Berlinguer (tutte biografie di Fiori) che
furono figli e protagonisti del loro tempo, certo la loro moralità, i
loro ideali, possono tornare utili in tempi difficili quali sono quelli
di oggi. Carlo Lizzani, che nel suo “Barbagia, la società del malessere”
(1969), trasse ispirazione dal libro di Fiori, nella sua testimonianza
dice, quasi una premonizione del suicidio avvenuto il 5 ottobre scorso:
“mi sembra di vivere in un nuovo dopoguerra, senza che ci sia stata una
terza guerra mondiale. Percepisco molte macerie. Non sono le stesse che
vidi in Germania quando vi andai con Rossellini. Sono macerie
invisibili: ideali in frantumi, sogni spezzati, speranze distrutte. Non
perdo comunque l’ottimismo che la parola “uomo” ancora mi suscita”.
Le biografie di Giuseppe Fiori indagano l’uomo,
oltre che il politico e l’intellettuale: ciò risalta magistralmente
nella biografia di Gramsci, ormai un classico del Novecento tradotto in
tutte le principali lingue del mondo. Nella prefazione al libro Fiori,
ricordando una lettera di Nino alla cognata Tatiana in cui commentava
che finalmente vedeva i suoi bambini in foto non solo in viso ma dotati
di braccia e gambe, scrive “con questo libro ho voluto completare il
ritratto di Gramsci, cioè aggiungere alla “testa” (al Gramsci grande
intellettuale e leader politico, meglio conosciuto) “gambe e corpo”:
quegli elementi umani che aiutano a farci vedere il personaggio
“intero”…
Il personaggio “intero” è colto da Rossana Rossanda,
altra testimonianza all’’interno del libro di Onnis, quando sostiene
che Fiori, nella sua biografia su Gramsci ha saputo, come nessun altro,
cogliere quell’umanissima e individuale dimensione del dolore, quella
fragilità umana che ce lo rende più vicino, liberandolo dal mito
ossificato dell’eroe tutto cervello e politica.
“Vero cronista è chi mette gli altri nella condizione di fare la propria parte”,
è quanto sostiene Stefano Rodotà nella sua testimonianza. Per dirla con
Stajano, “Fiori non si è mai allontanato dal giornalismo. Ha lavorato
da scrittore e da giornalista insieme…” Questo assillo della verità ne
ha caratterizzato l’operato nei vari campi di interesse in cui si è
manifestata la sua complessa personalità. Nella scrittura per esempio:
in “Sonetàula” (1960)“Baroni in laguna” (1961) e ne “La società del malessere” (1968) l’inchiesta o la cronaca si fanno narrazione destinata
a durare nel tempo (testimonianza di Mariangela Sedda), senza
ammiccamenti al banditismo, vera piaga della Sardegna, sapendo comunque
cogliere gli elementi di modernità, che alla fine degli anni sessanta,
con i nuovi fermenti della scolarizzazione, vede protagonisti le donne e
i giovani di Orgosolo. “Oggi – testimonianza di Salvatore Muravera –
Orgosolo è un paese spento”. Quasi un rimpianto per quegli anni
contradditori ma anche pieni di speranze.
Nel campo della comunicazione radio televisiva Fiori è tra in primi, è
quanto sostiene tra gli altri Gianni Olla nel suo contributo al libro a
“intuire che le immagini a volte sono più potenti delle parole” e
Renzo Arbore, ricordando il Tg2 diretto da Andrea Barbato, con Fiori
vicedirettore, sostiene che egli fu il primo anchorman nella storia
della televisione italiana, quello che chiudeva le sue “Note” alla fine
del Tg per passare la parola a quei goliardi dell’”Altra domenica”. In
quegli anni convivevano una TV seria, quella del coraggio della verità
di Fiori, con quella intelligentemente ironica e dissacrante di Arbore e
Benigni. Angelo Guglielmi, che fu direttore di Raitre da 1987 al 1994,
nella sua testimonianza, racconta di un furioso attacco pubblico che gli
venne da Giuseppe Fiori perché non lo chiamò a lavorare per quella
rete. Guglielmi scrive: “volevamo abbandonare il linguaggio frontale
intelligentemente di denuncia che era la specialità di
Peppino…ritenevamo che il linguaggio più adatto fosse il linguaggio
ironico, lo sfottò, il ludibrio. I punti forti della rete erano Chiambretti, Fazio, Blob, La Tv delle ragazze.”
Da allora molta acqua sotto i ponti è passata, quel
linguaggio è stato preso a modello, e involgarito, dalle reti
berlusconiane, ma un Giuseppe Fiori sarebbe ancora molto utile
all’Italia contemporanea.
Tonino Sitzia
Fonte: http://unaltrasestu.com/2013/11/15/il-coraggio-della-verita-litalia-civile-di-giuseppe-fiori-a-cura-di-jacopo-onnis-cuec-2013-recensione-di-tonino-sitzia/
La figlia Simonetta, curatrice delle pagine culturali de La Repubblica, per fortuna ha seguito le orme paterne
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