Un articolo di Angelo Mastrandrea e una nota di Tommaso De
Francesco sulla presa di posizione decisamente pacifista, e
costituzionalmente corretta di un singolare eletto del popolo sovrano,
il sindaco di Messina Renato Accorinti.
T-shirt rossa con la scritta «free Tibet», jeans e scarpe da ginnastica, il sindaco più eterodosso d'Italia sbuca sul rettilineo che porta al Municipio di Messina come un velocista in vista del traguardo, cavalcando la sua bici nera. Me lo avevano preannunciato i suoi fedelissimi e così è stato: Renato Accorinti è un anarchico prima di tutto nello stile di vita, pertanto è inutile inseguirlo o tentare di fissare un appuntamento con lui. Bisogna aspettarlo al varco, sicuri che prima o poi passerà. Una volta intercettato, potremo anche tirare l'alba insieme.
Quello che segue, pertanto, non è altro che un tentativo di rimettere nel giusto ordine il racconto di una giornata anarco-istituzionale trascorsa con il sindaco Accorinti. Obiettivo: raccontare la più singolare avventura politica dello scomposto panorama politico italiano ai tempi della Grande Depressione. E, allo stesso tempo, provare a descriverne il protagonista principale, quell'uomo in t-shirt, jeans e scarpe da ginnastica - la sua tuta da lavoro - che osservo percorrere il corso Italia in sella alla sua bici, preceduto da suoni di clacson e urla d'incoraggiamento dei passanti: «Renato sei il migliore», «complimenti», «un altro sindaco così quando lo troviamo?».
Renato Accorinti si ferma prima di affrontare l'ultimo tornante verso il Municipio. Un gruppo di adolescenti lo attornia, uno di questi indossa un cappellino da rapper. Vogliono scattare una foto-ricordo con lui, che ne approfitta per catechizzarli e lasciare loro la sua mail: «Se volete vengo a incontrarvi a scuola, dobbiamo rivoltare la città come un calzino. Insieme». Loro sorridono, difficile intuire cosa pensino davvero. «Gli studenti mi interessano più di qualsiasi altro. Lavorando sul terreno culturale, educativo e affettivo si cambia il mondo», mi dirà in seguito Accorinti. A Messina sono 22 mila i giovani che non fanno formazione e nemmeno cercano un lavoro. In nessun'altra città d'Italia ce ne sono, in percentuale, così tanti.
Tra Gandhi e Buddha
Anche la tv tedesca Ard è venuta fin qui per raccontare il personaggio Accorinti. Da quando è stato eletto sindaco, Messina è meta dei reporter internazionali: ha fatto scalpore la notizia del «sindaco scalzo», il pacifista che nel '79 occupò il Check Point Charlie a Berlino per protesta contro il Muro e ieri ha srotolato la bandiera arcobaleno davanti all'esercito schierato per la giornata delle Forze Armate chiedendo la conversione degli arsenali in granai, l'insegnante di educazione fisica che rifiuta l'indennità e non esita a sospendere le sue attività per un'ora di yoga, un rito che si ripete da quarant'anni. Il buddista che ha incontrato il Dalai Lama in udienza privata per ben tre volte, a Dharamsala, che nei suoi discorsi parla di «cambio spirituale» e si profonde in termini inconsueti per la politica come «gioia» e «compassione», prima ancora che «beni comuni» e «partecipazione». Il non violento finito a processo per invito alla diserzione, che riceve gli ospiti nel suo ufficio dietro una bandiera tibetana e una tela che arriva direttamente dalla casa del Mahatma Gandhi. L'anarchico che è rimasto ventiquattrore sospeso sul traliccio di Punta Faro, a duecento metri d'altezza, per protestare contro il Ponte sullo Stretto. Era il 24 giugno del 2002 e, curiosa coincidenza, un altro 24 giugno, undici anni dopo, entrerà al Comune da trionfatore, con una t-shirt "No Ponte", quasi incredulo per una vittoria che ha dell'incredibile. Solo in Italia pare non essersene accorto nessuno.
