24 aprile 2014

CONTRO TUTTE LE RETORICHE PATRIOTTARDE



Ero giovane e ingenuo e ci lasciai una gamba a lottare per la patria, ma sono deluso. Così ho chiesto che mi restituiscano la gamba e che si tengano pure la patria

Ma loro si rifiutano di farlo e mi chiamano traditore




 

  Il mio fraterno amico, Nicolò Messina, ieri sera mi ha inviato la deliziosa vignetta pubblicata su EL PAIS  lo scorso 15 aprile insieme al suo commento e a quello di Rosa Montero che di seguito ripropongo nella traduzione fatta dallo stesso Nicolò:

 


Patrie, patrioti, patriottardi!

Morire per la patria! Dall’antica Grecia (Tirteo) alla Roma (Orazio) dei ricordi liceali, ai nostri giorni. Bello, dolce, persino onorevole! Ma quanto nefasti i riflessi della retorica guerrafondaia e degli individualismi nazionalistici. I Balcani e tutte le guerre “periferiche”, ma anche le scaramucce non meno sanguinose insegnano.
D’altronde, le glorie e la grandeur dei microstati cittadini della Grecia classica – l’un contro l’altro armati – non possono far dimenticare i disastri e le miserie presenti. Quelle dei comuni, delle signorie e delle corti rinascimentali dell’Italia d’un tempo, nemmeno. Ed è una prospettiva realistica per venir fuori dall’attuale crisi di sistema, purtroppo non puntuale, ma di sistema, uscire da ogni consorzio, da ogni possibile euro, rinchiudersi in piccole patrie, abbandonarsi alle tentazioni xenofobe più o meno mascherate o impudicamente esibite?
Divide et impera. Lo sapevano bene i più provetti imperialisti dell’antichità. Ed è un dato di fatto che le tensioni centrifughe fanno il gioco dei centralismi più biechi e interessati. [nm]

 

 

Matita e penna a dialogo sulle patrie



Patrie

Rosa Montero

El País, 15 aprile 2014

In Ucraina si stanno già sparando con i separatisti filorussi. Si presagiva da quando, un mese fa, Putin proclamò: «Crimea ritorna alla patria». Che paura mi fa questa patria in pompa magna. Persino quando la scrivo con la minuscola, mi prende un’angoscia straripante. Detesto la parola patria. Detesto tutte le patrie, madri sanguinarie che hanno ricolmato la Terra di stragi. Non impariamo; abbiamo già dimenticato le guerre della Jugoslavia, quel fervore di patrie atroce in modo esemplare, in cui famiglie che da anni erano vicine di casa finirono con lo sgozzare i bambini dei dirimpettai. La patria acceca. La patria svilisce. Il destino ci liberi dalle patrie e dai patrioti.
Serpeggia per il mondo un impulso di modernità verso la costruzione di organismi sovranazionali che minimizzino il furore guerriero delle bandiere. Ma ogni volta che si fa un salto in avanti, spunta un contrappeso retrogrado: donde il rinverdire dei nazionalismi. E quello catalano, certo, è infinitamente più civilizzato. Ma gioca con lo stesso giocattolo: il sentimento patriottico, che è un atto di fede puramente irrazionale. E quanto più emozionante e bello ci sembra, quanto più ci stringe di pianto la gola, tanto più ci annebbierà il raziocinio. Un lucido lettore, David Nieto Prats, rilevava tale irrazionalità in una lettera: «Rispetterebbe la Generalitat [governo autonomo speciale della Catalogna] il diritto di decisione delle regioni in cui avrebbe vinto il no [in un eventuale referendum di secessione] e che pertanto avrebbero deciso di continuare a stare insieme alla Spagna?». Le patrie per definizione escludono i diversi. Le patrie si creano creando nemici. Per questo mi addolora e mi preoccupa la questione catalana. Mi addolora, perché voglio bene ai catalani e non desidero che vadano via. E mi preoccupa perché stanno svegliando il can che dorme (attenzione anche allo spagnolismo!). Per questo dovremo far qualcosa, loro e noi. Dovremo arrivare a un qualche accordo, prima che le patrie ci divorino.

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