Il 18 gennaio di trent’anni fa moriva Renato Guttuso,
uno dei pittori italiani più noti e più amati del Novecento. Nato a
Bagheria il 26 dicembre 1911, il suo stile, inizialmente espressionista,
maturò a ridosso della guerra in quella che egli stesso definiva “arte
sociale”, che lo condusse a raffigurare i momenti di lavoro e lotta dei
contadini siciliani (ad
esempio Occupazione delle terre, 1949 e Pausa dal lavoro,
1945, sul quale ci restano gli splendidi versi scritti da Pasolini nel
1962: «Ma le carni umiliate / fanno ombra: / e lo scomposto ordine / dei
bianchi è fedelmente seguito / dai neri. Il mezzogiorno è di pace»).
Accanto al precoce amore per la pittura (scriverà, infatti, «Se io potessi scegliere un momento nella storia e un mestiere, sceglierei questo tempo e il mestiere del pittore»), fu il netto rifiuto dell’idea fascista che lo portò, già nel 1938, a mettere sulla tela una denuncia chiara e definitiva contro ogni totalitarismo: è la Fucilazione in campagna, che ritrae Garcia Lorca a testa alta davanti al plotone d’esecuzione.
Il suo impegno politico, che prese forma definitivamente nel 1940 con l’iscrizione al Partito Comunista – del quale, nel 1953, disegnò il simbolo rimasto in uso fino al 1991–, si concretizzò, alla fine degli anni Settanta, nell’elezione a senatore, e si espresse parallelamente in tele che sono divenute veri e propri manifesti della sinistra italiana del secondo Novecento, come l’iconico Funerali di Togliatti del 1972.
Ma la poesia dell’opera di Guttuso si esprime anche nei suoi paesaggi, nature morte e scene di vita quotidiana, dove la Sicilia, profondamente amata, si condensa nei colori accesi dei mercati e degli agrumeti (« Sono stato rimproverato di aver dipinto troppi limoni», dirà, con la sua ironia, in un’intervista del 1982).
E proprio Palermo lo celebra in questi giorni con una mostra alla Pinacoteca di Villa Zito, aperta fino al 26 marzo, dal titolo Guttuso. La forza delle cose, curata da Fabio Carapezza Guttuso e Susanna Zatti: l’esposizione, costituita da 47 nature morte, realizzate in tutto l’arco della sua vita, permette di apprezzare al meglio non solo l’evoluzione della sua tecnica ma anche e soprattutto la sua visione dell’oggetto come metafora e allegoria del reale.
© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata
Accanto al precoce amore per la pittura (scriverà, infatti, «Se io potessi scegliere un momento nella storia e un mestiere, sceglierei questo tempo e il mestiere del pittore»), fu il netto rifiuto dell’idea fascista che lo portò, già nel 1938, a mettere sulla tela una denuncia chiara e definitiva contro ogni totalitarismo: è la Fucilazione in campagna, che ritrae Garcia Lorca a testa alta davanti al plotone d’esecuzione.
Il suo impegno politico, che prese forma definitivamente nel 1940 con l’iscrizione al Partito Comunista – del quale, nel 1953, disegnò il simbolo rimasto in uso fino al 1991–, si concretizzò, alla fine degli anni Settanta, nell’elezione a senatore, e si espresse parallelamente in tele che sono divenute veri e propri manifesti della sinistra italiana del secondo Novecento, come l’iconico Funerali di Togliatti del 1972.
Ma la poesia dell’opera di Guttuso si esprime anche nei suoi paesaggi, nature morte e scene di vita quotidiana, dove la Sicilia, profondamente amata, si condensa nei colori accesi dei mercati e degli agrumeti (« Sono stato rimproverato di aver dipinto troppi limoni», dirà, con la sua ironia, in un’intervista del 1982).
E proprio Palermo lo celebra in questi giorni con una mostra alla Pinacoteca di Villa Zito, aperta fino al 26 marzo, dal titolo Guttuso. La forza delle cose, curata da Fabio Carapezza Guttuso e Susanna Zatti: l’esposizione, costituita da 47 nature morte, realizzate in tutto l’arco della sua vita, permette di apprezzare al meglio non solo l’evoluzione della sua tecnica ma anche e soprattutto la sua visione dell’oggetto come metafora e allegoria del reale.
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- Per approfondire http://www.villazito.it/news-eventi/guttuso-la-forza-delle-cose/
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