Accorinti ha tritato tutti, a Messina. Movimento 5 Stelle compreso, che appena pochi mesi prima aveva raccolto in città il 24 per cento circa dei consensi dopo che Grillo aveva attraversato lo Stretto a nuoto. È stato un exploit inaspettato, come se una squadra partita per non retrocedere vincesse il campionato di calcio o una Cinquecento avesse l'ardire di sorpassare una Ferrari. Al primo turno il candidato del Pd Felice Calabrò aveva mancato l'obiettivo per appena 59 voti. Il Pdl era addirittura arrivato terzo, e al ballottaggio era andato appunto l'outsider Accorinti con la sua lista "Cambiamo Messina dal basso". Ancora oggi gli luccicano gli occhi quando rievoca l'insperato successo: «Sarebbe stato più facile volare che vincere. E abbiamo vinto», sottolinea con orgoglio. Appena un mese dopo, uno scandalo travolgerà le famiglie degli uomini forti del Pd e del Pdl messinesi: Chiara Schirò, moglie del deputato Francantonio Genovese, e Daniela D'Urso, consorte del già discusso Giuseppe Buzzanca, sono state arrestate in un'inchiesta della Finanza su alcuni corsi di formazione regionali, pagati con fondi dello Stato e del Fondo sociale europeo. Pesante l'accusa: associazione a delinquere finalizzata al peculato e alla truffa.
Tutti in bici come a Berlino
Accorinti è fatto così: la cronista tedesca vuole sapere come intende trasformare la città, a cominciare dallo stile di vita dei suoi concittadini. Lui tira fuori una planimetria, la srotola su un marciapiede e mostra la mappa delle future piste ciclabili: «Ecco, questo è il corso principale della città. Spostando semplicemente la linea gialla della corsia riservata avremo una pista ciclabile a costo zero che collegherà il tribunale, l'università, il Comune e i principali uffici pubblici. A Berlino, con nove milioni di abitanti, vanno tutti in bici. Da noi, in una città infinitamente più piccola e con il sole tutto l'anno, non ci va nessuno. È una questione culturale. A volte le idee contano più dei soldi».
Forte delle sue convinzioni politico-filosofiche e dell'austero stipendio da docente di scuola media, Accorinti non si cura più di tanto del default economico in cui la cattiva politica ha lasciato la «città babba», la «città stupida», come si autorappresenta Messina. Fossero riusciti gli indipendentisti di Finocchiaro Aprile, all'indomani della caduta del fascismo, a far sì che la Sicilia fosse la stella che mancava alla bandiera americana, qui edifici pubblici, servizi comunali e scuole avrebbero già da tempo serrato le porte e abbassato le tapparelle. Il Comune di Messina è tecnicamente fallito, non ci sono soldi per far nulla, purtuttavia l'anarchico Accorinti teme, «più che la crisi economica, quella delle coscienze». Sarà per questo che usa in continuazione termini desueti nel mainstream politico. In visita a un gruppo di mamme e insegnanti in una piazza di un rione cittadino, si infila sotto un bandierone arcobaleno sventolato dai bambini e dice: «Noi stiamo volando, chi vuole può salire a bordo».
Dal «verminaio» al «modello»
Il suo linguaggio, lo stile, la gestualità molto corporea - Accorinti abbraccia, bacia, sorride, rimprovera chi lo ferma solo per chiedere un favore e non per offrire il suo apporto alla collettività - sono oggetto di studi. Un gruppo di ricercatori della locale università - una ventina tra sociologi e politologi - hanno costituito un Osservatorio sulla democrazia partecipativa, con l'obiettivo di analizzare il «modello Messina», quell'anomalia politica che ha permesso a un sindaco assolutamente atipico e anticonformista di conquistare il Palazzo di Città. Gli accademici hanno appena ultimato un dossier sui primi cento giorni della nuova giunta, partendo dalla seguente domanda: «Com'è stato possibile che in una città come Messina, agli ultimi posti in tutte le statistiche, la politica è riuscita a creare un entusiasmo così forte?»
La città dello Stretto è quella con il più alto tasso di disoccupazione d'Italia, dopo Benevento: un vero e proprio esercito a disposizione della mafia ma soprattutto della depressione. Nel 1998 l'omicidio di un docente universitario con modalità mafiose fece coniare a Nichi Vendola, arrivato in città in qualità di vicepresidente della Commissione antimafia, una definizione che ancor oggi viene adoperata ogniqualvolta da queste parti esplode uno scandalo di corruzione: «Questa città è un verminaio», disse. Un verminaio, vale a dire un sistema fatto di connivenze, favori, clientelismo, scambi nel quale erano coinvolti in tanti: baroni universitari e studenti, oscuri figuranti del sottobosco accademico e killer prezzolati, insospettabili e gente sospettabilissima. Lo scandalo fu tale che il sottosegretario all'Interno del governo Prodi, Angelo Giorgianni, fu costretto alle dimissioni.
