Cristo sul melograno, l'albero della vita.Abbazia di Sesto al Reghena
Il lungo percorso che
conduce al cristianesimo e alla natività dalla potenza simbolica dei
riti dionisiaci.
Massimo K. Salinari
L'arcaica storia di
una rivoluzione
La teologia cristiana è
in buona parte esoterismo orfico-dionisiaco. Questa icastica
affermazione, sostenuta, tra gli altri, anche da E. Zolla, si
sostanzia appieno se ripercorriamo le tappe che, prendendo le mosse
dall’originario percorso iniziatico, arrivano sino alla nascita e
soprattutto alla resurrezione del Cristo.
Il punto di scaturiggine,
diremmo la tonalità di fondo che accomuna i due culti, risiede
indubbiamente nella carica eversiva del cristianesimo degli inizi
rispetto a ciò che lo aveva preceduto. Così come Dioniso sconvolge,
con il suo arrivo in città, la sua epidemia, le regole del vivere
civile, introducendo una modalità di relazioni tra uomo e natura
totalmente sovvertita, così i primi cristiani si staccano dalla
Legge giudaica sovvertendone l’ordine gerarchico millenario. Sia
nel dionisismo sia nel cristianesimo delle origini tutte le
distinzioni di sesso, di classe, finanche di età e di appartenenza
ai mondi umani e divini, biologici, vengono per così dire livellati
e portati ad un piano di parità nel quale tutto e tutti possono
accedere alle massime forme della liberazione dai vincoli della vita
sensibile attraverso l’ebbrezza estatica. Per i seguaci di Dioniso
non esiste, infatti, nei momenti topici, quando il dio chiama a
raccolta ed al tumulto bacchico i suoi fedeli, nessun distinguo tra
la Zoè ed ognuna delle sue Bìos, che così la scompongono e la
ricompongono nell’eccitazione menadica.
Dioniso sulla croce
Una nuova verità
Allo stesso modo i
cristiani introducono non solo l’indistinzione tra mondi creati –
tutto viene da Dio, tutto e tutti partecipano allo stesso modo della
sua Manifestazione, e per questo, devono rendergliene merito – ma
anche una nuova verità: che sono i derelitti, i poveri, gli
emarginati, quelli più vicini al cuore del Signore, come nel corteo
di Dioniso; una rivoluzione epistemologica radicale sia rispetto alle
consuetudini ed alle gerarchie ebraiche vigenti, sottolineata dal
Cristo stesso attraverso la predicazione ed il suo gesto estremo –
il sacrificio di sé – sia alle leggi della polis.
La sensibilità
cristiana, poi, era naturalmente aperta all’orfismo di matrice
dionisiaca poiché anch’essa vedeva il corpo come una prigione per
l’anima. Una prigione da santificare, allora, perché creata dal
dio stesso, da superare attraverso l’estaticità della visone
divina e della ripetizione del sacrificio di fondazione del nuovo
culto: l’eucarestia.
I grappoli del tralcio
E qui la coincidenza,
meglio sarebbe a dire la filiazione, emerge in tutta la sua potenza
simbolica. Gesù proclamò di essere la «vera vite, cui aveva
accudito suo Padre» (Giovanni XV, 1-2) e che gli apostoli dovevano
attaccarsi a lui «come i grappoli al tralcio». Dioniso è lui
stesso la vite, da cui non solo nasce il vino, ma che viene potata
per prenderne i frutti, così morendo e rinascendo in essi. E per
questo vediamo come il cuore pulsante di entrambe le ritualità sia
certamente la resurrezione; San Paolo su questo punto è categorico:
alla domanda «cosa porta a credere»? La sua risposta è «la
resurrezione della carne».
La vicenda dionisiaca è
nota: bambino egli viene ucciso e smembrato dai Titani; cotto sulle
braci ed anche bollito, viene poi ingerito dagli stessi che morranno
folgorati da Zeus per il loro peccato. Nella teologia orfica, infine,
Dioniso ricomposto salirà all’Olimpo e siederà alla destra di
Zeus, suo Padre.
