Gabriel García Márquez fotografato da Eva Rubinstein nel 1981
"Nacqui con gli occhi aperti e per il resto della vita conservai uno sguardo di brace accesa e il portamento altero e solivago di chi veste sempre di nero e calza stivaletti di vernice.
Sin da piccolo fui interdetto all’amore e visitato da presagi. Prima di cominciare la mia guerriglia, scrissi versi per una bambina e per uomini perduti nella pioggia e quando Macondo fu colpita dalla peste della smemoratezza inventai il metodo di segnare il nome delle cose su di un foglio per non perderle per sempre.
Delle trentadue insurrezioni che guidai non ne vinsi nessuna, ma in tutto il continente si sparse lo stesso la leggenda della mia ribellione e la chimera di un’unione federale di tutte le terre sotto l’equatore. Sfuggii a quattro imboscate, ebbi diciassette figli da diciassette donne diverse, e dopo l’ennesimo armistizio, quando avevo ormai le guance crudeli dei militari, mi sparai un colpo di pistola al cuore senza ledere alcun centro vitale.
In vecchiaia vissi dei pesciolini d’oro che fabbricavo nel mio laboratorio, perché ero anche un abile orefice. Ciò che non dimenticai mai, neppure davanti a un plotone d’esecuzione, fu la mattina in cui mio padre mi aveva portato a conoscere il ghiaccio.
Morii in piedi orinando contro il castagno davanti la mia casa: era appena passato un circo di dromedari tristi e aveva sollevato irrimediabilmente, per l’ultima volta, il senso polveroso della mia solitudine."
Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine, 1967
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