Nel mondo classico la paura della morte si combatteva con
l'iniziazione ai Misteri o con la riflessione filosofica. Epicuro,
osservatore serenamente disincantato del mondo e degli uomini, seppe
proporre un percorso laico di "salvezza" ancora oggi insuperato.
Maria Bettetini
Epicuro
L'anima
col corpo morta fanno, i seguaci di Epicuro secondo Dante
(Inferno 10, 15). Mentre i Campi Elisi ospitano con Aristotele
anche Democrito, che pure «'l mondo a caso pone», non è
prevista salvezza per gli Epicurei, condannati ad ardere dentro
sepolcri che nel giorno del giudizio verranno sigillati, se pur
in buona compagnia: Farinata, Cavalcante, Federico II. Persone
di alto livello politico e culturale, purtroppo Epicurei,
quindi dediti alla ricerca del piacere, senza timori per
un'eternità cui non credono, legati alla materialità della
vita. Questa è la versione dell'Epicureismo giunta fino a noi,
che ancora definiamo con un sorriso come epicurea ogni
gozzoviglia, e presunti epicurei i partecipanti.
In verità, come è
noto, Epicuro predicava una vita di astensione da ogni piacere
non necessario alla sopravvivenza, come bere per dissetarsi o
dormire per riposare. Il culmine della felicità è infatti
nella assoluta assenza di turbamento e passione, nella
atarassia che comporta anche assenza di dolore, aponia. Altro
che orge.
Se è nel momento
della morte che si capisce l'uomo, ecco le parole di Epicuro
nel frammento a noi giunto della Lettera a Ermarco: «Epicuro a
Ermarco, salute. Volge per me il supremo giorno. Così acuti
sono i dolori alla vescica e alle viscere, che più oltre non
può procedere il dolore. Pure a essi s'adegua la gioia
dell'animo mio, nel ricordare le nostre dottrine e le verità
da noi scoperte».
Morì di calcoli, e
pur tra atroci dolori provava gioia nel ricordare i dialoghi
con i discepoli e gli amici della sua scuola, il Giardino. Lo
Stoico si sarebbe ritenuto superiore al dolore, imperturbabile
anche se racchiuso nella fornace bronzea del «toro di
Falaride», la più crudele pena capitale greca.
Epicuro invece del
dolore prende atto, scrive a Ermarco di una gioia tutta
intellettuale e poi gli chiede di provvedere ai figli del suo
amico Metrodoro, rimasti orfani. Un altro segno di differenza
con l'isolamento del sapiente stoico, questo atteggiamento
paterno e fraterno. Epicuro teneva infatti in gran conto
l'amicizia, era per lui il valore più importante nella vita
sociale, grazie al quale venivano superate le barriere tra uomo
e donna, tra cittadino e schiavo o straniero: a mezzo secolo
dall'Etica Nicomachea, Aristotele con la sua amicizia solo "tra
pari" è del tutto superato da Epicuro.
Abbiamo solo
frammenti e parti delle molto numerose opere di questo ateniese
nato nel 342 a.C. sull'isola di Samo, dove il padre era stato
mandato come maestro di scuola: tre lettere, qualche libro
dell'opera Sulla natura, citazioni.
Ora un saggio
introduttivo del giovane Francesco Verde, aggiornato e preciso,
consente un bilancio su ciò che noi possiamo dire di sapere di
Epicuro e della sua dottrina. Gli scritti indicavano la via da
seguire per raggiungere il piacere dell'impassibilità o
piacere "catastematico": dapprima lo studio della
fisica permetteva di comprendere la struttura di un mondo fatto
di atomi che cadono paralleli e a caso a volte si incrociano
per via di un casuale clinamen, una casuale inclinazione (fu
Epicuro quindi che «'l mondo a caso» pose).
Anche la conoscenza
avviene attraverso uno spostamento di atomi che rende sempre
veritiere le sensazioni, sarà casomai sbagliato il giudizio
che da queste si fa discendere. Tale giudizio è possibile
grazie alla prolessi, ovvero grazie alla possibilità di
anticipare con il ricordo la forma di quello che ci si presenta
ai sensi.
Non è l'anamnesi
di Platone, perché non c'è un "prima" nelle
praterie della verità da richiamare alla memoria. Non è
nemmeno l'illuminazione dei neoplatonici: si tratta proprio
materialmente di modellini che si staccano dall'oggetto
mantenendone la forma e vengono catturati dalla vista o dagli
altri sensi. Così se una torre quadrata da lontano sembra
tonda, non è per un errore della vista, ma perché davvero la
forma della torre attraversando tanto spazio "diventa"
tonda.
Dopo la fisica, la
«scienza del canone» organizza il sapere come farà poi la
scienza moderna, secondo le regole dell'esperienza e non
secondo teorie predefinite. Il culmine di tutto questo sapere è
l'etica, perché lo scopo del sapiente è vivere bene. Qui
Epicuro ha proposto soluzioni molto originali, riprese poi da
Lucrezio (con maggior pessimismo) come da Ugo Foscolo e parte
degli Illuministi.
Andando alla radice
di tutto, è la paura della morte e dell'aldilà che per prima
toglie piacere al vivere. Ma, come si legge nella Lettera a
Meneceo, quando ci sarà la nostra morte, noi non ci saremo
più. Il dolore? Se è leggero passa; se è intenso finirà
presto, perché ci porterà alla morte. Gli dei? Per accettarli
come buoni e potenti, si devono pensare del tutto indifferenti
alla sorte dell'uomo, forse nemmeno consapevoli della sua
esistenza, in un loro mondo a parte. Non possono farci paura,
così come non dobbiamo temere la mancanza di godimento, perché
sapendo scegliere e perseguire solo i piaceri necessari, non
saremo mai delusi dal desiderio insoddisfatto.
Chiamava
"quadrifarmaco" queste sue dottrine, Epicuro,
medicina contro la paura, per una vita libera dall'affanno del
desiderio frustrato, contenta di quello che ha, come un
invitato a un banchetto che non sa quando dovrà andarsene: se
sapiente, l'invitato saprà gustare una per una le portate,
senza pensare a quella che forse non potrà assaggiare. Ma
Epicuro e i suoi amici del Giardino di Atene erano
avvantaggiati, nessuno intorno a lor prometteva bellezza,
immortalità e gloria in cambio di qualche acquisto, un po' di
improcrastinabile shopping.
Francesco Verde
Epicuro
Carocci editore,
2014
€ 22.00
Il Sole 24 ore – 6
aprile 2014
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