“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
05 dicembre 2016
TOTO' VISTO DA PASOLINI
Dicono che #Totò fosse Principe. Una sera che eravamo a cena insieme diede una mancia di ventimila lire a un cameriere. Di solito i principi non danno simili mance, sono molto taccagni. Se Totò era principe, era dunque un principe molto strano. In realtà conoscendolo risultava un piccolo-borghese, un uomo di media cultura, con un certo ideale di vita piccolo-borghese. Come uomo. Ma come artista, qual è la sua cultura? La sua cultura è la cultura napoletana sottoproletaria, è di lì che viene fuori direttamente. Totò è inconcepibile al di fuori di Napoli e del sottoproletariato napoletano. Come tale Totò legava perfettamente con il mondo che io ho descritto, in chiave diversa perché il mondo da me descritto era in chiave comica e tragica, mentre Totò ha portato un elemento clownesco, da Pulcinella, però sempre tipico di un certo sottoproletariato che è quello di Napoli.
Un comico esiste in quanto fa una specie di cliché di se stesso, egli non può uscire da una certa selezione di sé che egli opera. Nel momento in cui ne uscisse non sarebbe più quella figura, quella silhouette che il pubblico è abituato ad amare e conoscere e con cui ha un rapporto fatto di allusioni e di riferimenti. Anche Totò ha fatto il cliché di Totò, che è un momento inderogabile per un comico per esistere. Entro i limiti di questo cliché, i poli entro cui un attore si muove sono molto ravvicinati. I poli di Totò sono, da una parte, questo suo fare da Pulcinella, da " marionetta disarticolata "; dall'altra c'è un uomo buono, un napoletano buono - starei per dire neorealistico - realistico, vero. Ma questi due poli sono estremamente awicinati, talmente avvicinati da fondersi continuamente. È impensabile un Totò buono, dolce, napoletano, bonario, un po' crepuscolare, al di fuori del suo essere marionetta. È impensabile un Totò marionetta al di fuori del suo essere un buon sottoproletario napoletano.
Il problema del rapporto tra regista e attore è un tasto molto delicato. Non voglio certo pretendere di risolverlo qui quando dicevo che ogni comico oggettiva se stesso in una specie di figura assoluta, stilizzata, di cliché di se stesso, volevo dire che l'attore comico crea se stesso, inventa se stesso, quindi compie un'operazione poetica, artistica, di carattere e livello estetico e non semplicemente comunicativo e strumentale. E quindi nel momento in cui Totò ha creato e inventato se stesso ha continuato sempre a inventarsi; la sua opera di inventore continua, non cessa nel momento in cui si inserisce dentro l'invenzione di un altro.
Praticamente il Totò in un film mio o in un film di un altro regista è inscindibile dal film; teoricamente invece lo è, si può scindere, e si può trovare dentro la creazione del regista il momento creativo dell'attore. Evidentemente egli è sempre inventore, è sempre un creatore, sempre un artista in qualsiasi film si trovi. Se lo si trova nel film di un autore, è difficile capire qual è il momento suo dell'invenzione, se invece lo si trova in un film mediocre o addirittura in un film brutto, allora invece quest'operazione è molto più facile. Si scopre immediatamente il momento creativo di Totò, e lo si gode di più.
Pier Paolo #Pasolini (1971) da "Totò" di Franca Faldini e Goffredo Fofi
Foto: Totò nel film 'La Terra vista dalla Luna' episodio del film collettivo 'Le Streghe' (196
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