Come ben sanno gli insegnanti, la spontaneità infantile in realtà è un complicato meccanismo capace di attivare operazioni complesse e articolate.
Dorella Cianci
Il pensiero dei bambini
Prendere la parola sul corpo, per dirla con l'ultimo libro di J.L. Nancy, significa avere un universo di parole che lo componga, lo crei e lo definisca, rendendolo altro e al tempo stesso unico. Lo stesso Nancy si è rivolto a un pubblico di piccoli per definire "il giusto" (Il giusto è ciò che è dovuto? «L'amore è dovuto a tutti. Sappiamo benissimo che amare qualcuno vuol dire che lo si considera per quel che è»). Parlare invece del corpo vuol dire avere a disposizione così tante parole da poterne descrivere la sua esteriorità senza cadere in quello che è stato indicato come il paradosso di Platone: denigrare il corpo a partire dalla memorabilità e dalla straordinarietà funzionale di un corpo.
Un buon pretesto per queste (e altre) riflessioni è il volume di Viti, Il sasso e il filo di lana, il quale propone una serie di conversazioni su finito/infinito, su natura/cultura, su tempo/eternità, ma in particolare propone una poderosa riflessione sul dualismo corpo/mente nata all'interno del filosofare dei e con i bambini, doverosamente da distinguere dall'idea di scrivere per i bambini.
Possibile affrontare temi
così densi con i bambini? Fattibile, nella misura in cui il mondo
meno strutturato del percepire infantile riesce a percepire il
"rumore" della separazione fra coscienza e vita, senza
legarsi al primo elemento, senza affidarsi ciecamente al secondo. La
scissione fra corpo e mente non è presente nella prima infanzia, ma
inizia a definirsi più tardi, anche se «la mente e il corpo sono
amici», come dichiara la piccola Sofia, a differenza della sua
compagna di banco, Rebecca, la quale afferma: «il corpo è inutile,
perché non riesce a racchiudere i pensieri e la fantasia».
Una svalutazione del
corpo potrebbe portare il bambino a credere che solo la mente «sia
utile, perché con lei s'inventano amici immaginari, che ci consolano
e ci fanno compagnia»: un'idea tutta a vantaggio della creatività,
anche se studi neuroscientifici hanno dimostrato che il bambino ha
necessità del corpo per dare più ampio respiro alla fantasia, il
bambino inventa anche a partire dal suo circoscritto mondo
epidermico. Proprio come accade osservando il mondo animale, il
bambino ha la necessità di toccare, di odorare, di saltare, di
vedere nel dettaglio, senza l'appiattimento proveniente dalla
"infosfera", che in seguito arriverà (interessante il
saggio dello psicologo Peter Gray, Free to learn, edito di recente).
Roland Barthes racconta di un bambino che gioca in un clima di totale serenità, portando alla madre un sassolino o un filo di lana, simbolo di un piccolo dono, ma anche sema di una realtà afferrabile che ha sede fuori dal proprio corpo, nel set di azione, che in questo caso è il luogo di gioco. Il bambino si muove con spontaneità e fa venire in mente, ricorda Barthes, che «si insegna ciò che si sa, ma anche ciò che non si sa e questo si chiama cercare».
Il bambino cerca uno
scenario dove il corpo e il pensiero siano liberi dall'ottica
unilaterale e taglia l'affettata realtà circostante con domande che
seguono a domande, sulla scia dei dialoghi socratici, forse un po'
abusati, ma di certo reali, i quali rappresentano il fondamento del
dibattito, il principio della democrazia quando è realmente
dialogico, quando davvero si mette nei "panni di". Da quel
momento corpo e mente possono anche esser separati, ma questo non
conta, perché il bambino ha iniziato la sua esperienza di ricerca,
fatta di tante parole che compongono una realtà descrittiva
(ecfrastica) e sono principio di creazione di idee: il corpo non
riesce a trattenere le idee, le parole mettono le ali e vanno fuori
dai corpi, in un processo ben definito dal regista teatrale Sellars,
efficacemente citato da Viti: «i dialoghi di Platone si fondano sul
concetto che la verità esiste non da una parte o dall'altra, ma tra
le due parti. Quando due persone si parlano, la verità è presente,
ma nessuno dei due la possiede interamente».
I bambini superano il
paradosso di Platone con le parole, come afferma Nicola: «il corpo e
la mente collaborano. Per esempio quando uno parla dei contrari
filosofici, pensa dei pensieri e il corpo li scrive con le mani, gli
occhi e le corde vocali li riescono a leggere». La naturalezza
infantile in realtà è un complicato meccanismo capace di attivare
quello che un retore greco, Ermogene, in un altro contesto, chiamava
«l'occhio della mente».
La peculiarità di questo interesse verso il pensiero dei bambini non è tanto rivolta ai processi cognitivi dei bambini stessi, che una lunga tradizione di studi pedagogici e scientifici ci ha fatto conoscere nel dettaglio, quanto in una straordinaria accelerazione impressa alla rivalutazione della grande peculiarità della filosofia greca vista come modo di vivere espresso in chiave dialogica, recuperando l'importanza del parlato quasi come "esercizio spirituale" per dirla con Hadot, sul quale in futuro occorrerà tornare più nel dettaglio.
Il volume di Viti coniuga
molto agevolmente una parte teorica a una sezione di dialoghi
appuntanti ascoltando gli alunni e si rimarrà stupiti dalla bellezza
di alcune riflessioni, come quella della piccola Beatrice: «fra la
realtà e l'apparenza ci deve essere equilibrio: troppa realtà
potrebbe essere crudele, troppa apparenza non ti farebbe scoprire la
verità». Una frase che apre le porte a diverse domande, affrontate
dall'segnante insieme agli alunni nel nome del "non sprecare la
mente".
Sergio Viti
Il sasso e il filo di
lana. Essere maestri, essere bambini
Manifestolibri, 2014
€ 22,00
Il Sole 24 ore – 6
aprile 2014
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