Quando
fu ucciso, Pier Paolo Pasolini stava ultimando un romanzo assai singolare,
sia per la forma che per i contenuti. Lo aveva intitolato Petrolio,
folgorato da questa parola mentre leggeva un articolo di giornale. Da poco
c’era stata la prima “crisi petrolifera” e l’oro nero, il Vello d’oro di
oggi, per il quale si fanno guerre e viaggi in Oriente, come quello che
fece Giasone con gli Argonauti (l’associazione tra l’oggi e il mito è in Petrolio),
arroventava gli affari e la politica.
Enrico
Mattei presidente dell’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) era stato fatto
morire in un finto incidente aereo. Gli era succeduto Eugenio Cefis che di
lì a poco si lanciò anche nel settore petrolchimico, scalando la Montedison
con fondi pubblici, e diventandone presidente. Molte altre morti misteriose
funestavano il paese, tra cui quella di Mauro de Mauro, giornalista de
“L’Ora” di Palermo che aveva fatto indagini sull’omicidio di Mattei. Nel
frattempo scoppiavano bombe e divampava la “strategia della tensione”.
Nasce allora anche la famigerata loggia P2, con il suo programma
spregiudicato e criminale di controllo del potere attraverso i media e le
stragi. Cefis ne era stato il fondatore.
Di tutto questo parla Petrolio, anche se in
una forma altamente sperimentale che mischia elementi di cronaca e forma
allegorica. Parla dell’Eni, considerato non una semplice azienda statale ma
“un topos del potere”. Parla delle bombe, dei sicari, delle due fasi dello
stragismo e dell’omicidio di Mattei, qui per la prima volta attribuito non
alle multinazionali del petrolio ma a una regia tutta italiana di cui
proprio Cefis tiene le fila. Vi compare infine Cefis stesso, chiamato
Troya, con tutto il suo impero privato accumulato con fondi pubblici, con
tutte le sue aziende e relativi prestanomi. E inchiodato a tutte le sue
responsabilità: nell’omicidio di Mattei, nello stragismo e persino nel suo
ambiguo passato partigiano. Egli è nel romanzo l’emblema della «mutazione antropologica»
della classe dirigente, cioè il passaggio da un potere di stampo
clerico-fascista a un nuovo potere, multinazionale, tollerante e
criminale-mafioso. Per questo Pasolini dà molta importanza a tre discorsi
di Cefis, che tiene tra le carte di Petrolio e che intende inserire
nel romanzo così come sono. Uno in particolare, intitolato La mia patria
si chiama multinazionale, secondo Pasolini, avrebbe raccontato in modo
palese ciò che stava succedendo in Italia, e di cui anche l’opposizione di
sinistra stentava a rendersi conto.
Ma
Pasolini fu fermato prima di poter rendere pubblico questo suo insolito
romanzo. Al momento della morte ne aveva però già scritte 600 pagine e il
disegno dell’opera era già tutto delineato, tanto che, una volta
pubblicato, è stato non solo letto e apprezzato, ma anche tradotto in molte
lingue.
Ebbene,
proprio questo romanzo, che molti oggi considerano uno dei capolavori del
’900, è stato sottratto ai lettori per ben 17 anni. Prima di pubblicarlo si
è aspettato quasi due decenni, un cambio di generazione. Eppure già allora
gli editori avrebbero fatto a gara per pubblicarlo. Si trattava di un
inedito di Pasolini, scrittore e cineasta notissimo in Italia e all’estero,
per di più assassinato: e non in uno di quei paesi dove gli intellettuali
rischiano spesso la morte o la deportazione, ma in un paese moderno e
democratico, a Roma, in Europa! Perché tanto ritardo? Gli eredi hanno forse
avuto paura? Di chi?
Ma
ancora più incredibile è che questa opera, occultata per 17 anni, al
momento della pubblicazione sia stata anche amputata di una sua parte
importante. Oltre a un capitolo di cui non si sa più niente, intitolato Lampi
sull’Eni, e di cui non rimane nel romanzo che il titolo e una pagina
bianca, in tutte e tre le edizioni a stampa di Petrolio mancano i
discorsi di Cefis.
