27 novembre 2013

RICCHI E POVERI OGGI

Perché non si può chiedere un contributo a quel 10% di famiglie che ha 4mila miliardi? Si chiede l'Unità. La risposta è sotto gli occhi di tutti: il parlamento è egemonizzato da un pregiudicato (e la sua banda di sostenitori prezzolati, Lega inclusa) e sull'altra sponda da una accozzaglia di cialtroni privi di un qualunque progetto che non sia la mera gestione del potere. Cosa attenderci da questa gente?
 
Nicola Cacace

Il Paese dei ricchi, quello dei poveri

I dati OCSE su salari e pensioni confermano una realtà nota, quella delle due Italie, l’Italia dei ricchi e quella dei poveri, che nessuno degli ultimi governi, da Monti e anche Letta senza parlare di Berlusconi, ha quasi mai preso in considerazione. Se l’Ocse ci conferma che i nostri salari sono del 12% inferiori alla media Ocse, ma del 50% inferiori a quelli tedeschi, inglesi e francesi, mentre tutti sanno che i guadagni dei nostri top manager privati e pubblici sono i più alti di tutti, lo stesso Ocse ci dice che il mondo delle pensioni è diviso in due, pensioni più alte della media per gli attuali pensionati, che includono anche milioni di baby pensionati di ieri e «pensioni a rischio povertà per i precari di oggi». L’Italia oggi soffre da morire per la crisi perché è divisa in due, quella dei poveri e quella dei ricchi ed i governi lo ignorano.

I dati Ocse fanno il paio con il dato Bankitalia della ricchezza totale privata che da anni sono noti. Con poco meno di 9mila miliardi di euro, quasi il 6% del Pil, la ricchezza privata italiana batte un record relativo mondiale. Anche questi dati mostrano un’Italia profondamente divisa, un blocco fortunato formato dal 10% delle famiglie che possiede il 46% di tutta la ricchezza, quasi 2 milioni di euro a famiglia, un blocco mediano, che la crisi sta erodendo, formato dal 40% delle famiglie, che possiede il 10% della ricchezza, 500mila euro a famiglia ed il blocco dei poveri, vecchie e nuovi, formato dall’ultimo 50% delle famiglie, di poveri vecchi e nuovi che possiedono come patrimonio netto meno del 10% (9,8%, dati Bankitalia), 60mila euro a famiglia, di cui 30mila in immobili (molto meno di una casa in proprietà per famiglia) e 30mila in risparmi liquidi. In queste famiglie, se sparisce il reddito, si vive poco più un anno con i risparmi della vita, poi, chi ce l’ha, vende la casa, poi è la fine.

L’aumento della povertà dopo anni di crisi ha messo a terra almeno mezza Italia ed i governanti non possono continuare a non tenerne conto. Perché, di fronte ad un Paese diviso in due, l’Italia dei ricchi e quella dei poveri, di fronte ad un debito pubblico crescente che ha superato i 2mila miliardi ed il 30% del Pil, di fronte alla realtà di una norma, il Fiscal Compact che ci imporrà presto di ridurre il debito in modi convincenti -di almeno una ventina di miliardi l’anno come da Bruxelles il commissario Olli Rehn ci ricorda in ogni occasione-, di fronte ad una ricchezza privata non trascurabile, perché nessun governo azzarda qualche proposta in tal senso? Eppure, sino a poco fa proposte del genere, un contributo patrimoniale straordinario, erano state avanzate anche da autorevoli borghesi, dall’antesignano banchiere cattolico Pellegrino Capaldo a Luigi Abete, presidente Bnl, Pietro Modiano, presidente Nomisma, Carlo De Benedetti, Vito Gamberale, etc..

Perché, per iniziare a salvare il Paese, non si può chiedere un contributo a quel 10% di famiglie che posseggono 4mila miliardi di patrimonio netto? Monti aveva obiettato che non ci sono dati certi ma non è più vero, c’è il catasto per gli immobili e c’è la banca dati in mano alla Finanza per i beni mobili. Un contributo straordinario dello 0,5% del patrimonio del 10% delle famiglie più ricche, da 2 milioni in su, darebbe 20 miliardi di entrate e costerebbe una media di 8mila euro a ciascuna delle 2,4 milioni di famiglie più brave e fortunate d’Italia. Nessuno fallirebbe, la speranza di uscire dal buco nero della crisi sarebbe più concreta, i valori di solidarietà del popolo italiano sarebbero esaltati, alla luce dell’esempio di civismo che le classi dirigenti darebbero.

(Da: L'Unità del 27 novembre 2013)

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