Com'è stato possibile, dunque, in una città così malmessa il miracolo di un sindaco, e un'amministrazione, così fuori dal comune? I ricercatori universitari hanno concluso che si è trattato di una rivolta della città civile, di quel tessuto sociale che non ne poteva più degli scandali e della malagestione amministrativa, contro la "vecchia" politica e le consorterie che hanno governato la città dal dopoguerra. «Abbiamo dimostrato che sono più deboli di quanto hanno voluto sempre far crederci e che basta unirsi per batterli», dice Accorinti. Il collante della straordinaria impresa è stato lui, l'insegnante di educazione fisica dalla solida formazione pacifista, da sempre impegnato nelle lotte sociali e ambientaliste cittadine, conosciuto da tutti. Gli studiosi hanno girato per i quartieri del centro e le numerose frazioni, collinari e affacciate sul mare, di una città con ben 60 km di costa - la più estesa d'Italia - giungendo alla seguente conclusione: «Lo hanno scelto perché è considerato onesto, umile, "uno di noi"», spiega il sociologo Pierluca Marzo. A giocare un ruolo fondamentale è stato l'immaginario, quello di un sindaco che non ha mutato stile di vita dopo l'elezione: la sera puoi incontrarlo al bar a bere una birra con gli amici e il suo look no global ha trasformato quest'uomo dal volto magno-greco, abbronzato, scavato e con la barba incolta, in un'icona, una sorta di Che Guevara isolano. «Non ho mai comprato una giacca in vita mia, il giorno del primo consiglio comunale una funzionaria mi ha prestato quella del figlio», dice sorridendo mentre tira fuori da un cassetto le sessanta magliette collezionate finora, omaggio di comitati, movimenti e associazioni di mezza Italia.
Mirella Rao ha analizzato il suo linguaggio: «Nei discorsi parla di "cambio spirituale" e "corde dell'anima", andando contro ogni cliché. Ci sono l'ambientalismo, la critica della democrazia rappresentativa, la non violenza. Ma, diversamente da Grillo, pur professandosi anarchico, Accorinti ha rispetto delle istituzioni». Lui respinge al mittente le accuse di aver vinto sull'onda dell'antipolitica: «Non è vero. Sono stati i politici di professione a distruggere questa città, l'hanno cementificata, se la sono mangiata. Noi abbiamo dimostrato che la gente ha voglia di politica vera».
Ad Accorinti non difetta il coraggio. I giornali hanno raccontato il suo arrivo in Municipio, scalzo e malvestito, e dei tornelli all'ingresso fatti smontare per annullare le distanze tra il Palazzo e i cittadini. Ma, oltre agli aspetti simbolici, c'è molto altro. Alla sua prima uscita, la sera della processione popolare della "Vara", la più importante festa religiosa messinese che, come spesso accade al sud, le famiglie malavitose utilizzano a fini di consenso, ha rubato la scena ai mafiosi salendo sul carro con l'immancabile maglietta, recante stavolta la scritta «Addio pizzo». «Dal punto di vista comunicativo è stato un colpo da maestro», dicono i ricercatori che lo tengono sotto osservazione.
L'entusiasmo della passione
Il grande merito di Accorinti è stato di usare quello che lui definisce «il serbatoio della passione», vale a dire una grande energia e un entusiasmo genuino e contagioso, per coinvolgere cittadini di ogni estrazione sociale alla cura di ciò che esonda dal proprio orticello. Chi conosce il sud Italia sa bene come l'attenzione per tutto ciò che è pubblico sia troppo spesso inversamente proporzionale alla cura del privato. «Io ascolto tutti, ma riesco a intuire chi mi sta di fronte da pochi particolari e mi comporto di conseguenza. Ad esempio, se un commerciante la mattina comincia a pulire dal marciapiede, portandosi la sporcizia accumulata nel suo negozio per raccoglierla, è tutt'altra cosa rispetto a quello che, al contrario, butta fuori la polvere che si è raccolta», spiega.
