Abbiamo già parlato della grande Mostra in corso al Palazzo delle Esposizioni di Roma dedicata a Pasolini. Ci torniamo oggi con questo bel pezzo:
Valerio Magrelli
Pasolini profeta,
corsaro, martire. Lo scandalo dell'artista totale
Uno scaffale. Se
dovessi riassumere la lenta e inarrestabile crescita dell'eredità
lasciata da Pasolini, da oggi oggetto della mostra al Palazzo
delle Esposizioni di Roma (a cura di Gianni Borgna, Alain Bergala
e Jordi Balló), forse non potrei farlo meglio che con questa
semplice immagine. Infatti i contributi critici sul suo lavoro
(versi, narrativa, saggistica, teatro, cinema) occupano un metro
lineare della mia libreria – la libreria di un lettore che non
è né un italianista, né un "pasolinologo".
Mentre scrittori
forse altrettanto grandi sono fatti oggetto di pochi, magari
ottimi, ma sporadici studi (da Moravia a Parise, dalla Ortese
alla Morante, per non parlare dei poeti), Pasolini, insieme al
fratello-rivale Calvino, conosce un successo planetario. Con un
particolare: se l'autore di Marcovaldo esiste solo in forza della
sua scrittura, PPP si è andato trasformando in profeta, martire,
corsaro, visionario, politico e credente.
Quanto all'estero,
poi, si pensi che paesi distanti fra loro come la Francia e
l'India tributano alla sua memoria un vero e proprio culto. Tale
proliferazione di saggi affonda le sue radici nel carattere
rinascimentale della figura pasoliniana. Non è eccessivo
affermare che "l'usignolo della Chiesa Cattolica" (come
egli stesso ebbe a definirsi) fu in realtà un artista bulimico e
proteiforme, simile a Bembo, a Michelangelo, per non dire a
Leonardo, che Paul Valéry collocò fra gli "angeli della
morfologia".
Certo della
morfologia Pasolini fu semmai il demone, spinto com'era a tentare
le forme espressive con una voracità e un'incoscienza
stupefacenti. Come non ricordare la perplessità con cui Fellini
ne seguì il debutto cinematografico? Basandosi su tesi tanto
perentorie quanto discutibili, individuando nella settima arte né
più né meno che "il linguaggio della realtà",
Pasolini si gettò a testa bassa nell'avventura della regia, con
un preparazione a dir poco carente. Ma, nonostante tanti
scetticismi, quell'entusiasmo produsse alcune pellicole che hanno
segnato il Novecento.
Oggi tale miracolo
sembra dimenticato. Invece bisognerebbe ricordare che passare
dalla poesia, o dal romanzo, al cinema, equivale più o meno a
trasformare un eremita in un dj. Perché in effetti, ed ecco
un'altra delle contraddizioni del personaggio, la severità
luterana del moralista finì per scontrarsi con il protagonismo
di una star capace di regnare sul mondo della celluloide. Da qui
gli equivoci che scatenarono contro di lui un'ignobile campagna
di diffamazione, con tanto di imitatori televisivi chiamati a
parodiare il cineasta e la sua ostentata omosessualità. Resta
infatti da menzionare l'ultimo aspetto di Pasolini "santo e
martire".
Autore maledetto ma
celebrato, blasfemo ma riverito, abituato a scagliare le
provocazioni dal pulpito del Corriere della Sera , Pasolini
incarnò la figura della vittima sacrificale, testimoniando di
una visione del mondo che ancora non ha cessato di dividere i
suoi interpreti. Audacissimo premonitore di una società dominata
dall'omogeneizzazione e dal pensiero unico, oppure nostalgico
cantore di un ideale arcadico, agreste ed irreale? Probabilmente
entrambi. Ciò che conta è il suo lascito artistico, così
incredibilmente vario, complesso e plastico, specialmente nel
cinema.
Lia Franzia, PPP (collage) |
Senza citare i più
noti capolavori ( Accattone, il Vangelo secondo Matteo o Mamma
Roma), basterebbe ricordare la struggente bellezza di
cortometraggi quali Che cosa sono le nuvole? o La ricotta, nonché
documentari (?) come La Rabbia o Appunti per un'Orestiade
africana . Regista senza eguali. Pasolini seguiva la lezione del
Neorealismo, ricorrendo ad attori non professionisti: tuttavia,
invece che dalla strada, preferì prenderli dalla critica, dalla
letteratura o dalla filosofia – vedi le apparizioni di Giorgio
Agamben, Alfonso Gatto, Francesco Leonetti, Enzo Siciliano, Mario
Socrate e tanti altri.
Con la stessa
disinvoltura, sapeva poi ricorrere a un cantante di successo
(Domenico Modugno), a un atleta (Giuseppe Gentile) o a un supremo
soprano (Maria Callas), senza dimenticare il colpo di genio:
trasformare un attore d'avanspettacolo, sia pure sublime come
Totò, in una irraggiungibile maschera tragica. Scandalo,
scandalo e scandalo.
Non era solo
questione di costumi sessuali: Pasolini godeva nel violare il
cupo conformismo di una borghesia rimasta forse la più piccola
d'Europa. Nel catalogo della mostra, il compianto Gianni Borgna
ha notato come nel XX secolo, fatta eccezione per Rossellini e
Moravia, gli artisti che hanno meglio interpretato Roma (da
D'Annunzio a Pirandello, da Gadda a Fellini) non fossero romani.
Ebbene, se Pasolini è fra questi, non è un caso. Dopo Bologna e
Casarsa, infatti, solo la capitale, come un grande Teatro, poteva
accogliere in modo adeguato un'opera quale la sua, portentosa,
"mostruosa" nel senso letterale del termine.
la Repubblica - 15 Aprile
2014
Sito della mostra http:// www.palazzoesposizioni.it/ categorie/mostra-pasolini-roma
Sito della mostra http://
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