In un testo, inedito in
Italia, Fernando Pessoa riflette impietosamente sull’identità
e la cultura del Portogallo degli anni Trenta
Fernando Pessoa
Periferia
Portogallo
Esistono
tre specie di Portogallo, dentro lo stesso Portogallo; o se si
preferisce, esistono tre specie di portoghese.
Il primo è quello
apparso con l'avvento della nazionalità: è il portoghese
tipico, che forma il fondo della nazione e quello della sua
espansione numerica, che lavora oscuramente e modestamente in
Portogallo e in ogni dove. Questo portoghese si trova, dal
1578, divorziato da tutti i governi e abbandonato da tutti.
Esiste perché esiste, ed è per questo che anche la nazione
esiste.
Il secondo è un
portoghese che non lo è. È apparso con l'invasione mentale
straniera che risale, secondo una possibile verità, al tempo
del Marchese di Pombal. Invasione poi aggravata con il
Costituzionalismo, e completata con la Repubblica. Questo
portoghese (che forma grande parte delle classi medie
superiori, una certa parte del popolo, e quasi per intero le
classi dirigenti) governa il Paese. È completamente divorziato
dal Paese che governa. È, per volontà propria, parigino e
moderno. Contro la sua volontà, è stupido.
C'è infine un
terzo portoghese che ha cominciato a esistere allorché il
Portogallo, ai tempi del re D. Dinis, da Nazione iniziò a
farsi Impero. Questo portoghese compì le Scoperte, creò
l'odierna civiltà transoceanica, e subito dopo scomparve.
Scomparve per sempre a Alcácer Quibir, anche se lasciò alcuni
parenti, che sono sopravvissuti, e tuttora continuano, ad
aspettare che quel portoghese ritorni. Come l'ultimo vero re
del Portogallo è stato quel D. Sebastião che cadde ad Alcácer
Quibir, dove presumibilmente morì, è nel simbolo del ritorno
del re D. Sebastião che i portoghesi della saudade imperiale
proiettano la loro fede che la famiglia non si estingua.
Questi tre tipi di portoghese hanno una mentalità comune, in quanto sono tutti portoghesi, ma l'uso che fanno di questa mentalità li differenzia tra di essi. Il portoghese, nel suo fondo psichico, è definibile, con una ragionevole approssimazione, da tre caratteristiche: (1) il predominio dell'immaginazione sull'intelligenza; (2) il predominio dell'emozione sulla passione; (3) l'istintiva adattabilità.
Per la prima
caratteristica si distingue, per contrasto, dall'antico greco,
a lui simile nella rapidità d'adattamento e nella conseguente
incostanza e mobilità. Per la seconda caratteristica si
distingue, per contrasto, dallo spagnolo medio, a lui simile
nell'intensità e nel tipo di sentimento. Per la terza
caratteristica si distingue dal tedesco medio; è simile a lui
nell'adattabilità, pur se quella del tedesco è razionale e
salda, mentre quella del portoghese, istintiva e instabile.
A ognuno di
questi tipi di portoghese corrisponde un tipo di
letteratura.
Il portoghese del primo tipo è esattamente come
l'abbiamo descritto, in quanto è il portoghese normale e
tipico. Il portoghese del tipo ufficiale è uguale ma
annacquato: l'immaginazione continuerà a prevalere
sull'intelligenza, ma non esiste; l'emozione continuerà a
prevalere sulla passione, ma non ha la forza per prevalere su
alcunché; resta l'adattabilità, ma è puramente superficiale:
da assimilatore, il portoghese, in questo caso, diventa
semplicemente mimetico.
Il portoghese del
tipo imperiale assorbe l'intelligenza grazie all'immaginazione;
l'immaginazione è talmente forte che, per così dire, integra
l'intelligenza in se stessa, formando una specie di nuova
qualità mentale. Da qui le Scoperte che non sono altro che
l'utilizzo intellettuale, addirittura pratico,
dell'immaginazione. La conseguenza è la mancanza di grande
letteratura in quel periodo (dal momento che Camões, pur
grande, non è nelle lettere all'altezza delle gesta
dell'Infante D. Henrique e dell'imperatore Afonso de
Albuquerque, rispettivamente creatori del mondo moderno e
dell'imperialismo moderno (?).
E questa nuova
specie di mentalità influisce sulle altre due qualità mentali
del portoghese: grazie alla sua influenza, l'emozione diventa
profonda in modo da somigliare alla passione, anche se è
emozione; grazie alla sua influenza l'adattabilità diventa
attiva, e non già passiva, e quello che era abilità a far
tutto diventa abilità a esser tutto.
Prodotto di due secoli di falsa educazione di frati e gesuiti, seguiti da un secolo di pseudo-educazione confusa, siamo le vittime individuali di una prolungata servitù collettiva. Siamo stati schiacciati da liberali per cui la libertà era una semplice parola di accesso a una setta reazionaria, da liberi pensatori per cui il massimo del libero pensiero era impedire a una processione di uscire in strada, da massoni per cui la Massoneria non mai è stata altro che una Carboneria rituale.
Prodotto, così di
educazioni impartite da creature la cui esistenza era un
perpetuo tradimento di quello che dicevano d'essere, delle
credenze o degli ideali che dicevano di servire, abbiamo dovuto
sempre vivere nelle periferie.
Che idee generali
abbiamo? Quelle che ci affanniamo di cercare all'estero. Le
cercassimo almeno fra i suoi movimenti filosofici più solidi;
invece, le cerchiamo in superficie, in quel giornalismo delle
idee. E finisce che le idee che adottiamo, senza alterazione e
senza critica, sono o vecchie o superficiali. Discutiamo
seriamente sulle idee di León Blum o di Édouard Herriot che
mai hanno avuto un'idea – politica o d'altro tipo – in
vita. Discutiamo seriamente di Bourget, di Maurras. Abbiamo
plagiato il fascismo e l'hitlerismo, abbiamo chiaramente
plagiato, senza aver vergogna di essere incoscienti, come il
bambino che imita senza esitazione.
il Sole 24ore – 13
aprile 2014
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