Giuda. Notre Dame des Fontaines
Il tradimento
Il mito dionisiaco getta
le basi per quello cristiano. In primis Dioniso, distinguendosi
chiaramente da tutti gli altri immortali, è invece un dio che muore;
quando poi viene ucciso con l’inganno, dunque con un tradimento
analogo a quello di Giuda, si stava rimirando in uno specchietto
mentre giocava con un altro semplice giocattolo: una trottola. Qui,
come ci ricorda Giorgio Colli, il gesto dionisiaco del
rispecchiamento altro non è che un atto cosmogonico: Dioniso sta
creando il Mondo attraverso la sua stessa Immagine. Nello specchio
egli genera da sé la molteplicità che prima era in lui indivisa. La
trottola, parimenti, è il simbolo della dinamica vitale, che sempre
deve essere ristabilita affinché non cessi il suo movimento. Dioniso
è dunque, al pari di Gesù figlio di Dio, il Logos, l’artefice del
Mondo fenomenico. E ad esso viene sacrificato affinché il Mondo
continui ad esistere.
Nella versione cristiana,
tutta ancorata al tema centrale della resurrezione dei corpi alla
fine dei tempi, il sacrifico del Nazareno indica questa possibilità
in corpore vili. È lui stesso a morire e resuscitare, non solo per
significare la sua vicinanza con l’umanità sofferente ma anche, e
forse soprattutto, per trasmettere questo messaggio fondamentale,
vero mito fondativo del cristianesimo.
Cenere
Ed è proprio questa
resurrezione dei corpi che troviamo nel prosieguo del mito
dionisiaco. Anche Dioniso viene “resuscitato” mercé la
ricomposizione dei suoi pezzi smembrati. Interessante notare come,
nella teologia orfica, dalle ceneri dei Titani che lo avevano
mangiato verrà forgiata l’umanità, che dunque diviene la
depositaria del corpo del dio, così come l’eucarestia provvederà
a suggerire ai cristiani che spezzeranno il pane e lo ingeriranno
come fosse il corpo del Salvatore, mentre berranno il suo sangue
attraverso la transustanziazione del vino consacrato.
Ma esiste un significato
ancora più profondo che unifica le due ritualità, ed è non solo il
senso genericamente salvifico, ma anche quello più strettamente
concreto: così come il contatto del vino e del pane diviene non solo
fonte di salvezza e ricordo, ma anche di Grazia terrena, cioè di una
buona vita materiale, così nel mito dionisiaco il dio elargirà alle
sorelle Spermo ed Eno la capacità di tramutare tutto in pane e vino,
ed alla terza sorella, Elaide, ciò che toccava in olio; così ci
narra Ovidio nelle Metamorfosi (XIII, 650).
E dunque il significato
salvifico trascendentale si rispecchia sia nel mito orfico sia nel
racconto evangelico, ma anche il suo risvolto pratico, legato alla
vita contadina ed ai suoi sempre possibili rovesci, trova posto in
entrambi. D’altra parte se il messaggio cristiano fosse stato solo
di Salvezza nell’aldilà senza un plus di liberazione e giustizia
sociale ma anche di buona sorte nella vita di tutti i giorni, non
avrebbe avuto tanta fortuna.
Aprite quella porta
Anche il potere del vino
è centrale in entrambi i culti. Così come i seguaci di Dioniso si
inebriano per cambiare la loro percezione del mondo, così anche i
primi cristiani lo fanno per avere un accesso immediato alla visione
del divino. Da questo punto di vista, da sempre, prima il miele
fermentato nella pelle del caprone, e la sua danza circolare – la
tragodia, da cui nasce la Tragedia – ed infine il vino, così come
la canapa e l’oppio in Oriente, sono stati utili strumenti per
aprire le «porte della percezione». Si può dire che non esista una
religiosità in cui non entri qualche droga o qualche stato alterato
di coscienza costruito ad arte.