Eppure
essi erano accessibili ai curatori. Ancora oggi sono conservati tra le
carte di Pasolini al Gabinetto Vieusseux, dove Giovannetti e io li abbiamo
trovati per pubblicarli nel nostro libro Frocio e basta. Pasolini
aveva persino indicato il punto esatto del romanzo in cui andavano
collocati: «Inserire i discorsi di Cefis: i quali servono a dividere in due
parti il romanzo in modo perfettamente simmetrico e esplicito». Perché
nessuno dei curatori ha rispettato le indicazioni dell’autore? Qualcuno lo ha
impedito?
E allora
facciamo un esercizio di fantasia. Immaginiamo che Petrolio arrivi
in libreria un anno o due dopo la morte di Pasolini, quando ancora il suo
brutale omicidio è fonte di sconcerto e oggetto di attenzione mediatica. E
immaginiamo che al centro vi siano i discorsi di Cefis, che in quel tempo è
ancora l’uomo più potente d’Italia. Cosa succederebbe? Il diciassettenne
Pino Pelosi era stato da poco condannato “assieme a ignoti”, poi, in
secondo grado, da solo, come unico colpevole. Con Petrolio in
libreria, e il nome di Cefis così visibile, non sarebbe forse sorto
spontaneo nella mente di molti un collegamento tra ciò che Pasolini andava
scrivendo e il suo l’omicidio? O almeno sarebbe sorto un dubbio: e se la
rissa tra lo scrittore omosessuale e il marchettaro minorenne, arrestato
senza nemmeno una macchiolina di sangue sugli abiti dopo una colluttazione
tanto violenta, e che i giornali e la televisione avevano subito
accreditata, non fosse che una messa in scena per nascondere un altro tipo
di delitto? Avrebbero detto ugualmente che Pasolini “se l’era andata a
cercare”? O, come hanno scritto per decenni anche tanti letterati, che
Pasolini andava cercando la morte ogni notte per le strade di Roma?
Agli
inizi del 2016 Giulio Regeni è stato trovato cadavere al Cairo con addosso
i segni inequivocabili della tortura. Tanti si sono giustamente indignati
contro le autorità egiziane che cercavano di nascondere la verità su quella
orrenda uccisione dietro la versione di comodo di un rapimento a scopo di
lucro. Anche l’omicidio di Pasolini ebbe da subito la sua versione di
copertura, non meno piena di contraddizioni. Solo che a differenza di
quella che l’Egitto intendeva spacciare, a cui nessuno ha creduto in
Italia, la versione ufficiale dell’omicidio di Pasolini convinse allora
quasi tutti e ha retto per decenni, complici – forse inconsapevoli ma pur
sempre complici – uomini di cultura e filologi del nostro Paese.
E ora
vediamo come fu invece accolto Petrolio nel 1992, quando uscì per la
prima volta e senza i discorsi di Cefis. Dopo che ne fu anticipata sui
giornali la parte più scabrosa, le dieci fellatio del Pratone della
Casilina, la maggioranza dei recensori si fissò sui soli aspetti
sessuali del romanzo, omo- o sado-masochistici, arrivando persino a
definirlo un insieme di “sconcezze d’autore” che sarebbe stato meglio
lasciare impubblicate. Non una parola sull’Eni, sull’omicidio di Mattei,
sulla mutazione del potere, con buona pace di Eugenio Cefis.
Di
solito si censurano le parti scabrose di un testo. In quel caso si sono
invece censurate le parti “politiche” con il risultato di far passare Petrolio
per un libro “scabroso”.
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Gabriele Mastropaolo è la tesi di questo bel libro del 2009, dove si cita lo stesso Pasolini il quale dichiarò che il suo PETROLIO altro non era che la traslitterazione romanzata di un saggio del 1972 dal titolo QUESTO È CEFIS, di Giorgio Steimetz (nome che in realtà è uno pseudonimo). Non appena uscito, quel libro venne ritirato dal commercio. Qui, la versione in pdf https://progettoerebus.files.wordpress.com/.../giorgio...
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