Roberto Scarpinato, Procuratore Capo della Repubblica a Palermo
Come auspicio e monito ripubblichiamo un’intervista di Antonello Castellano, uscita su Narcomafie, a Roberto Scarpinato, allora procuratore capo di Caltanissetta e autore insieme a Saverio Lodato del libro «Il ritorno del principe» (Chiarelettere).
«Pensare un’azione antimafia realmente efficace in un contesto di sgretolamento dei diritti è una contraddizione in termini». Ne è convinto Roberto Scarpinato, procuratore capo di Caltanissetta, che abbiamo intervistato a Torino in occasione della presentazione del suo ultimo libro, «Il ritorno del principe». Per Scarpinato la lotta alle mafie sarà poco incisiva finché il potere continuerà a tutelare il suo lato “osceno”. «Si potrebbero arrestare tutti i giorni centinaia di affiliati con la certezza che il giorno dopo verrebbero prontamente sostituiti».
- Nel suo libro «Il ritorno del principe» lei sostiene che la questione criminale italiana sia inscindibile da quella dello Stato e della democrazia. È un’affermazione molto forte…
La storia italiana è una storia diversa da quella degli altri paesi di democrazia europea avanzata, perché nei paesi come la Francia, come l’Inghilterra, come la Gemania quasi non esiste una questione criminale, o meglio, la questione criminale è un capitolo assolutamente marginale e secondario della storia nazionale, di cui si occupano soltanto gli specialisti, i magistrati e i criminologi, perché tranne poche eccezioni le gesta criminali sono quelle della criminalità comune: rapine, omicidi e traffico di stupefacenti. In Italia non è così. Perché in Italia la questione criminale è sempre stata inestricabilmente intrecciata con la storia nazionale, la storia con la ‘s’ maiuscola. I protagonisti delle vicende criminali non sono stati soltanto esponenti delle classi disagiate e popolari, ma anche pezzi importanti della classe dirigente.
- Cos’è l’”Oscenità del potere”?
L’impostura culturale che la mafia è solo una storia di brutti sporchi e cattivi, di cui sono protagonisti personaggi come Riina, Provenzano o i casalesi. La realtà è che, tranne un breve periodo che dura dal 1980 al 1990, i più grandi capi della mafia sono sempre stati borghesi. Il capo della mafia di Corleone, prima di Riina e Provenzano era un medico chirurgo: il dottor Michele Navarra.
- Quali sono i pericoli che l’Italia corre se il potere criminale dovesse continuare a rimanere fuori dalla scena, ‘osceno’ insomma?
La lezione della storia ci insegna che in questo paese nessuno – fosse di centro, destra o sinistra – ha mai potuto governare senza venire a patti con questo blocco sociale che è anche il principale responsabile del sottosviluppo del Mezzogiorno, della privazione sistematica della risorse. Situazione che oggi è più grave: a causa di fattori macrosistemici come l’avanzare del federalismo fiscale, il tetto massimo stabilito alla spesa pubblica dopo il trattato di Maastricht e altri fattori di crisi economica, il Sud precipita sempre di più in una situazione di degrado economico, la forbice del differenziale tra Nord e Sud aumenta, una parte del Nord tende a staccarsi per seguire la locomotiva del Nord Europa e abbandonare il Sud al suo destino. Questo Sud privato di risorse avrà il problema di garantire a milioni di persone di mettere insieme il pranzo e la cena. In assenza di spesa pubblica il pericolo è che per evitare che il sud diventi una polveriera sociale ci si affida all’economia alternativa del crimine, cioè che il Sud diventi un’enorme zona di no-tax, una sorta di Singapore del Mediterraneo, dove l’economia si genererà grazie al porto franco, all’afflusso di capitali sporchi, alle case da gioco alla benzina defiscalizzata e quant’altro.
- Eppure quel blocco sociale sembra ancora molto forte…
Noi continuiamo ad avere un Parlamento, consigli regionali, governi, e organi rappresentativi affollati di persone che sono state condannate per mafia, e che restano ciò nonostante restano degli ‘intoccabili’. Continuiamo ad avere quella che poco fa ho chiamato borghesia mafiosa, che è un pezzo importante di classe dirigente, ed è il vero terreno su cui si gioca il futuro della lotta alla mafia. Nel libro leggo il sistema di potere mafioso attraverso la lente dei ‘Promessi sposi’: non ci si può illudere di sconfiggere la mafia arrestando solo i bravi.
- In quali condizioni prospera l’”offerta” sociale mafiosa rispetto a quella legale dello Stato?
Quando le persone non hanno la possibilità di vedere riconosciuti i propri diritti, quando sono costretti a piegarsi per avere un lavoro, per avere un minimo di dignità sociale, quando uno Stato non è in grado di offrire occupazione e pari dignità ai cittadini. È allora che molta gente è spinta a mettersi nelle mani della mafia che quantomeno garantisce una sopravvivenza economica.
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