Pensiamo solo, di là dal
vino, al “combinato disposto” delle giaculatorie e della luce che
emana dalle vetrate nelle chiese. Sono artifizi antichi per accedere
ad una visione agognata. La presenza in eccesso di anidride carbonica
nel sangue, dovuta ad esempio alle giaculatorie di recitazione dei
nomi di Maria, e dunque a un tipo particolare di respirazione che
deprime l’ossigeno nel cervello, combinata alla sensazione visiva
allucinatoria dei colori fondamentali che filtrano la luce nelle
chiese, in particolare quelle medioevali, porta il fedele ad uno
stato di eccitazione ed al tempo stesso di fragilità sensoriale che
ben dispone al meraviglioso, a maggior ragione se si è alla ricerca
di una immagine numinosa. Nei primordi cristiani i naasseni
samaritani mischiavano mandragora al pane eucaristico.
Gli Inferi
E dunque la resurrezione
è il punto centrale sia del dionisismo sia del cristianesimo.
Entrambi, Dioniso e Cristo, risorsero dopo la loro permanenza nel
mondo infero. Dopo la morte Gesù scende nello Sheol, come Dioniso
nell’Ade.
Altra coincidenza
simbolica è che quando Gesù scende nell’inferno questo non è
abitato in modo permanente, perché le anime che sono nello Sheol
aspettano ancora il giudizio di Dio. Il termine Sheol, nella Bibbia
italiana, è stato tradotto con «soggiorno dei morti».
Giona riporta
quest’esperienza: “Io ho gridato al Signore, dal fondo della mia
angoscia, ed egli mi ha risposto; dalla profondità del soggiorno dei
morti ho gridato e tu hai udito la mia voce” (Giona 2:2).
Al momento della sua
morte Gesù è sceso nel medesimo luogo di Giona, come dice lui
stesso: “Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni
e tre notti, così il Figlio dell’uomo starà nel cuore della terra
tre giorni e tre notti” (Matteo 12:40).
Ora, è interessante
notare che, solo qualche secolo dopo, nella mutata situazione
dottrinale del cristianesimo, l’inferno diverrà una dimora stabile
e si riempirà di anime dannate. La storia di luoghi come il
Paradiso, il Purgatorio, il più recente di tutti, e dell’Inferno
stesso, richiederebbero uno spazio che qui non abbiamo. Ci limitiamo
a riportare l’opinione di Jacques Le Goff che sostiene come «il
Purgatorio di Dante rappresenta la conclusione sublime della lenta
genesi avvenuta nel corso del Medioevo; esso ha preso forma nella
seconda metà del XII secolo. In precedenza, pensando all’aldilà,
gli uomini immaginavano solo due luoghi antagonisti, l’Inferno e il
Paradiso. A poco a poco, ha poi iniziato a delinearsi una realtà
intermedia, la cui funzione era quella di consentire la purificazione
delle anime prima dell’ingresso nel Paradiso», con la conseguente
vendita delle indulgenze, completiamo noi.
Anche Dioniso risorge
dall’Ade quando, nelle feste di primavera, esce dalla palude
insieme alle anime dei morti e si festeggia il momento di passaggio
delle giovani donne alla maturità attraverso il rito dell’Altalena,
ma anche l’accoppiamento della Basilinna al dio attraverso le Nozze
Mistiche che risvegliano il principio vitale e lo fanno scorrere
nuovamente nel Mondo.
In questo punto, in
specifico, avviene una convergenza cha vale la pena analizzare con
attenzione. Ed infatti non si tratta solo di un’analogia
superficiale, aneddotica, tra il Dioniso che risorge dal mondo
infero, cioè sotterraneo, e porla in parallelo con il Cristo che
risorge dopo la sua visita al «soggiorno dei morti». Da chiarire,
invece, sono le modalità stesse di questa resurrezione, che
illuminano di una luce dionisiaca abbagliante il cristianesimo,
restituendogli, a nostro avviso, quella carica originaria di
religiosità legata al Principio Femminile, sempre presente in tutte
le spiritualità di ogni latitudine e tempo e mai completamente
azzerata dalla prevalenza patriarcale.
