Quando il realismo paralizza l'azione politica. Emanuele Macaluso rilegge Togliatti
Un libro interessante
che in poche pagine delinea una lettura della storia del PCI nel
dopoguerra incentrata sul filo conduttore della strategia
togliattiana vista come alternativa concreta al massimalismo
(malattia endemica) della sinistra italiana. Una ipotesi almeno in
parte condivisibile se non fosse per un realismo di fondo esasperato
e paralizzante,incapace di vedere nel presente le potenzialità di un
futuro possibile. Insomma, di fronte al pessimismo della ragione cosa
resta dell'ottimismo della volontà?
Mario Pirani
Ancora una volta
ascoltando Togliatti
La storia del Pci e del
suo principale leader, Palmiro Togliatti, ha dato spunto a
numerosissime pubblicazioni, saggi, studi di varia dimensione e
natura. Tra tutte una collocazione particolare spetta alle memorie
che seguitano ad uscire dei pochi superstiti ancora in vita della
generazione dei “vecchi compagni”, di quanti gettarono le basi
del movimento di resistenza, di coloro che vissero la militanza
antifascista, la lotta contro la dittatura o la tragedia dello
stalinismo. Poche tra loro si assomigliano, soprattutto quando i
fatti sono soverchiati dal confronto non di rado segnato dal sangue
che per decenni accese e stravolse il dibattito ideologico, simile a
un fiume carsico destinato a tornare e ritornare. Molti hanno voluto
raccontare la storia del “proprio Pci”, quasi come una
testimonianza di verità, la cui versione, peraltro, raramente
collima con quella del compagno di vicissitudini, parte intrinseca
del più drammatico certame politico del secolo scorso, intriso di
verità che si contraddicono, di menzogne che si smentiscono, di
interpretazioni che sorprendono. Di qui l’interesse per
il saggio, appena pubblicato da Feltrinelli, Comunisti e riformisti.
Togliatti e la via italiana al socialismo dato alle stampe da
Emanuele Macaluso, figura di primo piano dell’apparato comunista,
da annoverarsi, almeno in quest’ultimo scorcio biografico, tra gli
esponenti della stagione amendoliana.
Naturalmente né voglio
né posso riassumere uno scritto così ricco di spunti e di
interrogativi di cui mi limiterò a citare i più pregnanti. Partiamo
da un quesito di fondo: il Pci era un partito antisistema o del
sistema? Nel porci questo tema cruciale – sul fattore K – ancora
ci chiediamo se esso fu strumentale, cioè utile a tenere il Pci
fuori dell’area di governo (conventio ad escludendum), oppure ebbe
un duplice fondamento, visto che il legame con l’Urss non si
risolse in una irreversibile rottura. In definitiva la Dc e i suoi
alleati intendevano espellere inmodo definitivo i comunisti dalla
dialettica democratica? E la direzione del Pci voleva in ultima
istanza districarsi così da non trovarsi imbrigliata in un
coinvolgimento pieno con il blocco catto-centrista che ne avrebbe
sterilizzato l’autonomia politica e di classe?
Tra i molteplici snodi che Macaluso ripercorre si ritrova con insistenza quello della “doppiezza” il cui significato e valore sono comprovati dal suo reiterato riproporsi sotto qualsiasi direzione: non solo di Togliatti ma anche di Longo, Natta, Occhetto e Berlinguer. Molti sono gli esempi offerti. Nelle Memorie di Pietro Secchia, diffuse dopo la sua condanna politica, si ricorda il suo giudizio sugli scioperi e il ruolo della Cgil: “Se volgo lo sguardo ai miei atteggiamenti in seno alla direzione del partito sono senza dubbio molte le occasioni in cui, di fronte a certi avvenimenti, io ho proposto lotte più forti, scioperi più vasti, generali, e molte sono state le occasioni in cui Di Vittorio ed altri erano decisamente contrari a lotte più impegnative…”. Non si contestava, afferma Macaluso, la via democratica, ma nei fatti quale era lo sbocco di quella strategia? Al che Secchia risponde: “Anche se in avvenire dovessimo essere impegnati in una lotta diversa da quella legalitaria, in una lotta violenta contro i gruppi reazionari, essa dovrà essere condotta con ampie azioni di massa unitarie, con la più ampia alleanza delle forze democratiche”.
Una formulazione equivoca, controbatte Macaluso, perché non si capisce se la lotta diversa da quella legalitaria era di carattere difensivo o tale da provocare reazioni del nemico e imporre una nostra difesa. Può sembrare un discorso lontano ma, finora, l’attualità è alimentata dal permanente ricorrere alle categorie della “doppiezza”. Di qui la tesi alla base del libro sul contrasto destinato a riprodursi non tra estremisti e moderati di sinistra ma tra riformisti e massimalisti. Avversari di ieri, oggi e domani.
(Da: La Repubblica del 16
ottobre 2013)
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