14 dicembre 2016

A. CAMUS SULLA LIBERTA'




“Un tempo, non avevo sulle labbra che libertà. Per colazione la spalmavo sui crostini, tutto il giorno la masticavo, portavo fra la gente un alito deliziosamente fresco e profumato di libertà. Assestavo questa parola maiuscola a chiunque mi contraddiceva, l’avevo messa a servizio dei miei desideri e della mia potenza. A letto, la mormoravo all’orecchio addormentato delle mie compagne e mi aiutava a piantarle. La insinuavo… Via, mi eccito e perdo la misura. In fin dei conti, m’è capitato di fare un uso disinteressato della libertà, pensi come ero ingenuo, un paio di volte l’ho anche difesa: certo non mi sono spinto fino a morire per essa, ma ho pur corso qualche rischio. Bisogna perdonarmi qualche imprudenza, non sapevo quel che facevo. Non sapevo che libertà non è una ricompensa, né una decorazione che si festeggi con lo spumante; e neppure un regalo, una scatola di leccornie. Oh! no, anzi è un lavoro ingrato, una corsa di resistenza molto solitaria, molto estenuante. Niente spumante, niente amici che levano il bicchiere guardandoti amorevolmente. Solo in un’aula tetra, solo sulla pedana al cospetto dei giudici, e solo a decidere, di fronte a se stessi o al giudizio altrui. Alla fine di ogni atto di libertà, c’è una sentenza; per questo la libertà pesa troppo, specie quando si ha la febbre, o si è inquieti, o non si ama nessuno.”

Albert Camus, La caduta

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