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Scipione: E come dev'essere immonda la tua solitudine!
Caligola: La solitudine, sì, la solitudine! La conosci tu la solitudine? Sì, quella dei poeti e degli impotenti. La solitudine? Quale solitudine? Ma lo sai che non si è mai soli? E che dovunque ci portiamo addosso il peso del nostro passato e anche quello del nostro futuro?Tutti quelli che abbiamo ucciso sono sempre con noi. E fossero solo loro, poco male. Ma ci sono anche quelli che abbiamo amato, quelli che non abbiamo amato e che ci hanno amato, il rimpianto, il desiderio, il disincanto e la dolcezza, le puttane e la banda degli dei!Solo! Ah, se soltanto se soltanto potessi godere la vera solitudine, non questa mia solitudine infestata dai fantasmi, ma quella vera, fatta di silenzio e tremore d’alberi – sentire tutta l'ebbrezza del flusso del mio cuore. La solitudine! Ma no, Scipione. La solitudine risuona di denti che stridono, chiasso, lamenti perduti. [...]
Scipione: C'è sempre un momento di felicità nella vita, per tutti. E' questo che ci dà modo di continuare. E' a questo che ci si afferra quando ci si sente svuotati.
Caligola: E' vero, ragazzo mio.
Scipione: E non c'è niente di simile nella tua vita? Un moto di pianto, una fuga nel silenzio?
Caligola: Sì, nonostante tutto.
Scipione: Che cosa?
Caligola: Il disprezzo».
Albert Camus, da “Caligola”, Atto II, scena 14, (ultima), traduzione di Franco Cuomo, Bompiani,
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