Esce da Aragno «La
svolta di Francesco Cossiga» che contiene i diari di Ludovico
Ortona, capo ufficio stampa del leader sardo al Quirinale tra il 1985
e il 1992, e offre una ricostruzione “dall'interno” del personaggio più enigmatico della Prima Repubblica.
Maurizio Caprara
È convinzione diffusa
che Aldo Moro sia stato malvisto dagli Stati Uniti, a causa della
scelta di favorire un avvicinamento del Partito comunista italiano
alla maggioranza di governo dal 1976, e che nella Democrazia
cristiana Francesco Cossiga sia stato l’Amerikano con la K,
l’esecutore obbediente delle volontà di Washington. Di sicuro nel
1978, mentre il presidente della Dc era prigioniero delle Brigate
rosse, il ministro dell’Interno fu un pilastro del rifiuto di una
trattativa, condiviso da Washington. Cossiga fu certo molto spesso in
sintonia con gli americani. Ma non sempre, e le sue divergenze con il
Paese più potente dell’Occidente, quando ci furono, furono serie.
Nel marzo 1986, prima
ancora dei bombardamenti sulla casa del colonnello Muammar el
Gheddafi, si ebbe notizia che gli Usa avevano affondato una nave
libica in reazione a un lancio di missili verso aerei statunitensi
sul Golfo della Sirte. Da meno di un anno presidente della
Repubblica, Cossiga ne fu «contrariato». La sua tesi era che il
dittatore libico non andava reso una vittima, obbligando gli arabi
moderati a difenderlo, e che la Marina americana non doveva mostrare
i muscoli verso Tripoli su navi partite da basi in Italia, Paese al
quale non conveniva complicare le relazioni con la Libia.
È un corposo libro di
Ludovico Ortona, La svolta di Francesco Cossiga. Diario del
Settennato (1985-1992), Aragno editore, a fornire una
ricostruzione interessante di quei momenti. Ortona era il consigliere
del presidente della Repubblica incaricato di occuparsi della stampa,
veniva dalla diplomazia ed era stato per anni all’estero. La sua
ricostruzione di una visita del segretario di Stato, George Shultz,
il 28 marzo 1986 al Quirinale è tempestosa. Cossiga «giunge tardi
al colloquio, apposta e già irritando Shultz». Dopodiché
«impartisce una vera lezione» all’ospite sottolineando che gli
italiani avevano aiutato il suo Paese mentre aveva cittadini ostaggi
in Iran e in cambio non ottiene «la stessa comprensione».
Shultz interviene, in
inglese: «Signor presidente, sta parlando da tre quarti d’ora e io
non ho potuto proferire parola». Cossiga gli regala due libri su
Cavour per spiegargli la politica estera italiana. Shultz obietta:
«Signor presidente, con tutta la delicatezza possibile mi lasci dire
che la sua analisi è tragicamente sbagliata». Per gli Stati Uniti,
presieduti da Ronald Reagan, Gheddafi «è una minaccia». Ortona
annota che il colloquio termina in un clima «agghiacciante» e
aggiunge: «Ho il compito ingrato di parlare con i giornalisti».
Esistono vari modi di
leggere un libro. Tanti possono essere quelli di addentrarsi in un
diario che riguarda molti dei 2.497 giorni del settennato
1985-1992. Per chi scrive adesso queste righe, e seguì da
quirinalista gran parte della fase turbolenta della presidenza
Cossiga, risaltano descrizioni come quella sul confronto con Shultz,
una sequenza in alta definizione sulla freddezza dell’incontro
della quale si apprese.
È efficace l’idea di
Ortona di intitolare i capitoli del diario come un crescendo
musicale, da 1985: Lentissimo senza fretta a 1990: Vivace con
brio, 1991: Presto incalzante, 1992: Prestissimo tumultuoso. Nel
libro si passa infatti dal resoconto sugli sforzi iniziali del capo
ufficio stampa per far dire al presidente qualcosa di pubblicabile
dai giornali alle sofferenze successive per le difficoltà nel
trattenerlo dal dichiarare. Il 15 novembre 1991, in una stagione
nella quale Cossiga parla ogni giorno con giornalisti, si scontra con
Giulio Andreotti, mezza Dc e il Partito democratico della sinistra di
Achille Occhetto, sconfortato il suo consigliere si appunta: «Questo
è un caso di logorrea con un desiderio insistente di “comparire”,
come fosse una vera droga».
Parole taglienti. Eppure
Ortona è collaboratore fedele. È la sua estraneità alla
politica e a un relativo, e originale, intimismo insulare del sardo
Cossiga a fargli formulare del presidente descrizioni a tratti crude,
coinvolte e distaccate. Non sembra esserci stata auto-censura nel
riferire dei momenti depressivi della personalità di Cossiga né
delle sue foghe: «Conduce la sua battaglia in appartamento, in
pigiama, dettandomi comunicati e facendosi intervistare dalle radio.
Un vero inferno», si legge nel diario del 1991.
Però non è tanto questo
né quello molto attento alla massoneria, o inquieto di fronte ad
attacchi sul sequestro Moro, il Cossiga inedito, malgrado possano
esserlo alcuni dettagli del libro.
Gli scontri con Andreotti
od Occhetto erano rumorosi e percepiti in pubblico. È in risvolti in
apparenza minori che si ottiene conferma indiretta di quanto Cossiga,
nel suo turbinio, fu un anticipatore. Uomini intelligenti, comunque
li si giudichi, come Andreotti, Arnaldo Forlani e il socialista
Bettino Craxi, non capirono quanto la fine della divisione del mondo
in un blocco filoamericano e uno filosovietico avrebbe destabilizzato
la cosiddetta Prima repubblica italiana, basata sull’esclusione dei
comunisti dal governo. Cossiga invece sì, e lo comprese Occhetto che
a modo suo trasformò il Pci in Pds per non rimanere sotto le macerie
del Muro di Berlino.
Il Cossiga innovatore
viene riconosciuto nella prefazione di Giuliano Amato e nella
postfazione di Pasquale Chessa al diario. Il suo obiettivo, messo in
ombra dalla rete segreta di Gladio ufficialmente rivelata da
Andreotti, era un sistema che permettesse alternanze al governo con
Botteghe Oscure.
Dal diario di Ortona, 12
novembre 1988: «Il presidente fa un’osservazione interessante e
cioè che se Gorbaciov volesse davvero provocare degli scossoni
violenti al centro dell’Europa dovrebbe pensare all’abbattimento
del muro di Berlino». Quel muro fu aperto un anno dopo. In Italia si
accentuò la crisi del pentapartito Dc-Psi-Psdi-Pri-Pli, crebbe la
Lega, seguirono le scosse di Mani pulite.
Il Corriere della sera –
25 settembre 2016
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