14 aprile 2014

IL PORTOGALLO DI FERNANDO PESSOA




In un testo, inedito in Italia, Fernando Pessoa riflette impietosamente sull’identità e la cultura del Portogallo degli anni Trenta

Fernando Pessoa


Periferia Portogallo
Esistono tre specie di Portogallo, dentro lo stesso Portogallo; o se si preferisce, esistono tre specie di portoghese.
Il primo è quello apparso con l'avvento della nazionalità: è il portoghese tipico, che forma il fondo della nazione e quello della sua espansione numerica, che lavora oscuramente e modestamente in Portogallo e in ogni dove. Questo portoghese si trova, dal 1578, divorziato da tutti i governi e abbandonato da tutti. Esiste perché esiste, ed è per questo che anche la nazione esiste.

Il secondo è un portoghese che non lo è. È apparso con l'invasione mentale straniera che risale, secondo una possibile verità, al tempo del Marchese di Pombal. Invasione poi aggravata con il Costituzionalismo, e completata con la Repubblica. Questo portoghese (che forma grande parte delle classi medie superiori, una certa parte del popolo, e quasi per intero le classi dirigenti) governa il Paese. È completamente divorziato dal Paese che governa. È, per volontà propria, parigino e moderno. Contro la sua volontà, è stupido.

C'è infine un terzo portoghese che ha cominciato a esistere allorché il Portogallo, ai tempi del re D. Dinis, da Nazione iniziò a farsi Impero. Questo portoghese compì le Scoperte, creò l'odierna civiltà transoceanica, e subito dopo scomparve. Scomparve per sempre a Alcácer Quibir, anche se lasciò alcuni parenti, che sono sopravvissuti, e tuttora continuano, ad aspettare che quel portoghese ritorni. Come l'ultimo vero re del Portogallo è stato quel D. Sebastião che cadde ad Alcácer Quibir, dove presumibilmente morì, è nel simbolo del ritorno del re D. Sebastião che i portoghesi della saudade imperiale proiettano la loro fede che la famiglia non si estingua.


Questi tre tipi di portoghese hanno una mentalità comune, in quanto sono tutti portoghesi, ma l'uso che fanno di questa mentalità li differenzia tra di essi. Il portoghese, nel suo fondo psichico, è definibile, con una ragionevole approssimazione, da tre caratteristiche: (1) il predominio dell'immaginazione sull'intelligenza; (2) il predominio dell'emozione sulla passione; (3) l'istintiva adattabilità.
Per la prima caratteristica si distingue, per contrasto, dall'antico greco, a lui simile nella rapidità d'adattamento e nella conseguente incostanza e mobilità. Per la seconda caratteristica si distingue, per contrasto, dallo spagnolo medio, a lui simile nell'intensità e nel tipo di sentimento. Per la terza caratteristica si distingue dal tedesco medio; è simile a lui nell'adattabilità, pur se quella del tedesco è razionale e salda, mentre quella del portoghese, istintiva e instabile.

A ognuno di questi tipi di portoghese corrisponde un tipo di letteratura.
Il portoghese del primo tipo è esattamente come l'abbiamo descritto, in quanto è il portoghese normale e tipico. Il portoghese del tipo ufficiale è uguale ma annacquato: l'immaginazione continuerà a prevalere sull'intelligenza, ma non esiste; l'emozione continuerà a prevalere sulla passione, ma non ha la forza per prevalere su alcunché; resta l'adattabilità, ma è puramente superficiale: da assimilatore, il portoghese, in questo caso, diventa semplicemente mimetico.
Il portoghese del tipo imperiale assorbe l'intelligenza grazie all'immaginazione; l'immaginazione è talmente forte che, per così dire, integra l'intelligenza in se stessa, formando una specie di nuova qualità mentale. Da qui le Scoperte che non sono altro che l'utilizzo intellettuale, addirittura pratico, dell'immaginazione. La conseguenza è la mancanza di grande letteratura in quel periodo (dal momento che Camões, pur grande, non è nelle lettere all'altezza delle gesta dell'Infante D. Henrique e dell'imperatore Afonso de Albuquerque, rispettivamente creatori del mondo moderno e dell'imperialismo moderno (?).
E questa nuova specie di mentalità influisce sulle altre due qualità mentali del portoghese: grazie alla sua influenza, l'emozione diventa profonda in modo da somigliare alla passione, anche se è emozione; grazie alla sua influenza l'adattabilità diventa attiva, e non già passiva, e quello che era abilità a far tutto diventa abilità a esser tutto.

Prodotto di due secoli di falsa educazione di frati e gesuiti, seguiti da un secolo di pseudo-educazione confusa, siamo le vittime individuali di una prolungata servitù collettiva. Siamo stati schiacciati da liberali per cui la libertà era una semplice parola di accesso a una setta reazionaria, da liberi pensatori per cui il massimo del libero pensiero era impedire a una processione di uscire in strada, da massoni per cui la Massoneria non mai è stata altro che una Carboneria rituale.
Prodotto, così di educazioni impartite da creature la cui esistenza era un perpetuo tradimento di quello che dicevano d'essere, delle credenze o degli ideali che dicevano di servire, abbiamo dovuto sempre vivere nelle periferie.

Che idee generali abbiamo? Quelle che ci affanniamo di cercare all'estero. Le cercassimo almeno fra i suoi movimenti filosofici più solidi; invece, le cerchiamo in superficie, in quel giornalismo delle idee. E finisce che le idee che adottiamo, senza alterazione e senza critica, sono o vecchie o superficiali. Discutiamo seriamente sulle idee di León Blum o di Édouard Herriot che mai hanno avuto un'idea – politica o d'altro tipo – in vita. Discutiamo seriamente di Bourget, di Maurras. Abbiamo plagiato il fascismo e l'hitlerismo, abbiamo chiaramente plagiato, senza aver vergogna di essere incoscienti, come il bambino che imita senza esitazione.


il Sole 24ore – 13 aprile 2014

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