Nicola Cacace
Il Paese dei ricchi, quello dei poveri
I dati OCSE su salari e pensioni confermano una realtà nota, quella delle due Italie, l’Italia dei ricchi e quella dei poveri, che nessuno degli ultimi governi, da Monti e anche Letta senza parlare di Berlusconi, ha quasi mai preso in considerazione. Se l’Ocse ci conferma che i nostri salari sono del 12% inferiori alla media Ocse, ma del 50% inferiori a quelli tedeschi, inglesi e francesi, mentre tutti sanno che i guadagni dei nostri top manager privati e pubblici sono i più alti di tutti, lo stesso Ocse ci dice che il mondo delle pensioni è diviso in due, pensioni più alte della media per gli attuali pensionati, che includono anche milioni di baby pensionati di ieri e «pensioni a rischio povertà per i precari di oggi». L’Italia oggi soffre da morire per la crisi perché è divisa in due, quella dei poveri e quella dei ricchi ed i governi lo ignorano.
I dati Ocse fanno il paio con il dato Bankitalia della ricchezza totale privata che da anni sono noti. Con poco meno di 9mila miliardi di euro, quasi il 6% del Pil, la ricchezza privata italiana batte un record relativo mondiale. Anche questi dati mostrano un’Italia profondamente divisa, un blocco fortunato formato dal 10% delle famiglie che possiede il 46% di tutta la ricchezza, quasi 2 milioni di euro a famiglia, un blocco mediano, che la crisi sta erodendo, formato dal 40% delle famiglie, che possiede il 10% della ricchezza, 500mila euro a famiglia ed il blocco dei poveri, vecchie e nuovi, formato dall’ultimo 50% delle famiglie, di poveri vecchi e nuovi che possiedono come patrimonio netto meno del 10% (9,8%, dati Bankitalia), 60mila euro a famiglia, di cui 30mila in immobili (molto meno di una casa in proprietà per famiglia) e 30mila in risparmi liquidi. In queste famiglie, se sparisce il reddito, si vive poco più un anno con i risparmi della vita, poi, chi ce l’ha, vende la casa, poi è la fine.
L’aumento della povertà dopo anni di crisi ha messo a terra almeno mezza Italia ed i governanti non possono continuare a non tenerne conto. Perché, di fronte ad un Paese diviso in due, l’Italia dei ricchi e quella dei poveri, di fronte ad un debito pubblico crescente che ha superato i 2mila miliardi ed il 30% del Pil, di fronte alla realtà di una norma, il Fiscal Compact che ci imporrà presto di ridurre il debito in modi convincenti -di almeno una ventina di miliardi l’anno come da Bruxelles il commissario Olli Rehn ci ricorda in ogni occasione-, di fronte ad una ricchezza privata non trascurabile, perché nessun governo azzarda qualche proposta in tal senso? Eppure, sino a poco fa proposte del genere, un contributo patrimoniale straordinario, erano state avanzate anche da autorevoli borghesi, dall’antesignano banchiere cattolico Pellegrino Capaldo a Luigi Abete, presidente Bnl, Pietro Modiano, presidente Nomisma, Carlo De Benedetti, Vito Gamberale, etc..
Perché, per iniziare a salvare il Paese, non si può chiedere un contributo a quel 10% di famiglie che posseggono 4mila miliardi di patrimonio netto? Monti aveva obiettato che non ci sono dati certi ma non è più vero, c’è il catasto per gli immobili e c’è la banca dati in mano alla Finanza per i beni mobili. Un contributo straordinario dello 0,5% del patrimonio del 10% delle famiglie più ricche, da 2 milioni in su, darebbe 20 miliardi di entrate e costerebbe una media di 8mila euro a ciascuna delle 2,4 milioni di famiglie più brave e fortunate d’Italia. Nessuno fallirebbe, la speranza di uscire dal buco nero della crisi sarebbe più concreta, i valori di solidarietà del popolo italiano sarebbero esaltati, alla luce dell’esempio di civismo che le classi dirigenti darebbero.
(Da: L'Unità del 27 novembre 2013)
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