12 dicembre 2016

A. GRAMSCI, Ghiande e querce



L’attuale generazione ha una strana forma di autocoscienza ed esercita su di sé una strana forma di autocritica. Ha la coscienza di essere una generazione di transizione, o meglio ancora, crede di sé di essere qualcosa come una donna incinta: crede di stare per partorire e aspetta che nasca un grande figliolo. Si legge spesso che «si è in attesa di un Cristoforo Colombo che scoprirà una nuova America dell’arte, della civiltà, del costume». Si è letto anche che noi viviamo in un’epoca pre-dantesca: si aspetta il Dante novello che sintetizzi potentemente il vecchio e il nuovo e dia al nuovo lo slancio vitale. Questo modo di pensare, ricorrendo a immagini mitiche prese dallo sviluppo storico passato, è dei piú curiosi e interessanti per comprendere il presente, la sua vuotezza, la sua disoccupazione intellettuale e morale. Si tratta di una forma di «senno del poi» delle piú strabilianti. In realtà, con tutte le professioni di fede spiritualistiche e volontaristiche, storicistiche e dialettiche, ecc., il pensiero che domina è quello evoluzionistico volgare, fatalistico, positivistico. Si potrebbe porre cosí la quistione: ogni «ghianda» può pensare di diventar quercia. Se le ghiande avessero una ideologia, questa sarebbe appunto di sentirsi «gravide» di querce. Ma nella realtà, il 999 per mille delle ghiande servono di pasto ai maiali e, al piú, contribuiscono a crear salsicciotti e mortadella.

Antonio Gramsci, Dai Quaderni del carcere. Passato e presente

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