È grazie a questo entusiasmo che seicento volontari, quest'estate, hanno ripulito le spiagge cittadine, gli avvocati hanno risistemato gli spazi verdi davanti al tribunale e le associazioni e i movimenti ambientalisti collaborano nelle campagne per il riciclo e la raccolta differenziata. Ora si sta studiando l'introduzione di una moneta locale che sarà cambiata a un euro, varrà tre mesi e darà diritto a sconti nei negozi cittadini. Servirà anche, in mancanza di risorse, a pagare gli straordinari ai dipendenti comunali. Con Emergency è invece in corso una trattativa per l'apertura di un ambulatorio. Accorinti è consapevole della sua enorme popolarità in città e dei rischi che lui stesso corre. «La mia vittoria avrà senso solo se innescherà una rivoluzione culturale e se riuscirò a coinvolgere tutta la cittadinanza. Se rimango solo mi ammazzeranno», dice. Insomma, lascia intendere, la rinascita messinese o sarà collettiva o si spegnerà, ancora una volta, con il suo Masaniello.
LA GIORNATA DELLE FORZE ARMATEArcobaleno e «no arsenali», Renato sbaraglia i generali
di Tommaso Di Francesco
È di ieri mattina l'ennesimo gesto forte di Renato Accorinti. Gesto che
ha provocato l'abbandono della Festa delle Forze Armate da parte di due
generali e la critica del ministro per la Semplificazione Gianpiero
D'Alia: «Una provocazione demenziale e inopportuna, il sindaco si scusi
pubblicamente». Accorinti ha srotolato una bandiera arcobaleno con su
scritto «L'Italia ripudia la guerra» davanti al monumento ai caduti e
tenuto un lungo discorso pacifista, nel quale ha chiesto la chiusura di
tutti gli arsenali militari, auspicando che si possano «svuotare» e che
si possano riempire, invece, «i granai, fonte di vita».
«Il monito che lanciava Sandro Pertini», ha detto Accorinti, «sembra
ancora oggi cadere nel vuoto. L'Italia, paese che per la Costituzione
ripudia la guerra, continua a finanziare la corsa agli armamenti e a
sottrarre drasticamente preziose e necessarie risorse per le spese
sociali, la scuola, i beni culturali, la sicurezza. Il rapporto 2013
dell'Archivio Disarmo sulla spesa militare in Italia documenta come
l'Italia abbia speso per l'anno 2013, e spenderà per il 2014 e il 2015,
oltre 20 miliardi di euro per il comparto militare (oltre a un ulteriore
miliardo per le missioni internazionali) a fronte di una drammatica
crescita della povertà sociale.
Nel 2013 l'Istat ha pubblicato il suo più drammatico Rapporto sulla
povertà nel nostro Paese. Gli italiani che vivono al di sotto della
linea di povertà sono ormai 9 milioni 563 mila, pari al 15,8% della
popolazione. Di essi l'8% sopravvivono in condizioni di povertà
assoluta.
In questo drammatico quadro nazionale la Sicilia diventa emblema della progressiva campagna di militarizzazione italiana», ha detto Accorinti. «La nostra isola rischia di diventare una portaerei del Mediterraneo: una base dalla quale fare partire strumenti di morte e controllare con tecnologie satellitari i paesi stranieri. Anche l'arrivo dei migranti è vissuto come un problema di ordine pubblico, da affrontare con le forza armate, da circoscrivere in ghetti, lontani dagli sguardi della popolazione italiana, dove non sempre sono garantiti diritti e giustizia. Non si può rimuovere dalla memoria collettiva, quasi esorcizzando, un secolo di lotte del movimento operaio per la pace e il lavoro, il disarmo e la giustizia sociale. Questa Amministrazione appoggia quelle lotte e quegli ideali. Questa amministrazione dice sì al disarmo».
In questo drammatico quadro nazionale la Sicilia diventa emblema della progressiva campagna di militarizzazione italiana», ha detto Accorinti. «La nostra isola rischia di diventare una portaerei del Mediterraneo: una base dalla quale fare partire strumenti di morte e controllare con tecnologie satellitari i paesi stranieri. Anche l'arrivo dei migranti è vissuto come un problema di ordine pubblico, da affrontare con le forza armate, da circoscrivere in ghetti, lontani dagli sguardi della popolazione italiana, dove non sempre sono garantiti diritti e giustizia. Non si può rimuovere dalla memoria collettiva, quasi esorcizzando, un secolo di lotte del movimento operaio per la pace e il lavoro, il disarmo e la giustizia sociale. Questa Amministrazione appoggia quelle lotte e quegli ideali. Questa amministrazione dice sì al disarmo».
Da Il manifesto, 5 novembre 2013
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