La Grande Dea
L’origine è legata
alla Grande Dea minoica, la Potnia mediterranea che tutto creava e
che in tutto si rispecchiava: Gaia, Questa divinità unica e increata
era espressione della Zoè creatrice, femminile sia per forza
generativa sia per vocazione di accudimento della vita, ma anche per
la sua capacità di richiamare infine nel suo grembo le singole
manifestazioni; la loro morte, dunque, era necessaria affinché altre
potessero trovare posto nell’eterno ciclo dell’esistenza. Con
l’avvento delle popolazioni guerriere legate alla pastorizia e non
solo all’agricoltura, l’invasione dei Dori, la Grande Dea viene
progressivamente sostituita da divinità maschili e lontane dal
Mondo, immortali; la sua unicità dispersa in tante divinità
diverse, ognuna delle quali altro non è che un suo aspetto
specifico, ma tutte governate da un patriarca, Zeus che ha mantenuto
per sé il potere generativo della folgore, cioè del fuoco che crea
e distrugge, ma anche del parto: Atena e Dioniso stesso.
In questo passaggio da una divinità femminile unica ad un panteon plurimo ed a guida maschile, la figura di Dioniso si presenta come il dio di passaggio tra il maschile ed il femminile, in tutti i sensi. La caratteristica transgender, oggi si direbbe queer, di Dioniso, è certificata da molti autori, basti pensare a W. Otto ed allo stesso Bachofen. Il «dio delle donne», dunque, è tale poiché al tempo stesso paredro, figlio ed amante della Grande Dea. Ed è in questa veste che egli riceve dalla Basilinna in occasione delle Grandi Dionisiache di primavera, durante l’accoppiamento sacro, il Principio Vitale che poi riverbererà su tutta la natura, a partire dal dono del vino. E dunque questo accoppiamento sacro, hieros gamos, che avveniva in un luogo protetto e officiato da sole sacerdotesse, caso unico nella Grecia patriarcale, va interpretato nel senso giusto: cioè non come passaggio da Dioniso alla Basilinna, la moglie dell’Arconte Basileus, della forza vitale, ma esattamente al contrario, come flusso cioè che dalla donna sacra passa e vivifica il maschile, “portando ad effetto” le sue potenzialità germinative. Allora, in conclusione, è la Basilinna che “libera la fecondità“ di Dioniso e in questo modo lo fa rinascere. In verità ciò accade durante ogni atto sessuale, o almeno una consapevolezza orientata così dovrebbe intenderlo.
Ora, tutto questo trova
un corrispettivo diretto nel ruolo che Maria ha nella resurrezione
del Figlio. Se, infatti, osserviamo bene alcune cerimonie cristiane
del Sud in occasione della Pasqua, ad esempio la processione dei
Misteri di Taranto, vediamo come la ricerca del Cristo Morto da parte
della Madonna altro non è che la necessaria ricerca da parte della
Grande Dea, cioè Maria Vergine e Madre di Dio, del corpo del figlio
allo scopo di farlo rinascere. Sarà, infatti, l’amore, sintesi
simbolica di tutti gli amori, terrestri ed ultraterreni, della Madre
per suo Figlio, cioè della Grande Dea per tutte le sue creature, a
ridargli la forza vitale. È tanto forte questo senso di trasmissione
spirituale che alla fine della sua vita Maria, donna mortale ma
sempre Madre di Dio, non muore: si addormenta in un sonno eterno,
sognando il Mondo.
San Paolo mio
Altri particolari, di non
minore importanza, rimandano ad alcuni dei protagonisti della prima
Chiesa, in particolare a San Paolo, il fondatore stesso della
cristianità come Istituzione. Basta un episodio solo a farci capire
quanto il dionisismo, e la sua carica simbolica, dovesse
necessariamente trapassare nel neonato cristianesimo.
Nella sua venuta a Roma,
S Paolo fa naufragio a Malta e li, in una grotta, viene attaccato da
serpenti velenosi che egli però rende innocui. Ecco allora che il
Santo, fondatore della teologia politica cristiana, diviene anche il
patrono dei Tarantolati in terra di Puglia, l’ultima propaggine
dionisiaca nel mondo contemporaneo, come ben dirà Ernesto De
Martino.
E con «Santo Paolo mio
delle tarante», si chiude il cerchio che rimanda il cristianesimo e
la sua fonte simbolica: quel vasto ed inesausto fenomeno che è il
dionisismo.
Il Manifesto - 24
dicembre 2016
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